Il romanzo Esercizio di obbedienza di Sarah Bernstein, edito da Codice nel 2024, mette in scena il mondo interiore di una protagonista senza nome che per buona parte della sua vita si è dedicata a compiacere gli altri, e si ritrova spiazzata nel momento in cui cerca di integrarsi in una piccola comunità che prima è diffidente, e poi, forse, la esclude.
Durante la lettura, in realtà, non riusciamo mai veramente a capire se sia in atto una vera e propria esclusione, o se assumere il punto di vista della protagonista porti in qualche modo il lettore a mal interpretare la realtà o se, ancora, l’esclusione sia il risultato di una profezia che si autoavvera, e quindi il personaggio, sentendosi escluso senza ragione, mette in atto dei comportamenti che alla fine la portano effettivamente all’ostracismo.
In ogni caso, anche se il filtro dell’interiorità impedisce di darsi spiegazioni completamente esaustive, il romanzo è l’occasione per fare una riflessione su temi come obbedienza, socializzazione ed esclusione, perché, anche se non lo capiamo fino in fondo, il comportamento della protagonista trova riscontro in dinamiche psicosociali ben documentate e studiate, come ci ha spiegato Lorenzo Montali, docente di psicologia sociale all’università Milano-Bicocca.
Uno dei punti cruciali del romanzo, come suggerisce il titolo, è l’obbedienza, vista come una richiesta esterna alla quale la protagonista deve sottomettersi. La sua sembra la mera esecuzione di un imperativo categorico kantiano, che non viene mai realmente spiegata nelle sue motivazioni, ma solo accennata. Montali cita il famoso e discusso esperimento di Stanley Milgram, che ha dimostrato come individui comuni fossero capaci di eseguire ordini contrari alla loro morale personale, se queste richieste provenivano da una figura riconosciuta come autorità legittima.
Nel romanzo, l’obbedienza è una componente essenziale della socializzazione della protagonista, che fin da bambina ha interiorizzato il bisogno di compiacere gli altri, ma il libro sembra lasciare poco spazio alla narrazione degli eventi che l’hanno portata a questa condizione: la protagonista si percepisce come profondamente obbediente, ma il lettore non ha accesso alle esperienze concrete che hanno forgiato questa parte del suo carattere e, senza la narrazione di episodi specifici, si trova di fronte agli esiti di un processo che non comprende appieno.
“ Soddisfacevo ogni loro desiderio, alleviavo ogni loro minimo fastidio con perfetta obbedienza, con totale devozione, tanto che con il tempo i loro desideri divennero i miei Sarah Bernstein
“Il romanzo – chiarisce Montali – ha la forma di un flusso di coscienza in cui l’unica voce narrante è quella della protagonista, quindi quella che leggiamo è solo la sua prospettiva sugli eventi, che talvolta è peraltro contraddittoria. Da lettore quindi non so se quello che leggo è il vaniloquio di una persona incapace di confrontarsi con la realtà o è l'esito di un processo di educazione che viene impressa in qualche modo che non conosco, perché il romanzo manca della narrazione di episodi specifici. La protagonista si limita infatti a raccontare che la famiglia le aveva chiesto una generica obbedienza, che lei ha sempre praticato. Il punto è che per comprendere un esito, l’obbedienza assoluta di cui parla la protagonista, avremmo bisogno di conoscere meglio il contesto e il processo attraverso il quale si è determinato. Per esempio, nel caso del suo esperimento Milgram spiega quali sono le precondizioni perché ci sia obbedienza: bisogna che ci sia una disponibilità verso questo comportamento, che può essere favorita dall’educazione ricevuta, è necessario che ci sia un'autorità riconosciuta come legittima a cui obbedire e l’ordine deve essere specifico e non generico”.
