SCIENZA E RICERCA

Cavità nel sottosuolo lunare: “Le agenzie spaziali puntano a servirsene”

Se ne parla ormai da settimane: la notizia è rimbalzata immediatamente sui media nazionali e internazionali, dalle informazioni della prima ora agli approfondimenti che ne sono seguiti. Dal Corriere della Sera a Repubblica fino al National Geographic, dalla Bbc, all’Indipendent fino al Guardian in molti ne scrivono, e Nature Astronomy non tarda a sottolineare che lo studio appena pubblicato sulle sue colonne, dal titolo Radar evidence of an accessible cave conduit on the Moon below the Mare Tranquillitatis pit, è al quarto posto nella lista degli articoli che hanno suscitato maggior interesse al mondo. Quando arriva in redazione per l’intervista Riccardo Pozzobon è rientrato da poche ore da una missione scientifica alle isole Lofoten in Norvegia, ma nonostante la stanchezza non nasconde la soddisfazione per la recente scoperta cui ha contribuito: se da oltre un cinquantennio si ipotizza la presenza di grotte sotterranee e tunnel di lava sulla Luna, ora gli scienziati hanno fornito la prima prova diretta della loro esistenza, con tutto ciò che ne consegue per le future missioni spaziali. 

Le prime evidenze della presenza di collassi che potenzialmente potevano fornire l’accesso a cavità lunari sotterranee sono emerse dall'analisi dei dati acquisiti dal Selenological and Engineering Explorer (Selene) nel 2009, e sono state successivamente confermate dalle immagini catturate dalla fotocamera del Lunar Reconnaissance Orbiter dal 2012. Nonostante negli ultimi 15 anni siano stati individuati più di 200 pozzi di questo tipo in vari contesti geologici e latitudini lunari, finora non si possedevano elementi in grado di dimostrare l’effettiva presenza di cavità sotterranee in corrispondenza di queste fosse. E tantomeno si poteva stimarne l’estensione.

Intervista completa a Riccardo Pozzobon del dipartimento di Geoscienze. Riprese di Elena Sophia Ilari, servizio e montaggio di Monica Panetto

Con questo studio – spiega Pozzobon, ricercatore in geologia planetaria al dipartimento di Geoscienze dell’università di Padova ed esperto in telerilevamento satellitare di superfici planetarie e analoghi terrestri – per la prima volta siamo veramente riusciti a vedere attraverso l'oscurità. Sono stati utilizzati i dati raccolti da un radar ad apertura sintetica (Mini-RF) che ha operato brevemente nel 2009 a bordo della missione NASA Lunar Reconaissance orbiter. Si tratta di uno strumento che osserva la superficie lunare con un angolo di circa 45°: in presenza di pozzi lunari lungo l’orbita del satellite, è possibile far entrare il fascio radar all'interno della cavità e analizzare i riflessi, lo scattering e l'intensità del segnale radar che ritorna poi allo strumento”. 

A esaminare le immagini catturate dal Mini-RF sono stati i ricercatori dell’università di Trento, ateneo capofila del progetto. Gli scienziati hanno impiegato tecnologie di elaborazione dei segnali sviluppate nei loro laboratori e scoperto che riflessioni radar provenienti da un collasso collocato nel mare della Tranquillità potevano essere attribuite a un condotto sotterraneo. Il pozzo in questione visibile in superficie, detto Mare Tranquillatis Pit, è noto per essere il più profondo finora conosciuto sulla Luna, con un diametro di 100 metri. Ebbene, l’analisi dei dati ha permesso di costruire un modello 3D che rappresenta la parte iniziale del tunnel.

Nel corso delle ricerche l’università di Padova, Pozzobon nello specifico, ha validato i risultati grazie al supporto delle conoscenze geologiche: sono state condotte cioè delle simulazioni di osservazioni radar, che fossero geologicamente convincenti, su modelli 3D sintetici, in modo tale da riprodurre il segnale osservato sulla superficie della Luna. Tale metodo di analisi di dati e ricostruzioni tridimensionali era già stato precedentemente testato e validato su analoghi terrestri, cioè strutture simili a quelle lunari, in particolare su alcune grotte presenti a Lanzarote e nel pozzo di Barhout in Yemen.

L’importanza di avere prove certe dell’esistenza di cavità sotterranee sulla Luna è presto detta: “In vista delle future esplorazioni lunari – argomenta il ricercatore – le agenzie spaziali stanno ponendo particolare attenzione allo sfruttamento di queste grotte sotterranee sia per motivi logistici ed esplorativi che scientifici. Si tratta di fatto di un ambiente riparato dalla radiazione solare, dall'impatto di micrometeoriti che in superficie potrebbero danneggiare anche gravemente la strumentazione, e con poca escursione termica. Molti degli sforzi delle agenzie sono volti anche a capire come accedere a queste cavità, e dunque avere conferma della loro esistenza e sapere quanto possono essere estese (nel nostro caso si parla di un'estensione di più di 175 metri sotto la superficie lunare) permette di effettuare degli studi di missione più adatti all’esplorazione di luoghi di cui ora sappiamo molto di più rispetto a poco tempo fa”. 

Pozzobon sottolinea che dal punto di vista scientifico poi queste cavità sono estremamente interessanti, perché di fatto non è ancora noto cosa si possa trovare al loro interno: poterne campionare e analizzare le rocce può fornire informazioni estremamente interessanti sull’evoluzione lunare nel suo complesso. E questo può avere ricadute fondamentali anche per la comprensione dell’evoluzione terrestre, dato che in certi casi la tettonica a placche può aver eliminato le tracce di certe dinamiche. “La Luna di fatto è un libro che permette di leggere non solo la storia del satellite, ma anche quella della Terra”. 

Proprio a questo scopo risponde anche la recente campagna alle isole Lofoten, coordinata da Matteo Massironi del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova, in collaborazione con l’università di Trieste, l'università Ca' Foscari di Venezia e il museo minerario di Kongsberg in Norvegia. “Alle Isole Lofoten – spiega il ricercatore – è presente uno dei pochi affioramenti al mondo di rocce anortositiche che sono analoghi perfetti delle cosiddette highlands lunari. Se i Lunar Maria (dove si trova il pozzo del mare della Tranquillità) sono grandi bacini di impatto pieni di lave basaltiche che appaiono scuri a occhio nudo, le highlands appaiono invece più chiare: di fatto si tratta di una crosta cristallina composta da un silicato detto plagioclasio. Sulla Terra sono molto difficili da trovare e in queste isole c’è uno degli affioramenti più estesi e meglio preservati in Europa e forse al mondo. È inoltre ben esposto, senza particolari problemi di vegetazione, che qui fa un po' più fatica ad attecchire rispetto ad altri tipi di rocce, e questo rende possibile effettuare degli studi multiscala. Abbiamo utilizzato dati satellitari e un drone che osserva con un sensore iperspettrale le anortositi, proprio perché possono fornire molte informazioni su ciò che potremmo aspettarci di trovare sulla Luna. Dobbiamo considerare infatti che oggi le nostre conoscenze sono vincolate alle poche centinaia di chili di campioni che gli astronauti dell'Apollo hanno raccolto per la maggior parte nelle zone dei Lunar Maria”.  

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