“Smettete di accettare pubblicità dalle industrie dei combustibili fossili”. A inizio giugno ha usato parole inequivocabili Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, rivolgendosi a governi e aziende. “Molte di loro hanno fatto greenwashing senza vergogna”: con una mano hanno tinto di una patina di verde operazioni dannose per clima e ambiente, mentre con l’altra “ritardavano l’azione climatica con attività di lobbying, minacce legali e massicce campagne pubblicitarie”. Hanno “distorto la verità, ingannato il pubblico e seminato il dubbio” sulla realtà e sui pericoli del riscaldamento globale.
Per petrolio, gas e carbone, secondo Guterres, si dovrebbe arrivare a fare quanto si è fatto con l’industria del tabacco, che pure per anni ha tentato di negare la correlazione tra fumo e malattie respiratorie e cardiovascolari: così come oggi sono proibite le pubblicità delle sigarette, si dovrebbe arrivare a proibire la pubblicità di pratiche insostenibili come la continua estrazione di idrocarburi. Ci siamo battuti per il bene dei nostri polmoni, ora bisogna battersi per il bene del pianeta e della società che dalle sue risorse dipende.
Uno dei punti chiave della riuscita della transizione ecologica sono i comportamenti dei cittadini, che devono essere messi nelle condizioni di compiere scelte il più possibile informate sulle conseguenze delle proprie azioni di consumo, non solo in ambito energetico. La sostenibilità oggi è diventata una strategia di marketing per ogni tipo di prodotto, da quello alimentare al capo di abbigliamento, dai confezionamenti ai cosmetici, passando per elettrodomestici e dispositivi elettronici.
Uno studio di valutazione di impatto della Commissione europea del 2022 ha però trovato che nella maggior parte dei casi i consumatori trovano informazioni fuorvianti o del tutto mancanti sulla sostenibilità dei prodotti che acquistano. Sono carenti le informazioni sull’impatto ambientale dei prodotti lungo tutto il loro ciclo di vita, sulla loro durata o eventuale riparabilità, sull’obsolescenza precoce o programmata e, nel caso di dispositivi digitali, non viene dichiarato se richiedono o meno aggiornamenti.
Abbondano invece i green claims, le rivendicazioni di sostenibilità, definite come “la pratica di suggerire o altrimenti creare l’impressione (in una comunicazione commerciale, di marketing o di pubblicità) che un bene o un servizio abbia un impatto positivo o nessun impatto sull’ambiente, o che sia meno dannoso per l’ambiente di beni o servizi con cui è in competizione”. Può trattarsi di brevi testi o di simboli, di nomi dati a prodotti o ad aziende, o anche solo dell’uso di colori.
Di 150 rivendicazioni di questo tipo, analizzate in Europa da uno studio del 2020 (Enviromental calims in the EU), più della metà (53,3%) sono risultate vaghe, fuorvianti o infondate. Nello stesso anno, un altro lavoro ha trovato che di 344 claim sulla sostenibilità erano falsi il 42%, un dato che ha portato le autorità europee per la protezione dei consumatori a riscontrare una possibile violazione di pratica commerciale, secondo la direttiva sui diritti del consumatore.
Una specifica sottocategoria di rivendicazione sono le etichette di sostenibilità ambientale, o Ecolabel, sviluppate da enti privati o pubblici, no-profit o a scopo di lucro: nel 2020 se ne contavano circa 230 in Europa. Un’altra analisi ha trovato che solo la metà di queste etichette eco adotta sistemi di verifica affidabili, mentre l’altra metà si appoggia su auto-certificazioni o altri metodi ritenuti deboli.
Di conseguenza, le compagnie che fanno lo sforzo, anche economico, di aderire o di sviluppare schemi di certificazione ambientale affidabili si trovano in una posizione di svantaggio rispetto a quelle che fanno uso di etichette non verificate, perché agli occhi del consumatore la differenza non viene notata.
La conclusione che emerge dagli studi è che la proliferazione di etichette e di messaggi fuorvianti è un problema pervasivo: il greenwashing che ne deriva è un serio ostacolo al funzionamento del mercato unico europeo, che intende raggiungere gli obiettivi di sostenibilità e neutralità climatica a metà secolo. Le istituzioni europee hanno quindi avviato una serie di iniziative legislative per affrontare la questione.