Sicuramente nel caso del libro questa oscurità e quest’ambiguità sono volute, perché permeano anche tutto il resto della storia, lasciando nel lettore una sensazione di spaesamento che non gli consente di decidere con certezza sulla verità del racconto e di empatizzare con la protagonista. Chi conosce l’esperimento di Milgram sa che in molti casi i suoi partecipanti sono visibilmente tormentati, in conflitto tra il desiderio di obbedire all’autorità e la consapevolezza di poter fare del male alle persone: la loro obbedienza non è un processo semplice o privo di resistenze interne, mentre la protagonista del romanzo sembra conviverci serenamente: l’obbedienza nel suo caso appare quasi come un dato di fatto, senza un racconto esplicito di come abbia vissuto i suoi dubbi o il suo disagio. Il lettore si trova così di fronte a un personaggio che ha già accettato la propria condizione, senza avere accesso al processo che l'ha portata a questo. E forse ce ne sarebbe bisogno, visto il suo dualismo, che appare in questo senso contraddittorio: nonostante la sua obbedienza, si descrive anche come una persona ribelle, quindi il lettore si domanda cosa abbia trasformato una figura potenzialmente anticonformista in un soggetto così strettamente omologato.
Di sicuro interesse per la psicologia sociale è anche un altro tema del libro, il serpeggiare delle voci e dei mormorii e gli effetti che genera. Non sappiamo se siano reali o se la protagonista stia esagerando la situazione, ma il romanzo descrive bene alcuni andamenti tipici di questo fenomeno, come il fatto che possa prendere di mira chi è nuovo in un contesto, o che abbia la funzione di offrire una spiegazione per qualcosa di inconsueto e problematico che un gruppo si trova ad affrontare, per esempio le tante disgrazie che affliggono la comunità proprio da quando la protagonista vi ha fatto il suo ingresso: “Le voci – spiega Montali – aumentano di importanza e di drammaticità man mano che si diffondono e usano continuamente nuovi eventi per confermarsi, indipendentemente dalla verità di questi eventi. È un fenomeno sociale che può alimentarsi di pregiudizi ed è un prodotto sociale, il prodotto di un gruppo. Anche volendo, non si riuscirà a individuare chi ha raccontato la storia per primo, perché questa storia è sempre l'esito di un processo di trasmissione e spesso, ma lo vedremo, il risultato è che l’oggetto di queste voci viene considerato colpevole di qualcosa indipendentemente dai fatti”.
“ Era comunque piuttosto evidente che mi accusavano di una malefatta, ma in una maniera e in una lingua che non comprendevo, così che non potevo controbattere Sarah Bernstein
La storia si muove anche attorno al tema dell’esclusione sociale, analizzando il modo in cui la protagonista si sente alienata dalla comunità degli abitanti del nuovo paese in cui va a vivere. Come funziona, in generale, l’ingresso di un nuovo membro in un gruppo?
“Il processo di socializzazione – spiega Montali – è un processo biunivoco: da una parte io mi chiedo se può interessarmi entrare in un certo gruppo, dall’altra parte lo stesso lavoro di valutazione lo fa anche il gruppo su di me. In caso di risposta positiva da entrambe le parti, si prosegue nel percorso di socializzazione, che è un percorso che attraversa delle fasi di avvicinamento graduale per cui da non-membro del gruppo passo a neomembro e devo imparare il funzionamento specifico di quel gruppo, devo fare degli sforzi e apprendere quali sono le norme e gli standard del gruppo, che a sua volta ha il compito di trasmettere queste norme e questi comportamenti. Con il tempo divento un membro a pieno titolo del gruppo e, se necessario, posso negoziare nuove regole man mano che conquisto una posizione di maggior potere”.
Inizialmente in Esercizio di obbedienza questo processo c’è, perché la protagonista comincia a lavorare nella fattoria comunitaria del paese. Poi però qualcosa si rompe: il suo coinvolgimento nella fattoria è caratterizzato da una serie di fallimenti e incomprensioni. Viene assegnata a compiti secondo lei umili e ripetitivi, come pulire le stalle e occuparsi degli animali, lavori che accentuano il suo senso di subordinazione e di estraneità, anche perché non la mettono in contatto con altre persone. La fattoria comunitaria diventa quindi un microcosmo in cui si giocano le stesse dinamiche di esclusione e sospetto che caratterizzano la vita della cittadina. I paesani, che lavorano insieme da anni e condividono un forte senso di appartenenza, non fanno nulla per facilitare l’integrazione della protagonista, almeno a quanto lei ci racconta. È un’interpretazione viziata dal racconto in prima persona, o c’è davvero della xenofobia? Anche qui, in mancanza di eventi specifici, non lo sappiamo. Di certo la dinamica è plausibile.
