SOCIETÀ

Bioeconomia ed economia circolare: due vie per uno sviluppo più sostenibile

L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, sottoscritta nel 2015, aveva un obiettivo globale e ambizioso: realizzare uno sviluppo sostenibile ed equilibrato nei suoi aspetti economici, sociali e ambientali. Si tratta di un piano molto articolati, concretizzato nella definizione di 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), con 169 target e 213 indicatori misurabili che sono stati utilizzati per costruire scenari e provare a confrontare prospettive e strategie diverse attorno a modelli economici innovativi che girano, anche, attorno a due concetti fondamentali: la bioeconomia (BE) e l'economia circolare (CE), spesso utilizzati come sinonimi eppure diversi per obiettivi e per strategie di attuazione.

Il ruolo dell’economia circolare

Il 5 dicembre scorso è stato firmato a Roma il nuovo Manifesto dell’Alleanza per l’Economia Circolare, la prima partnership tra aziende in Italia sui temi della circolarità, coordinato da AGICI, una società di consulenza e ricerca specializzata nel settore delle utilities, delle rinnovabili, delle infrastrutture e dell’efficienza energetica. Un impegno condiviso e programmatico, sottoscritto da nove tra le più grandi imprese e aziende italiane, per guidare il Paese verso la trasformazione dell’economia appunto in senso circolare e rigenerativo. Il Manifesto rappresenta un documento di posizionamento e invita imprese e istituzioni ad agire in modo coordinato e integrato per promuovere l’economia circolare come volano di crescita e rafforzamento della competitività delle imprese, potenziando il ruolo internazionale dell’Italia. E per una volta, il nostro paese è tra quelli che guida l'innovazione.

“L’Italia si posiziona fra i primi posti e, nonostante una deflessione negativa, sta ancora investendo molto in alcuni aspetti dell’economia circolare, come la gestione dei rifiuti e il riuso delle risorse. Ha fatto progressi significativi anche nel cambiamento delle fonti energetiche - a fare il punto della situazione è Francesca Gambarotto, professoressa associata di Economia applicata all’università di Padova - ma l’Italia non è l’unica che si sta muovendo verso un approccio più green all’economia: la Cina ha introdotto una legge specifica per promuovere l’economia circolare, mentre il Giappone sta investendo su politiche di riuso, riutilizzo e riciclo dei materiali. A livello europeo, Olanda e Danimarca hanno l’obiettivo di raggiungere la piena circolarità economica nel 2050, seguite da Francia e Germania”.

La sesta edizione del Rapporto annuale sull’economia circolare, a cura del Circular Economy Network (CEN), conferma quanto dice Gambarotto a Il Bo Live e, per la prima volta, in questa edizione del Rapporto le performance di circolarità di cinque principali Paesi europei (Italia, Francia, Germania, Spagna e Polonia) sono state comparate usando gli indicatori della Commissione europea: produzione e consumo, gestione dei rifiuti, materie prime seconde, competitività e innovazione, sostenibilità ecologica e resilienza. Anche con questi “nuovi” indicatori, risulta confermato il primato dell’Italia in termini di economia circolare, seguita da Germania, Francia, Polonia e Spagna. Il risultato positivo del nostro Paese deriva soprattutto dalla gestione dei rifiuti. Nello specifico, nel 2021 abbiamo avuto un tasso di riciclo dei rifiuti di imballaggio del 71,7%, quasi l’8% in più della media UE27 (64%). Il riciclo dei rifiuti urbani in Italia è cresciuto del 3,4% tra il 2017 e il 2022, raggiungendo il 49,2%. La media UE è del 48,6%. Davanti a noi la Germania, che “vince” con il 69,1%.

“L’economia circolare si propone come un sistema che non persegue la crescita economica illimitata, tipica dell'economia tradizionale – continua Gambarotto -  ma piuttosto mira a utilizzare le risorse in modo sostenibile, riducendo al minimo l'impatto sull'ambiente. L’economia tradizionale, per come la conosciamo oggi, è figlia di un modello nato in un periodo storico preciso, quello successivo alla Seconda Guerra Mondiale, in cui si era molto più focalizzati sulla crescita. I problemi che stiamo affrontando oggi sono diversi rispetto a quelli di una volta e il modello economico tradizionale sta generando dei forti danni all’ambiente e non ci permette di affrontare in maniera adeguata i temi legati alla sostenibilità. E dunque, diventano centrali concetti come riutilizzo e sostenibilità, alla base dell'economia circolare”.

