SCIENZA E RICERCA

Per la biodiversità non ci sono solo cattive notizie

Il 2024, nonostante – dal punto di vista della tutela ambientale – non si sia chiuso nel migliore dei modi, è riuscito a regalarci anche storie straordinarie di successo, di animali salvati dall’estinzione e di nuove specie scoperte.

Gli elementi, in chiaro e scuro, sono contenuti nel 15° bilancio globale rilasciato dal WWF: il Living planet report. Il rapporto monitora l’andamento demografico di 5.495 specie di vertebrati selvatici in tutto il mondo. I dati non sono incoraggianti: negli ultimi 50 anni, dal 1970 al 2020, le popolazioni di oltre 5.400 specie di vertebrati selvatici sarebbero diminuite in media del 73%, il che vuol dire -2,6% ogni anno.

Le maggiori perdite si sono verificate, com’era prevedibile, nelle aree del mondo a più alta diversità: centro-sud America, Africa e Pacifico. A subire il calo demografico più forte in questi decenni sono state le specie degli ecosistemi d’acqua dolce, dove le popolazioni monitorate sono diminuite dell’85%; seguite dalle specie terrestri che hanno fatto registrare un -69%, e dai vertebrati marini che in media sono calati ‘solo’ del -56%, sebbene squali e razze negli ultimi anni abbiano registrato livelli critici di declino.

Sono numeri che fanno venire le vertigini, eppure ci sono almeno due buone notizie. La prima è che non tutte le popolazioni e le specie di vertebrati sono malmesse, anzi, alcune sono addirittura in crescita. E la seconda è che sappiamo come arginare e riparare alla perdita di biodiversità, come indica il WWF nello stesso report.

Tra le specie in netta ripresa c’è il bisonte europeo (Bison bonasus): nel 1927 in Europa non c’erano più bisonti liberi in natura, ora sono oltre 6.800, grazie a un preciso piano di riproduzioni e reintroduzioni. Oggi la maggior parte di questi bisonti vive in aree protette e la storia di questo straordinario ritorno testimonia l’importanza delle azioni di conservazione.

Un’altra ottima notizia giunge invece dal Parco nazionale dei Virunga, nella Repubblica Democratica del Congo, e dai confinanti parchi nazionali dei Vulcani in Ruanda e dei Monti Rwenzori in Uganda. Qui, grazie a sforzi decennali di contrasto al bracconaggio e di coinvolgimento delle comunità locali, la popolazione di gorilla di montagna ha ripreso a crescere e addirittura dal 2010 al 2016 ha vissuto un momento di rinascita importante, aumentando del 3% l’anno.

Altre buone notizie per la biodiversità

Tra progetti di conservazione di successo e spedizioni scientifiche per catalogare l’immensa biodiversità che ancora c’è da scoprire, continuano le buone notizie.

Nelle foreste di Maui, alle Hawaii, sulle pendici del vulcano Mauna Loa, sono tornati a volare gli ‘alalā: i corvi delle Hawaii (Corvus hawaiiensis), estinti in natura dal 2000 e considerati i corvidi più rari del mondo. Dopo decenni di sforzi per allevare questa specie in cattività, cinque individui - due femmine e tre maschi, nati nei centri di riproduzione di Keauhoue Makawao - sono stati liberati in natura. È il primo passo per tentare di ripristinare una popolazione sana, che riconquisti il proprio ruolo ecologico alle Hawaii contribuendo alla dispersione dei semi delle piante native e al controllo degli insetti.

Nel frattempo, dall’Africa arrivano nuovi importanti annunci: stando al rapporto del WWF  “New Life in the Congo Basin: a Decade of Species Discoveries (2013 – 2023)” negli ultimi 10 anni nel bacino del Congo sono state scoperte ben 742 nuove specie di piante e animali. Tra questi spiccano la scimmia lesula (Cercopithecus lomamiensis), la seconda nuova specie di scimmia africana scoperta dal 1984; il rospo gigante congolese (Sclerophrys channingi) che imita la vipera del Gabon per sopravvivere; l’istrice vampiro (Hystrix brachyura);  42 specie di rettili tra cui il coccodrillo dal muso sottile dell’Africa centrale (Mecistops leptorhynchus), e un’orchidea senza foglie (Gastrodia agnicellus).

Nelle foreste pluviali del Madagascar, invece, un team internazionale di erpetologi ha scoperto 7 nuove specie di rane arboricole, grazie al loro canto davvero peculiare. Finora queste rane erano sempre state confuse con altre specie comuni per via del loro aspetto, ma l’analisi dei loro canti - una serie di fischi acuti - ha permesso di distinguerle e identificarle come specie separate. Una classificazione che è stata poi confermata anche dalle analisi genetiche effettuate dal team guidato dal professor Miguel Vences della Technische Universität Braunschweig in Germania, che da anni studia l’incredibile biodiversità di anuri del Madagascar. Qui, infatti, pare viva circa il 10% di tutte le specie di rane del mondo, tanto che negli ultimi 10 anni questo gruppo di ricerca ha scoperto e classificato oltre 100 specie. Le ultime ad essere state identificate sono queste 7 nuove specie di rane arboricole del genere Boophis, il cui canto ricorda gli effetti sonori della serie fantascientifica Star Trek ed è così che a ognuna di loro è stato assegnato il nome di uno dei sette dei capitani più iconici della serie di fantascienza: Kirk, Picard, Sisko, Janeway, Archer, Burnham e Pike.

Tre punti chiave per salvare la biodiversità

L’incredibile patrimonio di biodiversità che si nasconde nel cuore delle foreste pluviali evidenzia la necessità di proteggere questi habitat unici dalla deforestazione, dallo sfruttamento minerario e dal bracconaggio. Ma spedizioni per conoscere e catalogare l’immenso patrimonio di biodiversità, così come le azioni di conservazione e i piani a lungo termine che tengono conto di realtà e comunità locali, non bastano ad arrestare la crisi della biodiversità. Come ribadito anche nel Living Planet Report, bisogna trasformare il nostro sistema alimentare, il nostro sistema energetico e la finanza.

Oggi per produrre cibo utilizziamo il 40% di tutta la terra abitabile e il 70% dell’acqua potabile che abbiamo a disposizione, e solo la produzione alimentare è responsabile di circa un quarto di tutte le emissioni di gas serra. Bisogna quindi ripensare il sistema alimentare, promuovere un’agricoltura sostenibile e un consumo responsabile, riducendo gli sprechi alimentari e privilegiando diete a base vegetale. Serve un sistema alimentare che sia in grado di sfamare tutti, che sia più equo e senza catene di sfruttamento. Il secondo tassello da modificare è quello energetico: dobbiamo accelerare la transizione energetica, abbandonando velocemente il fossile in favore delle energie rinnovabili, garantendo al contempo una transizione giusta ed equa.

Infine serve reinvestire sulla natura: proprio l’istituzione di un fondo globale per la biodiversità e di uno per il clima sono stati il fulcro della COP16 e della COP29, rispettivamente. Oggi oltre la metà del PIL globale, ovvero circa 58 trilioni di dollari, viene generato dai servizi ecosistemici che ci offre la natura. Eppure ogni anno investiamo solo 200 miliardi di dollari in soluzioni basate sulla natura, mentre ancora spendiamo 7 trilioni di dollari in attività che alimentano le crisi della natura e del clima. Dobbiamo invertire questa tendenza e investire sulla natura, il prima possibile.

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