#Greenwashing➡️ Brands can trick us into thinking a product is green when in fact it isn’t
— EU_ScienceHub (@EU_ScienceHub) March 29, 2023
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Il 20 febbraio scorso, Parlamento, Consiglio e Commissione europea hanno formalmente approvato una nuova direttiva, proposta a marzo 2022, che entrerà pienamente in vigore da settembre 2026 e garantirà informazioni più corrette sulla sostenibilità dei prodotti acquistati dai consumatori. Fa parte del Piano d’azione per l’economia circolare del Green Deal europeo e della nuova agenda del consumatore e agirà attraverso una serie di emendamenti alla direttiva sulle pratiche commerciali ingiuste (Unfair Commecial Practice Directive – UCPD) del 2005 e a quella sui diritti dei consumatori (Consumer Rights Directve - CRD) del 2011.
“La nuova direttiva proteggerà il consumatore contro le rivendicazioni green fuorvianti, incluse quelle sulle compensazioni carboniche” si legge sul sito del Consiglio. “Farà chiarezza inoltre sulle responsabilità dei commercianti in caso di informazioni (o della loro mancanza) sull’obsolescenza precoce, su aggiornamenti software non necessari o sull’obbligo ingiustificato di acquistare altre parti aggiuntive dal produttore. La direttiva migliorerà inoltre le informazioni disponibili per i consumatori per aiutarli a fare scelte ecologiche e di economia circolare. Per esempio, i prodotti dell’UE porteranno etichette in linea con le informazioni sulla durata dei prodotti”.
Il testo approvato prevede ad esempio che rivendicazioni del tipo “eco-friendly”, “green”, “carbon-friendly”, ma anche “energy-efficient”, “bio-based”, o anche solo “biodegradabile” siano proibite laddove la reale performance ambientale non sia adeguatamente dimostrata da un sistema standardizzato europeo di certificazione e etichettatura, come ad esempio EN ISO 14024.
Sarà inoltre proibito dichiarare una neutralità climatica solo sulla base di compensazioni di emissioni, ovvero sulla base del volontario acquisto di crediti di carbonio associati a progetti di assorbimento di anidride carbonica, che spesso esagerano le emissioni che realmente compensano. L’Europa sta anche lavorando a una nuova cornice per la certificazione delle rimozioni di carbonio.
Quella appena approvata fa parte di un pacchetto di iniziative legislative che include anche la green claims directive, la direttiva sulle rivendicazioni green (GCD), proposta a marzo 2023, ma ancora in fase di negoziazione.
Rispetto alla direttiva approvata a febbraio, la GCD intende aggiungere requisiti più specifici da far rispettare: tra questi ci dovrebbero essere dei criteri minimi in linea con le metodologie di calcolo dell’impatto ambientale (Environmental Footprint), che considerino l’intero ciclo di vita (lifec-cycle assessment) e che comportino la verifica ex-ante da parte di enti terzi. Verrebbe così impedita la creazione di nuove etichette eco a livello nazionale o locale che operino al di fuori della standardizzazione europea.
La GCD però introdurrebbe anche alcune deroghe per alcuni settori già coperti da altri tipi di sistemi di certificazione ed etichettatura, come per esempio il logo bio in ambito alimentare.
C’è inoltre il timore che queste nuove norme gravino in modo sproporzionato sui piccoli produttori. Per questo la direttiva GCD prevederebbe un’eccezione per le microimprese (al di sotto dei 10 dipendenti), reintroducendo di fatto una sorta di auto-certificazione, il cui valore metodologico però sarebbe discutibile.
I prossimi passi dell’iter legislativo prevedono i negoziati tra Consiglio e Parlamento. Trovare un equilibrio tra contrasto efficace al greenwashing e sostenibilità economica e burocratica della norma per tutte le categorie produttive non sarà semplice e infatti si sta discutendo di non imporre un’unica metodologia uguale per tutti, ma adottare un approccio flessibile e adattabile. Occorrerà monitorare che non venga fatto greenwashing sulle iniziative anti-greenwashing.
È difficile valutare l’efficacia di una legge prima della sua entrata in vigore: il diavolo sta nei dettagli e solo il tempo dirà se le rivendicazioni green in Europa diminuiranno grazie a queste nuove direttive europee. Probabilmente non fermeranno immediatamente, come vorrebbe Guterres, le pubblicità fuorvianti dell’industria dei combustibili fossili sui media, nei festival letterari e musicali o nei campionati sportivi, ma forse forniranno un ulteriore cornice normativa, cui iniziative legali dal basso come le climate litigations potranno appoggiarsi.