I benefici di questo approccio sono diversi. Gambarotto spiega che questa nuova visione propone un’organizzazione innovativa dei sistemi produttivi, basata sul risparmio di risorse naturali ed energia. Trasformare i rifiuti in nuova materia o energia permette di ridurre i costi e creare un modello di prosperità con un’impronta ecologica più leggera, garantendo alle future generazioni risorse equivalenti a quelle utilizzate dalle generazioni precedenti.

“Ci sono anche benefici ambientali" continua Gambarotto, "perché attraverso l’economia circolare si possono valutare gli impatti ambientali già in fase decisionale, invece che a valle del processo. E sfruttando il riutilizzo e il riciclo, si riducono sia l’estrazione di risorse che le emissioni di CO₂, allungando il ciclo di vita dei materiali e alleggerendo la pressione sugli ecosistemi”.

Ci sono inoltre diversi benefici sociali, perché “l’economia circolare non è un processo individuale, ma collettivo, orientato al bene comune e alla riduzione delle disuguaglianze. Si propone un’economia a servizio delle comunità locali, che consideri l’equità sociale e il benessere collettivo come priorità, superando il paradigma della crescita illimitata e orientandosi verso la sostenibilità integrale” continua Gambarotto.

Il modello economico tradizionale sta generando dei forti danni all’ambiente e non ci permette di affrontare in maniera adeguata i temi legati alla sostenibilità Francesca Gambarotto

E poi c'è la bioeconomia

Ma a crescere in Italia è anche il settore della bioeconomia, secondo quanto affermano le aziende stesse, a giudicare dalla decima edizione del rapporto “La bioeconomia in Europa”, presentato a Ravenna il 20 giugno 2024 e curato dal Research Department di Intesa Sanpaolo in collaborazione con il Cluster SPRING e Assobiotec-Federchimica. Solo nel 2023, il nostro Paese ha registrato una crescita significativa nelle attività legate alla bioeconomia, che ora rappresentano il 10% del valore totale della produzione e il 7,6% dell'occupazione complessiva.

La bioeconomia ha avuto un boom nel 2022, probabilmente a seguito dell'aumento dei prezzi e dei blocchi di mercato successivi all'inizio della guerra in Ucraina. È poi cresciuta nel 2023, anche se a ritmi più moderati e con performance variegate tra i diversi Paesi europei. La Germania, pur segnando un lieve calo, si conferma al primo posto per valore della produzione (542,9 miliardi di euro) e occupazione (circa 2,1 milioni di persone). Spagna, Francia e Italia mostrano un miglioramento. Francia e Italia, in particolare, hanno fatto segnare incrementi del valore della produzione superiori al 20% rispetto al 2021.

L’Italia è al terzo posto per valore della produzione, che raggiunge 437,5 miliardi di euro, con un aumento di 9,3 miliardi rispetto al 2022, e al secondo posto per occupazione, con circa 2 milioni di lavoratori impiegati nel settore. Complessivamente, il valore della bioeconomia nei quattro principali Paesi europei (Francia, Germania, Spagna e Italia) ammonta a 1.751 miliardi di euro, pari all’8,4% del totale europeo. Ma che differenza c'è tra bioeconomia e economia circolare?

“La bioeconomia è stata introdotta dall'economista Nicholas Georgescu-Roegen negli anni Sessanta" spiega ancora Francesca Gambarotto, "e nasce da una critica al modello economico tradizionale, accusato di ignorare i limiti del pianeta. Georgescu-Roegen sottolineava che il sistema economico è un sistema aperto all'interno di un sistema chiuso, il pianeta, che dispone di risorse limitate. Per questo motivo, insisteva sulla necessità di considerare la ‘vera scarsità’ (true scarcity), ossia la scarsità materiale, in relazione alle leggi della termodinamica. Secondo il principio di Georgescu-Roegen, ogni attività economica genera entropia, cioè un disordine irreversibile, e quindi l'obiettivo dovrebbe essere minimizzare l'entropia prodotta, anziché massimizzarla per sostenere un modello di produzione incentrato esclusivamente sul mercato. In questa visione, la bioeconomia propone un funzionamento economico orientato alla sufficienza di beni e servizi necessari per la conservazione della specie umana e il benessere delle persone, privilegiando un modello basato sulla felicità individuale piuttosto che sulla crescita illimitata. L’economia circolare mira, invece, a chiudere i cicli di produzione e consumo per ridurre gli sprechi e migliorare l'efficienza nell'uso delle risorse. Tuttavia, essa tende spesso a perpetuare l'attuale sistema economico, concentrandosi sul mantenimento della continuità del modello di crescita tradizionale, sebbene in una forma più sostenibile. Il punto di convergenza tra bioeconomia ed economia circolare potrebbe risiedere nell’adozione dei principi della prima da parte della seconda orientandola verso un’economia che non si limiti a ridurre gli sprechi, ma che metta al centro la sostenibilità delle risorse planetarie e il benessere collettivo. In definitiva, la transizione ecologica, e quindi il modo in cui si evolveranno questi modelli, dipenderà da decisioni politiche e dagli interessi in gioco: se prevarranno quelli della collettività o quelli di gruppi ristretti o élite”.

