Ultimamente per Elon Musk le cose si stanno mettendo piuttosto bene: durante la campagna elettorale è stato un grande sostenitore di Trump, che ha aiutato con donazioni e attività di lobbying, nonché esprimendo il suo sostegno pubblico. Dopo la vittoria del suo candidato, è stato nominato capo di un nuovo ente, creato appositamente, chiamato "Dipartimento per l'efficienza del governo" (DOGE, in riferimento alla criptovaluta Dogecoin, sostenuta da Musk). Forse a posteriori dovremmo chiedergli scusa per non aver capito che trasformare X (ci siamo abituati a non chiamarlo più Twitter) nel suo ufficio stampa e megafono personale poteva essere una scelta efficace a lungo termine (nemmeno troppo lungo se ci si pensa), anche se, ci permettiamo, un po’ costosa (ma anche qui, stiamo a vedere, perché i vantaggi che le sue aziende potrebbero trarre dalla nuova “partnership governativa” potrebbero rivelarsi ben superiori a quanto immaginiamo, soprattutto in settori strategici come l'esplorazione spaziale e la mobilità sostenibile). Rimane però il dubbio se la piattaforma, nel suo nuovo ruolo di "megafono governativo", riuscirà a mantenere la fiducia di una base di utenti sempre più critica e frammentata.
Sono molte, infatti, le critiche riservate a Musk e a X: molti se la prendono con le sue dichiarazioni che ritengono divisive e razziste, e se prima le esprimeva a livello personale il discorso cambia nel momento in cui è diventato un personaggio politico che tende a usare X per influenzare il dibattito pubblico, magari prendendosela con i giudici italiani. Alcuni personaggi come Elio e le Storie Tese e Piero Pelù hanno abbandonato i propri account, definendo X un pericolo per la democrazia, e lo stesso hanno fatto giornali come il Guardian e, rimanendo in Italia, Valigia Blu.
Perché abbiamo deciso di lasciare X di Elon Musk https://t.co/wJl5MYxBje via @valigiablu
— Valigia Blu (@valigiablu) October 28, 2024
Il problema però è sempre lo stesso: per chiudere un profilo su un social network basta salvare i dati e schiacciare un pulsante, ma questo significa ridurre la platea di persone da raggiungere. Nel caso specifico, poco male: su X i link esterni sono fortemente penalizzati, quindi per una testata giornalistica la scelta era quella di raggiungere poche persone stando su X e non raggiungerne nessuna abbandonandolo: in una strategia di comunicazione che ponderi costi e benefici (oltre che naturalmente l’etica) non era una decisione difficile da prendere, e anzi ci si potrebbe stupire del fatto che non l’abbiano presa più testate.
La difficoltà, però, è quella di trovare un piano B, visto che i link sono penalizzati da quasi tutte le piattaforme social, ed è sempre più difficile portare i lettori sul sito di un giornale. Un altro settore che per anni aveva trovato in Twitter il suo social di elezione era quello degli accademici, ricercatori e divulgatori. Si era creata una bella rete, un’atmosfera collaborativa fatta di scambi e nuovi spunti, ma nel tempo era andata erodendosi, anche a causa di un algoritmo che privilegiava i contenuti più divisivi lasciando in un angolo quelli che avrebbero potuto contribuire al dibattito scientifico. Questa era una problematica che si sentiva già in passato, ancora prima dell’acquisto da parte del magnate e che non è estranea anche ad altre piattaforme. Musk aveva però esacerbato la situazione, licenziando membri dello staff nei settori della moderazione e dell’etica, amplificando teorie complottiste e di estrema destra e trasformando in ultima analisi Twitter/X nel regno della pornografia, delle fakenews e dello spam. Con gli ultimi eventi elettorali, è diventato se possibile ancora più urgente trovare un’alternativa per preservare la comunità scientifica e il suo dibattito, così i ricercatori hanno cominciato a guardarsi intorno e hanno trovato il luogo ideale per il loro esodo: Bluesky, con il suo logo a farfalla azzurra che rimanda proprio a Twitter.
I lettori più attenti a questo punto forse sono stati colti da una sensazione di déjà-vu: anche nel 2022 era successa una cosa del genere, e dopo la notizia dell’acquisizione di Twitter da parte di Musk, molti ricercatori avevano abbandonato X, vista l’aria che tirava. All’epoca però a spopolare era stato Mastodon, un social open source (cioè con codice accessibile a tutti) decentralizzato in cui ognuno poteva creare e gestire la propria community basata sugli interessi comuni, e le singole community potevano anche interagire tra di loro, creando nuovi terreni di discussione. Anche Bluesky è una piattaforma social che si presenta come un’alternativa a X, e come Mastodon (con cui tra l’altro ora può comunicare) ha un approccio più incentrato sulla libertà dell’utente. Nei social tradizionali, non solo X ma anche quelli del gruppo Meta e altri, tutto è stabilito dall’alto, c’è un algoritmo che decide cosa edrai, a volte le regole di moderazione sembrano piuttosto arbitrarie e il controllo degli utenti, anche nel caso di segnalazioni, è scarso. Bluesky cerca di risolvere questi problemi dando alla community maggiori poteri: si basa su un sistema chiamato AT Protocol, che permette a diversi server (piccoli "mondi" virtuali) di connettersi tra loro. Tu scegli il server dove vuoi stare, ma puoi comunicare con gli altri. I feed sono personalizzabili: puoi evitare i contenuti che non ti interessano scegliendo come ordinare il tuo feed (cioè i contenuti che vedi nella tua homepage personale). Se vuoi vedere solo meme scientifici o solo post dei tuoi amici, puoi farlo.
