SOCIETÀ

Colonia inglese delle Chagos: un'evoluzione (in parte) positiva

Giunge una notizia relativamente parzialmente positiva per il secolare misfatto coloniale inglese relativo al lontano arcipelago delle Chagos, una sessantina di atolli corallini e piccole isole di palme e sabbie. Nei primi giorni di ottobre 2024 è stato annunciato un accordo bilaterale tra il Regno Unito e Mauritius, ormai si è solo in attesa della definizione finale del relativo trattato fra i due Stati. Dopo ben oltre mezzo secolo di sofferenze, di deportazioni, di contrasti e di processi, le isole Chagos torneranno sotto la sovranità di Mauritius, pur se nulla garantisce quando e come i loro abitanti, esuli da decenni e non pienamente coinvolti nei negoziati, potranno rivedere le proprie case e il proprio ecosistema di origine, di nascita, di vita e di memorie generazionali. Il discutibile ineguale “corrispettivo” dell’accordo è che Diego Garcia, l’isola maggiore, resterà comunque sotto il controllo britannico per almeno altri novantanove (99) anni, fra l’altro (si valuti bene) per continuare a ospitare una base militare di un paese “terzo”, gli Stati Uniti, che la considerano strategica per il bacino oceanico Indiano.

Londra si è dunque sentita obbligata ad attenersi in qualche modo a quanto già stabilito nel 2019 dalle Nazioni Unite, in almeno due diverse occasioni: un parere consultivo della Corte di giustizia internazionale e una successiva risoluzione (non vincolante) dell’Assemblea Generale. Chagos è estesa circa 63, Mauritius 2.040 km². D’altra parte, lo stesso stato nazionale insulare di Mauritius ha una lunga storia coloniale: l’isola si trova a circa 900 chilometri a est del Madagascar (ancor più dalle coste continentali africane) e ha raggiunto l’indipendenza dalla Gran Bretagna soltanto nel 1968. Tre anni prima, nel 1965 Londra aveva deciso di separare amministrativamente le isole Chagos da Mauritius e di creare quello che da lì in poi sarebbe stato chiamato opportunisticamente Territorio britannico dell’Oceano Indiano (BIOT): già allora la “cessione” delle Chagos fu usata come “corrispettivo” (ricatto) per l’indipendenza di Mauritius.

Dal 1966 un accordo fra USA e Regno Unito aveva portato alla creazione formale della grande base militare gestita in forma congiunta dai due paesi “occidentali” su uno degli atolli, il più esteso, appunto Diego Garcia. In cambio di questa concessione, la Gran Bretagna aveva ottenuto uno sconto di 14 milioni di dollari sull’acquisto di missili. In conseguenza di quell’accordo e del successivo scorporo delle isole dall’indipendenza di Mauritius, mentre Londa sosteneva pubblicamente che le isole erano disabitate, fra il 1971 e il 1973 tutti gli abitanti “indigeni” (arrivati perlopiù originariamente come schiavi più di due secoli prima), dediti alla pesca, all’agricoltura e alla lavorazione delle noci di cocco, ovvero fra le 1300 e le 2000 persone, uomini donne bambine bambini, furono deportati lontano dal loro luogo di origine, soprattutto verso Mauritius e Seychelles, divenute entrambe repubbliche, parlamentare e presidenziale.

Comunità dei deportati si sono poi stabilite anche in Inghilterra, principalmente nel Sussex e a Manchester, mantenendo legami con le altre (anche culturali, legate soprattutto alla musica tradizionale). Comunque, moltissimi abitanti delle isole, insieme alle autorità delle Mauritius, hanno poi denunciato Londra e il Regno Unito presso vari organi di giustizia, tanto più che l’intera vicenda dell’indipendenza è stata pure costellata di tensioni e conflitti. L’esito consensuale non è solo merito del nuovo governo Starmer: ci sono voluti almeno due anni e tredici incontri negoziali (iniziati nel 2022) per giungere al recentissimo accordo, che in teoria completa la decolonizzazione istituzionale di quell’area e in pratica costringe però migliaia di colonizzati a restare altrove con i propri nuclei familiari, antichi o acquisiti (quando i singoli non sono morti, visto che è trascorso mezzo secolo dalla deportazione).

