SOCIETÀ

L'avanzata dell'estrema destra e quel firewall politico inceppato

Il premier spagnolo Pedro Sanchez l’ha detto con chiarezza pochi giorni fa, in occasione del 50° anniversario della morte del dittatore Francisco Franco, uno snodo cruciale per la Spagna, che portò all’affermazione della democrazia: «Il fascismo che pensavamo di esserci lasciati alle spalle è ormai diventato la terza forza politica in Europa», ha ricordato Sanchez. «Ma i regimi autocratici stanno avanzando in tutto il mondo. Se la storia ci insegna qualcosa, è che la libertà non si conquista mai definitivamente, è qualcosa che si può perdere. Può succedere di nuovo. E non c’è bisogno di avere una particolare ideologia, di sinistra, di centro o di destra, per guardare indietro con grande tristezza, e anche con grande terrore, agli anni bui del regime di Franco. Per evitare che questa regressione si ripeta, basterebbe essere democratici». Parole accorate, ma chi le ascolta? A cosa serve parlare, denunciare, mettere in guardia mentre l’Europa tutta continua a colorarsi di nero? Guardiamola la cartina, e teniamola a mente: dalla Finlandia all’Italia, passando per i Paesi Bassi, per la Svezia e l’Ungheria, per la Slovacchia e la Croazia, le formazioni di estrema destra (a volte in coalizioni con partiti conservatori, a volte come capofila) hanno saldamente tra le mani la guida dei rispettivi esecutivi. In Austria Herbert Kickl, esponente del Partito della Libertà (FPO) di estrema destra ha ottenuto l’incarico per formare un nuovo governo. In Portogallo la formazione di destra radicale Chega ha più che triplicato i suoi seggi alle legislative dello scorso marzo. Ma a preoccupare, per il 2025, è anche la Germania, dove a breve (23 febbraio) si terranno le elezioni anticipate, con la formazione neonazista di Alternative für Deutschland (AfD) che tallona nei sondaggi i cristiano-democratici della CDU. E la Francia, dove il “peso” del Rassemblement National di Marine Le Pen continua a crescere e a farsi sempre più minaccioso per l’Eliseo; con Macron, il cui mandato scade nel 2027, che deve fare i conti con un indice di popolarità mai così basso: appena il 17%. Semmai i due “pesi massimi” dell’Europa dovessero finire tra le mani degli estremisti di destra, l’Unione così come l’abbiamo conosciuta finora potrebbe andare in frantumi.

Il presidente francese è stato tra l’altro esplicito nel puntare il dito, pur senza mai nominarlo, contro Elon Musk, il multimiliardario sudafricano ormai onnipresente sulla scena politica globale (ne sappiamo qualcosa noi in Italia con l’affare Starlink), soprattutto da quando “siede” accanto al presidente americano Donald Trump, accusato da Macron di voler sostenere “una nuova internazionale reazionaria” e di interferire nelle elezioni di altre nazioni, come Francia, Gran Bretagna, anche in Germania con il suo sfacciato sostegno alla leader dell’AfD, Alice Weidel. Anche a costo di sfidare il ridicolo e di ribaltare la storia (in un livestream sulla sua piattaforma X, Musk e la Weidel hanno sostenuto che Hitler era un comunista). A Musk ha dedicato un passaggio anche il premier spagnolo Sanchez: «L’internazionale reazionaria, come l’ha definita Macron, o l’internazionale di estrema destra che denunciamo da anni anche in Spagna, guidata in questo caso dall'uomo più ricco del pianeta, attacca apertamente le nostre istituzioni, incita all’odio e chiede apertamente sostegno agli eredi del nazismo in Germania alle prossime elezioni. Tali azioni rappresentano un problema e una sfida per coloro che credono nella democrazia».

Quel firewall non funziona più

Quando le parole diventano così esplicite vuol dire che c’è un allarme che suona, insistente, preoccupante. Che i firewall politici non funzionano più. Come spiega Adrian Favero, Assistant Professor in Politica e Società Europea presso l’Università di Groningen, nei Paesi Bassi. «Per decenni, un “cordone sanitario” politico ha tenuto i partiti di estrema destra fuori dalle coalizioni di governo, ma i loro crescenti successi elettorali stanno rendendo questa strategia sempre più difficile da mantenere. L’influenza delle forze di estrema destra si è estesa anche al Parlamento europeo, dove gruppi come l’Europa delle Nazioni Sovrane, guidate dall’AfD, detengono ora 25 seggi e i Patrioti per l’Europa, guidati dal partito Fidesz di Orban, hanno 86 seggi. La domanda è: se guadagnano sempre più terreno, per quanto tempo possono resistere questi firewall? Nel 2025 vedrete che dai partiti di estrema destra arriveranno richieste sempre più pressanti di essere inclusi nei governi o nelle coalizioni». Quanto alle ragioni dei più recenti successi dell’estrema destra, il professor Favero sottolinea la loro continua aderenza alla narrativa populista del “popolo contro l’élite”, che rimane una pietra miliare della loro strategia politica: «Ci sarà una continua battaglia contro l’élite in modo molto populista o contro l’establishment, ma rimarranno centrali nella loro retorica anche questioni culturali come l’immigrazione e l’identità nazionale». Non accade, e non accadrà, soltanto in alcune nazioni, ma in tutte, ovunque. Come uno schema, come un franchising.

