SCIENZA E RICERCA

Il Sole e la quiete prima della tempesta, una sfida per gli scienziati

È iniziato tutto con l’astronomy picture of the day pubblicata dalla NASA il 6 marzo 2019: la nostra stella preferita, il Sole, è apparsa tutta “pulita” durante il 2018, senza macchie solari se confrontata, ad esempio, con la sua versione del 2012. E ad oggi è ancora così.
Un Sole come non lo si vedeva da anni, più di 10 per l’esattezza, e che negli ultimi mesi ci ha regalato immagini affascinanti, mostrandosi come un disco uniforme e ben definito. Calma è quello che le fotografie astronomiche trasmettono a chi le guarda, eppure parlare di calma non è proprio corretto. Se infatti da un lato possiamo definire il fenomeno dell’assenza di macchie solari “la quiete prima della tempesta”, e cioè un momento di “calma” prima di un ritorno di attività solare visibile sulla superficie della nostra stella, dall’altro anche in questa quiete è presente un’attività più turbolenta di quanto si possa immaginare. 
E per gli scienziati, riuscire a prevedere questi comportamenti del Sole, è una nuova sfida.

Le macchie solari sono il riferimento per valutare l’attività del Sole. Sono regioni della fotosfera, la superficie della nostra stella, che presentano una forte attività magnetica e una temperatura inferiore di circa 2000 kelvin rispetto alle zone circostanti, risultando quindi più scure. Le si osserva da molto tempo, forse addirittura dagli astronomi cinesi del I secolo d. C., ma le prime osservazioni fatte con l’utilizzo di un telescopio risalgono al 1600 per opera di Johannes e David Fabricius, seguiti poi da Galileo Galilei, Christoph Scheiner e altri. Mentre è dal 1700 che si inizia a misurare il numero di macchie solari e a valutare l’attività del Sole. Quello che è emerso dagli studi è che il numero di macchie raggiunge un massimo ricco di macchie solari, per poi calare fino ad un minimo in cui le macchie “scompaiono”, per poi tornare ad un massimo e così via. Tra un minimo e l’altro passano 11 anni (o comunque un periodo compreso tra i 10 e i 12 anni) e per questo si parla di ciclo undecennale dell’attività solare. 

Video che mostra la formazione delle macchie solari e il loro andamento fino allo scorso minimo del 2008-2010

È del tutto normale, quindi, che ogni 11 anni si osservi un Sole come quello del 2019, dal momento che il minimo di attività precedente è stato nel 2008-2009. I minimi solari, però, non hanno tutti la stessa durata, qualcuno dura di più e qualcuno dura di meno. Infatti quello che ha destato curiosità per l’aspetto che ha oggi il Sole è che l’attuale minimo sta durando a lungo (circa cinque anni). 


Proprio perché ogni ciclo solare può essere diverso dal precedente e dal successivo, e poiché talvolta si registrano minimi più lunghi di altri, per gli scienziati è da sempre stato importante trovare i modelli per descrivere al meglio il comportamento del Sole con l'obiettivo di prevederne la sua attività. A inizio aprile 2019, ad esempio, si è tenuto l’annuale Space Weather Workshop organizzato dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) presso il National Center for Atmospheric Research (NCAR), a Boulder in Colorado, un momento di discussione e di confronto tra esperti riguardo i modelli di previsione dell’attività solare. Il workshop è descritto in un articolo pubblicato su Science il 31 maggio scorso e mostra quanto ci siano ancora molti aspetti sconosciuti della nostra stella, quanto la sua attività sia difficile da prevedere e quanto a volte la si possa definire, scherzosamente, anche “capricciosa”. L’esito delle giornate passate a Boulder ha portato a concludere che l’attuale ciclo, il numero 24, che sta ormai arrivando a conclusione, è stato caratterizzato da un massimo debole e un minimo molto profondo che avrà una maggior intensità tra luglio 2019 e settembre 2020. Al nuovo massimo ci si avvicinerà gradualmente e lo si prevede tra il 2023 e il 2026. Il ciclo 25, per le previsioni attuali, si prospetterebbe molto simile al 24.
 

Ma perché tutto questo interesse? E perché tutto quest’interesse in un periodo di minimo di attività solare, quando si potrebbe pensare che il Sole stia attraversando un periodo di calma? Innanzi tutto c’è da sottolineare che nel periodo di minimo non si può parlare proprio di calma, anzi. Nel minimo di attività non mancano le tempeste geomagnetiche generate da veloci flussi di vento solare e possono verificarsi aumenti del flusso dei raggi cosmici con effetti sulle tecnologie spaziali. I periodi di massima attività, invece, sono noti per le forti tempeste solari.

Quindi gli effetti dei massimi e dei minimi su satelliti e altre tecnologie spaziali sono i primi a cui si pensa. Tant’è che Michael Martinez, vicepresidente della DigitalGlobe e attivo nel reparto Mission Operations Development & Engineering, durante lo Space Weather Workshop ha affermato:

Se si progetta un satellite che duri 10 o 12 anni, è fondamentale tenere conto del ciclo del Sole

Le tempeste solari inoltre, se particolarmente intense, possono causare effetti e danni rilevabili anche sulla Terra. Un esempio fu l’evento di Carrington del 1859, evento che prende il nome dall’astronomo studioso delle macchie solari Richard Carrington. Si trattò della più grande tempesta geomagnetica mai osservata nella storia, un fenomeno che causò l’interruzione delle linee telegrafiche per quattordici ore e che generò un’aurora boreale visibile persino a Roma, oltre che in Giamaica, a Cuba o alle Hawaii, latitudini a cui normalmente questo fenomeno non si osserva. Quindi avere delle accurate previsioni sul comportamento del Sole avrebbero impatto immediato anche sulla nostra vita sulla Terra.


È quindi interessante vedere come un’immagine del Sole per noi così affascinante nasconda collegamenti molto diretti con la nostra vita e una vera e propria sfida per gli scienziati.

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