La siccità è la morte della terra, scrive il poeta Thomas Stearn Eliot. La citazione è di David Malakoff e Andrew Sugden, in un numero speciale che Science dedica all’argomento: se si considera l’aumento della popolazione umana – scrivono i due autori –, i cambiamenti climatici in atto e la riduzione delle riserve idriche sotterranee, si intuisce perché la siccità rappresenti una sfida sempre più complessa per le persone e l’ambiente.
Negli ultimi 12 secoli, osserva Toby R. Ault in un altro contributo dello stesso numero (On the essentials of drought in a changing climate), condizioni particolarmente severe di siccità di durata decennale hanno contribuito alla scomparsa di alcune delle più importanti società dell'era preindustriale, tra cui gli imperi Khmer e Maya e la dinastia Yuan in Cina. I cambiamenti climatici stanno esacerbando il problema in molte parti del mondo, in termini di frequenza, gravità e durata. E se l’abbattimento aggressivo delle emissioni di gas serra può ridurre il problema, anche bassi livelli di riscaldamento potrebbero amplificare i rischi di siccità in gran parte del mondo, inclusi i Caraibi, l’America centrale, il Brasile, l’Europa occidentale, l’Africa centrale, il Sud-est asiatico e l’Australia. In molte zone abbassare anche solo di mezzo grado le temperature può fare la differenza: la siccità regionale, infatti, è più grave se il riscaldamento globale raggiunge i 2° C rispetto a quando viene ridotto a 1,5 °C.
Per capire gli impatti del fenomeno, basti pensare che negli Stati Uniti, nel periodo compreso tra il 1980 e il 2020, la siccità ha causato un danno economico di 250 miliardi di dollari ed è costata la vita a 3.000 persone. In Europa invece, secondo il rapporto del JRC European Drought Observatory (Edo) del 2019, diverse regioni, da nord-est a occidente, si sono trovate in condizioni di siccità, in particolare la Lituania, la Polonia centrale, la Repubblica Ceca, la Germania, la Francia centrale e la Spagna centrale.
Il problema derivava da una combinazione di fattori con un peso diverso a seconda della posizione: a influire sono state la siccità del 2018, le ondate di calore di giugno e luglio del 2019 e le precipitazioni al di sotto della media nella primavera del 2019. I danni ai raccolti sono stati segnalati principalmente in Lituania, Polonia e Repubblica Ceca, mentre i livelli dei fiumi erano più bassi del normale nell'Europa centrale. Dopo l'ondata di caldo di luglio 2019, la siccità si è intensificata nell'Europa centrale e si è spostata verso l'Europa occidentale, in particolare in Francia e in Spagna.
È nei Paesi più poveri, tuttavia, che il fenomeno causa le conseguenze più significative. Negli ultimi anni, mette in evidenza la Fao (Food and Agriculture Organization of the United Nations), ha provocato alcune gravi catastrofi umanitarie, tra cui le recenti crisi nelle regioni del Corno d'Africa (2011) e del Sahel (2012), che hanno minacciato la vita e il sostentamento di milioni di persone. In passato, la siccità non ha sempre avuto effetti così disastrosi e spesso faceva parte di un normale ciclo climatico. Oggi, tuttavia, la maggiore frequenza di questo fenomeno e la natura più irregolare delle piogge in molti Paesi, combinate con le vulnerabilità economiche, sociali e ambientali esistenti in alcune zone, determinano un impatto sempre più distruttivo sulle popolazioni a rischio.
Le conseguenze sono importanti, con impatti socioeconomici e ambientali: la produzione alimentare viene paralizzata, i pascoli si impoveriscono, i mercati ne risentono, senza contare che uomini e animali possono perdere la vita. La siccità inoltre può generare anche un aumento della migrazione dalle aree rurali a quelle urbane, incidendo ulteriormente sulla scarsità di cibo. L'agricoltura è il primo settore interessato e quello più colpito, assorbendo fino all'80% di tutti gli impatti diretti, con effetti sulla produzione, sulla sicurezza alimentare e sui mezzi di sussistenza rurali.