Dove avevamo già visto qualcosa di simile? Ah, sì, su Mastodon, appunto. Che alla fine è rimasto un social di nicchia. La situazione è la stessa: Bluesky sta attirando persone che cercano un social media più autentico e meno stressante, in cui non ci sia la pressione di fare numeri enormi (anche perché per ora parliamo, in generale, di pochi utenti, 20 milioni contro i 570 milioni di X a luglio) o la paura che un algoritmo seppellisca i post interessanti. Un social meno tossico, meno divisivo, dove si possa discutere senza ritrovarsi in balia di troll ed hater. Ciliegina sulla torta, Bluesky per ora non penalizza i link in uscita, e rappresenta quindi da questo punto di vista un’alternativa molto valida a scopo editoriale ma anche accademico, tanto più che al momento non ci sono annunci pubblicitari a pagamento. Il problema però è sempre lo stesso di Mastodon: gli esodati rimarranno o diventeranno inattivi com’è successo lì? E si riuscirà a popolare questo social che in realtà non è nuovissimo ma del 2023, quando però si poteva entrare solo su invito?
Qualche sprazzo di ottimismo c’è, almeno nel settore scientifico
Neuroscience-related posts on Bluesky surged last week following an influx of users—including many neuroscientists. Chart by @callimcflurry.bsky.social.
— The Transmitter (@thetransmitter.bsky.social) 18 novembre 2024 alle ore 19:45
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Ma anche nel panorama più roseo, cioè quello in cui l’intera comunità accademica si spostasse su Bluesky e cominciasse a usarlo come il Twitter dei tempi d’oro, è lecito aspettarsi che questa piattaforma rimanga la stessa? Questo clone di X, infatti, era nato come un progetto interno di Twitter sotto la guida di Jack Dorsey, quando era ancora CEO della piattaforma. Nel 2022, poco prima che Elon Musk acquistasse Twitter, Bluesky è diventato una società indipendente, proseguendo il suo sviluppo autonomamente. Ora, per quanto Jack Dorsey non sia paragonabile a Elon Musk, non si può dire che sia un filantropo, e comunque è solo uno dei membri del consiglio di amministrazione di Bluesky, che forse un giorno vorrà monetizzare la sua creatura, anche perché nessuno degli investitori metterebbe soldi senza che sia previsto un ritorno di qualche tipo. Magari Bluesky non introdurrà un algoritmo classico, visto che il social si è posizionato in netta opposizione a questo approccio (ma non si sa mai…), però non si può dire che le piattaforme social prive di annunci pubblicitari fino a ora abbiano fatto molta strada: a un certo punto è quasi d’obbligo trovare dei proventi da investire in tecnologia, e difficilmente potrebbero provenire da un’iscrizione a pagamento (che anche su Meta e X costituisce solo una piccolissima parte dei ricavi), perché non ci sono per ora abbastanza iscritti per renderlo sostenibile e perché fino a questo momento sono tutti in una fase in cui domina la curiosità, ma non ci si è ancora affezionati.
Oltre a questo, X ha già un diretto concorrente, che è Threads, della famiglia Meta. Un’altra copia del social di Musk che dopo poco più di un anno ha già annunciato l’arrivo della pubblicità, e che vanta 275 milioni di utenti al 26 novembre 2024. È vero che è un social tradizionale, che tra l’altro non ha fatto breccia tra il target accademico, e che Bluesky l’ha superata nella classifica delle app, ma non c’è dubbio che contribuirà a diluire gli utenti tra varie alternative, contando peraltro su budget più alti, e se su Bluesky si volesse fare divulgazione, oltre che confrontarsi internamente tra gruppi di persone che si occupano delle stesse cose, sarebbe un ostacolo, tanto più che il CEO di Threads, Adam Mosseri, sentendosi il fiato sul collo ha dichiarato che Meta sta accelerando i nuovi progetti per questo social (per esempio la pubblicità) e intende aggiungere a breve nuove funzionalità (oltre quelle che ha già copiato proprio da Bluesky, come Starter Pack, la lista ragionata di utenti consigliati che ogni profilo può stilare, o la possibilità di vedere solo i post dei profili seguiti).
In un panorama così variegato, c’è da chiedersi perché le aziende, o, ancora meglio, le grandi università, non abbiano ancora pensato di creare il loro social, dove scienziati, ricercatori e accademici possano confrontarsi tra di loro, magari coordinando da lì iniziative di divulgazione sui social più popolari: la vera soluzione nel settore accademico potrebbe essere questa, invece che svolazzare da un social all’altro a seconda che si preferisca un uccellino o una farfalla.