Ma quello schema piace agli elettori, soprattutto ai più giovani: delusi, emarginati da un punto di vista personale ancor prima che sociale (scarse opportunità di lavoro e di crescita, salari bassi), delusi dalle forze politiche “tradizionali” che si sono distratte inseguendo altri temi. Affascinati, evidentemente, dai continui richiami all’identità nazionale, alla protezione dei confini dalle invasioni di migranti, fino alla difesa della “famiglia tradizionale”. Come conferma Pascal Delwit, professore di scienze politiche all’Université libre de Bruxelles (ULB): «Molti elettori si sentono trascurati e credono di essere stati abbandonati a loro stessi. Esprimono anche preoccupazioni per l’immigrazione, con la sensazione che i flussi migratori siano ora troppo grandi e contribuiscano a mantenere i salari troppo bassi». Replicando, di fatto, il binario portante della narrazione delle destre estreme. «E non si tratta di una tendenza a breve termine - precisa il professor Delwit -, ma piuttosto di un movimento politico che si sta costruendo da quasi due decenni».

Come dire: attenzione, questa “onda nera” non è una meteora. E ci sono ragioni sufficienti per sostenere che l’avanzata di quei partiti crescerà ulteriormente anche nel corso del 2025. Nei singoli stati dove si voterà (Germania, Repubblica Ceca, Polonia, Irlanda), ma anche a livello comunitario, dove ormai la destra moderata (il Partito Popolare Europeo) si è resa disponibile a forme di collaborazione con forze politiche che fino a pochi anni fa erano considerate “impresentabili”. Ora non più: la stessa rielezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione è la prova di questo brusco spostamento a destra degli equilibri politici europei, con i Socialisti, i Liberali e soprattutto i Verdi che sembrano aver smarrito qualsiasi capacità d’incidere, di farsi ascoltare, di trovare le parole giuste, gli argomenti giusti.

Il caso Musk: indaga anche l’UE

La questione Elon Musk non è marginale e non dev’essere sottovalutata. In pochi giorni l’uomo più ricco del mondo ha trovato il tempo per accusare pubblicamente, senza alcun fondamento, il primo ministro britannico Sir Keir Starmer, laburista, di essere stato “complice di stupri di massa”, riferendosi a un caso emerso nel 2014; di scagliarsi contro i giudici italiani che hanno liberato alcuni migranti che erano stati trattenuti nei controversi centri off-shore in Albania (“These judges need to go“,  questi giudici devono andarsene, aveva scritto Musk sulla sua piattaforma); di definire il cancelliere tedesco Olaf Scholz «un pazzo incompetente», dopo l’attentato al mercatino di Natale di Magdeburgo. Scriveva pochi giorni fa il Financial Times: «Le democrazie europee si trovano ad affrontare una nuova minaccia di influenza e disinformazione online, non proveniente da autocrazie come la Russia, ma proveniente dagli Stati Uniti. Elon Musk, il proprietario di X e alleato di Donald Trump, sta usando la sua rete per denigrare i leader che non gli piacciono e promuovere opinioni e politici di estrema destra. Nel frattempo, il CEO di Meta, Mark Zuckerberg, sta passando a un approccio in stile Musk che dà la priorità alla “libertà di parola” rispetto al fact-checking indipendente sulle sue piattaforme Facebook e Instagram. I leader europei potrebbero temere che se si scontreranno con questi miliardari statunitensi nel tentativo di salvaguardare le loro democrazie, potrebbero ora affrontare una punizione da parte della stessa Casa Bianca».

Il ministro degli Esteri francese, Jean-Noël Barrot, che non esclude l’ipotesi di un divieto di diffusione per il social X in Europa, ha appena chiesto alla Commissione Europea di intervenire con la massima fermezza contro le interferenze straniere nella politica europea. La Commissione ha già avviato, lo scorso dicembre, un’indagine formale sull’operato di X, ipotizzando che la società di proprietà di Elon Musk abbia violato le norme relative al Digital Service Act (DSA). L’eurodeputato dei Verdi, Damian Boeselager, tedesco, la riassume così: «Se c'è una violazione del DSA, vorrei avere una reazione rapida. Se Elon Musk aumenta la propria portata d’influenza per raccomandare un partito, l'AfD in Germania alle elezioni tedesche, e se questo è illegale ai sensi dei DSA, allora richiederà una risposta rapida». Thomas Regnier, portavoce della Commissione europea: «Attraverso gli algoritmi è possibile promuovere un certo tipo di narrazione. Un livestream non è in linea di principio vietato dalla DSA. Ora, quanto è o potrebbe essere amplificato? Questo è ciò che la Commissione esaminerà». Il prossimo 24 gennaio, informa la rete televisiva Euronews, è previsto un incontro tra la Commissione europea, l’autorità di regolamentazione tedesca e le più grandi piattaforme digitali, tra le quali anche X, con l’obiettivo di prevenire interferenze nelle elezioni in Germania.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012