La siccità non può essere arrestata ed è difficile da prevedere. “A differenza della maggior parte dei disastri naturali – scrive Toby R. Ault – la siccità, come una malattia, inizia prima che si presentino i sintomi”.
Per quanto sia arduo però, argomenta Paul Voosen in The hunger forecast, le previsioni sono più che mai necessarie. Dal 2015 al 2019, il numero globale di persone a rischio di carestia è aumentato dell'80%, raggiungendo gli 85 milioni. Le guerre in Yemen, Siria e Sudan hanno avuto un peso notevole, ma a contribuire sono stati anche il riscaldamento globale, la siccità e le tempeste. Le conseguenze della siccità in particolare possono essere anche catastrofiche. A differenza della temperatura però, le precipitazioni sono imprevedibili e locali. Tre indicatori importanti che possono essere spia di un periodo di siccità – le basse precipitazioni accumulate, la mancanza di umidità del suolo e le alte temperature dell'aria – sono difficili da misurare dallo spazio. I satelliti possono rilevare quando i campi da verdi diventano marroni, ma spesso l’informazione arriva troppo tardi per fornire un aiuto su vasta scala. In Africa, ad esempio, i ricercatori non possono fare affidamento nemmeno sui dati delle stazioni di terra. Lo Zimbabwe ha solo alcune stazioni meteorologiche e talvolta quelle non misurano nemmeno le precipitazioni. Il problema riguarda tutto il continente: negli ultimi 30 anni le stazioni con dati pubblici utilizzabili sono diminuite dell'80%, fino a raggiungere quota 600. Prevedere mesi di siccità è ancora più difficile: le previsioni del tempo si estendono solo per alcune settimane.
Se questa è la situazione, si intuisce l’importanza di istituti come il Climate Hazard Center della University of California a Santa Barbara, che da più di 20 anni lavora per migliorare i modelli di previsione precoce dei pericoli idroclimatici legati alle inondazioni e alla siccità e dunque alla sicurezza alimentare.
Lo scopo è di rafforzare gli sforzi internazionali di riduzione del rischio di catastrofi, attraverso strumenti di analisi climatici in continua evoluzione. Si tratta di un impegno particolarmente significativo che permette alle agenzie umanitarie con cui il centro collabora, come la United States Agency for International Development (USaid), la United States Geological Survey (Usgs) e il Famine Early Warning Systems Network (Fews Net), di disporre degli strumenti necessari per pianificare gli aiuti umanitari.
Se questo è il contesto, risultano chiare le linee indicate dalla Fao, secondo cui gli impatti che derivano da periodi di gravi siccità possono essere mitigati attraverso l'adozione di un approccio di gestione proattivo e basato sul rischio, che miri ad aumentare la resilienza delle comunità e delle società e la loro capacità di far fronte al problema. Attraverso, dunque, politiche e piani d’azione che devono essere attuati prima, durante e dopo l’evento. L’esperienza dimostra infatti che i Paesi che hanno adottato questo tipo di approccio sono più preparati ad affrontare il problema quando si presenta, rispetto a quelli che invece gestiscono solo il momento dell’emergenza. La Fao si sta muovendo proprio in questa direzione attraverso una serie di azioni che mirano a sensibilizzare i politici e i responsabili della gestione del rischio siccità; con lo sviluppo di linee guida e strumenti tecnici che facilitino l’adozione a livello nazionale di politiche proattive in regioni particolarmente soggette a tali fenomeni; attraverso studi volti a caratterizzare la siccità e la sua gestione a livello nazionale e regionale. In questa direzione, con la Fao collaborano molti centri di ricerca nazionali e reti regionali che si occupano di problemi di siccità, oltre a numerose organizzazioni internazionali come la World Meteorological Organization, la United Nations Convention to Combat Desertification, l’organizzazione UN-Water, il Water for Food Daugherty Institute e il National Drought Mitigation Center at the University of Lincoln-Nebraska.