D’ora in avanti le Chagos apparterranno a Mauritius, i territori dei due arcipelaghi distano oltre duemila chilometri. L’isola che ospita la base, impiegata anche durante le guerre del Golfo (1991), in Afghanistan e in Iraq (2003), sarà oggetto di una giurisdizione speciale per circa un secolo e così non potrà rientrare nel programma definito “di reinsediamento”, che nel testo Londra si impegna a garantire all’autonoma definizione di Mauritius. Ovviamente, non si parla di “diritto al ritorno”. Fra l’altro, negli ultimi anni sulle Chagos sono approdati dei richiedenti asilo srilankesi di lingua tamil: il loro destino è ancora incerto e non è specificato da nessun passaggio dell’accordo. D’altra parte, il parziale cambio di rotta britannico verso le Mauritius nasce da un’evidente necessità per il Regno Unito di garantirsi il sostegno dei paesi africani a livello internazionale, raggiungibile solo tramite l’abbandono delle posizioni recepite come troppo vetero o neo coloniali.

Un anno e mezzo fa raccontavamo l’epopea sociale e giuridica dei chagossiani che ormai da decenni vivono prevalentemente a Mauritius, richiamando anche due ottimi testi storici recenti, un romanzo e un saggio, complessivamente una vicenda “terribile ed esemplare”.  La storia moderna e contemporanea di quell’ecosistema è tutta coloniale: l’abitato arcipelago fu raggiunto dai portoghesi all’inizio del Cinquecento e poi, per la gran parte dei secoli successivi, fu controllato da Mauritius, che a sua volta era una colonia francese. Col trattato di Parigi del 1814, la Francia cedette Mauritius e le sue dipendenze (comprese le isole Chagos) al Regno Unito, solo con il trattato attuativo dell’accordo l’arcipelago non sarà più una colonia, anche se continuerà a subire un’ampia significativa occupazione “straniera”.

La decolonizzazione nel pensiero e nella pratica non è stata completata. Il colonialismo è una pagina nera della nostra storia europea e, nel caso delle Chagos, dell’attualità del nuovo re e del nuovo governo del Regno Unito. La verità storica e la riconciliazione sociale servono ai nostri diritti universali, per quanto sia poi ardua e conflittuale la coesistenza pacifica (come ben si vede purtroppo). Una delle questioni oggi più discusse riguarda il dominio .io, creato dal regno Unito, usato da molte aziende private e associato all’arcipelago. La presenza online delle Isole Chagos è una questione tecnica e pure simbolica, riflette le tensioni storiche e le aspirazioni di autodeterminazione delle popolazioni locali. In un’epoca in cui l’identità digitale è sempre connessa con qualche realtà fisica, occorre saper bilanciare il diritto all’esistenza e alle aspirazioni nazionali con la presenza digitale, con le tecnologie e le comunicazioni contemporanee. I domini online tradizionali, generalmente legati ai paesi e ai loro sistemi politici, potrebbero rivelarsi inadeguati per rappresentare un territorio “indipendente”, che comunque continua a essere oggetto di contenziosi giuridici e frequentazioni militari internazionali.

Prima o poi bisognerà fare il punto contemporaneo sulle “colonie” che sembrano ormai definitivamente acquisite da alcuni stati europei, di diritto e di fatto. Facciamo un concreto esempio ufficiale: la Francia ha attualmente la suddivisione amministrativa di primo livello espressa in 18 regioni, funzioni e poteri costituzionali non sono proprio coincidenti con le 20 esistenti in Italia (15 a statuto ordinario, 5 a statuto speciale), comunque la principale differenza nell’articolazione è “coloniale”. Ben cinque delle diciotto regioni dipartimentali francesi non sono continentali, bensì “d’oltremare”, non connesse all’Europa via terra bensì sparse nel mondo, connesse via mare e cielo (volendo o potendo), legate alla storia coloniale francese: Guadalupa, Guyana, Martinica, Mayotte, La Riunion.

Ovviamente, la popolazione francese è meticcia da molto tempo prima dell’esistenza del relativo Stato, della conquista e amministrazione di colonie; vale anche per la popolazione degli altri stati europei, del Regno Unito (prima dentro poi fuori l’UE), della stessa Italia. Siamo meticci da decine di migliaia di anni, come specie di Homo sapiens. La questione attiene alla storia del colonialismo, non alla scienza dell’antropologia. Chi ha subito una dominazione coloniale lo sentirà profondamente nella propria e nelle successive generazioni.

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