Non si tratta dunque di un discorso solo produttivo e dell'uso intelligente delle risorse a disposizione, come il riutilizzo di rifiuti o il risparmio energetico. “La transizione ecologica non può prescindere dall’introduzione e dall’interiorizzazione di nuovi valori sociali e ambientali, in grado di orientare le scelte collettive e individuali verso un modello sostenibile. Se ci aspettiamo un cambiamento nelle nostre abitudini di produzione e consumo, è necessario riconoscere che tali trasformazioni richiedono l’adozione di principi etici e culturali che non sono stati trasmessi dal modello economico che abbiamo conosciuto fino ad ora” conclude Gambarotto.

Le biotecnologie per uno sviluppo sostenibile

Non c'è dubbio che quando cerchiamo di riorientare le filiere e i processi produttivi in senso più sostenibile, la scienza e l'innovazione tecnologica giochino un ruolo di primo piano. E uno dei settori probabilmente più promettenti e che può dare un contributo significativo in tanti ambiti diversi è quello delle biotecnologie. Ne abbiamo parlato con Stefano Bertacchi, biotecnologo industriale, ricercatore presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca e divulgatore scientifico molto attivo sui social media, nonché EU Bioeconomy Youth Ambassador della Commissione Europea. Da tempo, nella sua attività di ricerca, si occupa di produzione di molecole di interesse industriale, tra cui le bioplastiche biodegradabili, mediante l’uso di microrganismi, geneticamente modificati o meno: “Le biotecnologie ricoprono un ruolo di rilievo sia nell’ambito dell’economia circolare sia in quello della bioeconomia”. A livello di percezione pubblica, tendiamo ad associare le biotecnologie soprattutto al settore genetico e medico, spiega Bertacchi ma in realtà “le biotecnologie, applicate alla bioeconomia, comprendono tutti i processi che valorizzano materiale organico per vari scopi. Sono utilizzate da secoli, ad esempio, nella produzione di pane, vino, birra e yogurt. Oggi poi trovano applicazioni più avanzate. Basta pensare alla produzione di biocarburanti o di enzimi, proteine che utilizziamo nel settore dei detergenti. Quindi si tratta di tecnologie che giocano un ruolo molto importante in tutta la bioeconomia, tanto che la Commissione Europea punta molto su questo settore e sta preparando una revisione del Piano della bioeconomia per il 2025 che le coinvolgerà direttamente.

Ma le biotecnologie funzionano anche nell’ambito dell'economia circolare, permettendoci di valorizzare sottoprodotti o scarti di alcune filiere trasformandoli in nuove materie prime da lavorare in altri processi. Gli esempi sono tanti: dalla produzione di biogas, utilizzabile al posto di combustibili fossili, a partire dagli scarti delle aziende agricole e dell'industria zootecnica alle bioplastiche biodegradabili o compostabili, che rappresentano un’alternativa sostenibile a quelle convenzionali. Si può intervenire sulle piante, modificandole geneticamente per affrontare crisi come quella climatica o per implementare modelli di agricoltura innovativi. Queste tecnologie spaziano in settori molto diversi, dal tessile all’alimentare, fino ad arrivare a quello energetico”. Ma anche in questo caso, le problematiche da affrontare sono innumerevoli, spiega ancora Bertacchi: “Una delle principali sfide è di natura tecnico-scientifica. Le biotecnologie richiedono molta ricerca, sia pubblica che privata, e quindi molti investimenti e il tempo necessario a ottenere risultati applicabili. Questo aspetto va comunicato chiaramente al pubblico e ai decisori politici. E per questo c’è anche una sfida comunicativa: tecnologie come l’ingegneria genetica o la biologia sintetica spesso suscitano timori, alimentati da anni di disinformazione, soprattutto in Italia. Non bisogna cadere nell’illusione che le biotecnologie possano risolvere ogni problema in modo immediato e perfetto. Sono strumenti potenti ma non infallibili, e richiedono un approccio bilanciato e realistico”.

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