“ Tutti i miei sforzi, compresi con grande tristezza, erano stati vani, verosimilmente erano destinati a fallire fin dal principio. Non mi erano valsi la cittadinanza in quel luogo Sarah Bernstein
Il suo senso di esclusione si fa ancora più evidente quando la mandria della fattoria impazzisce improvvisamente e deve essere soppressa. L’episodio è descritto in termini crudi e violenti, con le vacche che vengono abbattute una dopo l’altra. La protagonista, pur non essendo direttamente coinvolta nell’evento, percepisce che i paesani la incolpano tacitamente per quanto accaduto. Anche se non ci sono accuse esplicite, il suo ruolo di outsider la rende un facile bersaglio per le paure e le frustrazioni della comunità, e nonostante i suoi sforzi per contribuire alle attività del gruppo lei non riesce a sfuggire al suo ruolo di colpevole designata. Ogni azione che compie sembra peggiorare la situazione, e la sua presenza è vista come una minaccia all’equilibrio della fattoria e, più in generale, della comunità.
Ma perché dovrebbe essere colpa sua se gli animali impazziscono? Il processo di attribuzione delle cause si sviluppa qui seguendo una logica correlazionale: la comunità osserva che la presenza della protagonista coincide con l’inizio dei problemi e, di conseguenza, la identifica come la causa. Questo tipo di logica è analoga a quella descritta in alcuni modelli della psicologia sociale che spiegano come può funzionare la nostra attribuzione di cause agli eventi. La causa viene infatti rintracciata in quel fattore che è percepito presente quando l’effetto è presente, e percepito assente quando l’effetto è assente. In questo caso, il bisogno di spiegare eventi sconvolgenti porta a individuare un colpevole che possa essere escluso o punito. La protagonista diventa così il bersaglio di un meccanismo che non può controllare.
Per comprendere questo esito nel caso del libro c’è un altro aspetto da considerare, come suggerisce Montali: l’identità culturale ed etnica della protagonista. Nel romanzo viene accennato più volte al fatto che la protagonista sia ebrea, un dettaglio che non viene mai approfondito, ma che sembra influenzare ulteriormente la percezione che la comunità ha di lei. Questo si combina con il suo essere donna e straniera, rendendola un bersaglio ideale per il meccanismo di attribuzione delle colpe. La storia ci insegna come i pregiudizi siano spesso la base che giustifica dinamiche di esclusione e aggressione sociale.
Montali richiama poi il concetto di "capro espiatorio", che può essere una delle conseguenze del processo attributivo: “Il gruppo può decidere – spiega - che la responsabilità di questi eventi è di qualcuno e dare l’avvio a un meccanismo di esclusione sociale, di ostracismo o talvolta, come ci mostra la storia, di persecuzione ed eliminazione delle persone cui viene attribuita la responsabilità di un qualche evento negativo. Noi sappiamo che questo meccanismo viene favorito per esempio dentro gruppi che hanno una matrice di tipo autoritario, in cui cioè l'autorità indirizza il gruppo verso un capro espiatorio. Spesso questo processo si indirizza verso l’estraneo, lo straniero, la persona che non si conosce, che non condivide la cultura del gruppo oppure quella che appartiene a un sottogruppo oggetto di pregiudizio, come per esempio gli ebrei nel regime nazista. Il processo di ostracismo ha un impatto molto rilevante sui soggetti ostracizzati, ed è sempre un impatto negativo, anche perché stare dentro a un gruppo evolutivamente è stata una delle ragioni della nostra sopravvivenza come specie, quindi da questo punto di vista l'esclusione dal gruppo provoca un dolore sociale che ha un impatto rilevante sulla psicologia delle persone”.
Nel libro, però, la protagonista sembra farci pace abbastanza facilmente, ricostruendo con il fratello un gruppo più ristretto in cui lei può ricoprire un ruolo dominante grazie alla malattia di lui. Per quanto l’ostracismo possa essere più o meno doloroso, in questo caso, leggendo la storia, viene da chiedersi quanto lei fosse effettivamente interessata a essere parte del gruppo. “Da una parte lo era” spiega Montali “come mostra il suo desiderio di partecipare ai lavori della comunità per essere accettata. Dall’altra, va considerato che in molti punti del romanzo la stessa protagonista sottolinea il suo essere da sempre una persona solitaria. Ancora una volta ci troviamo dunque di fronte a un personaggio sfaccettato o contraddittorio, ed al lettore viene lasciato il compito di decidere qual è la verità in questa vicenda”.