Monumento a Trieste in ricordo delle persone rimaste uccise nella strage di Vergarolla che riporta, per ogni vittima identificata, il nome e l'età
Il 18 agosto del 1946, la spiaggia di Vergarolla, a Pola, era particolarmente affollata. Dovevano tenersi infatti le gare di nuoto per la coppa Scarioni, organizzata dalla società nautica italiana Pietas julia.
Poco dopo le due del pomeriggio, iniziò una serie di esplosioni a catena che devastarono l'area, uccidendo più di 100 persone e ferendone molte altre. A provocare la strage fu l'esplosione di materiale bellico disinnescato che, come fu chiarito in seguito, non era stata accidentale.
Lo scoppio di Vergarolla segnò il momento in cui la maggior parte degli italiani in città capirono che l'esodo non era più rimandabile, e aprì altre pagine dolorose della storia del confine a nord-est, rese ancora più amare dal fatto che, dopo tutto questo tempo, la strage di Vergarolla è poco conosciuta e ricordata.
A 75 anni da questo tragico episodio ripercorriamo perciò gli eventi che lo hanno preceduto e le conseguenze che ha avuto sulla città di Pola, i suoi abitanti e la loro storia, insieme al professor Egidio Ivetic, docente di storia dell'Europa orientale e storia del Mediterraneo all'università di Padova e direttore dell’Istituto per la Storia della Società e dello Stato Veneziano della Fondazione Giorgio Cini.
“La città di Pola, che oggi si trova in Croazia, allora era una provincia italiana”, sottolinea il professor Ivetic. “Era compresa nella Venezia Giulia, un territorio di confine che a partire dal 1943, con il crollo dell'Italia fascista, fu occupato dalle truppe tedesche e fino al 1945 fece parte della cosiddetta zona d'operazioni del litorale adriatico, sotto il controllo della Germania nazista.
Anche in Istria c'erano dei movimenti di resistenza partigiana, che dal 1943 furono protagonisti di molti atti di violenza, a cominciare dal fenomeno delle foibe, che ha riguardato soprattutto le zone di campagna più interne dell'Istria rispetto alla fascia marittima, dove si trovavano città italiane come Capodistria, Parenzo, Rovigno, Umago, Cittanova.
Fino all'ottobre del 1943, comunque, anche la città di Pola, poco più a est della quale si trovava l'ultima provincia italiana, quella di Fiume, era stata interessata dalle attività dei partigiani filo-jugoslavi.
Si dimentica, spesso, che tutte queste vicende sono accadute sul territorio italiano, dove c'era una resistenza a cui hanno hanno partecipato anche gli italiani ma che era soprattutto legata al movimento dei partigiani jugoslavi.
L'intervista completa al professor Egidio Ivetic sulla strage di Vergarolla. Montaggio di Elisa Speronello
Tra il 25 e il 26 aprile 1945, in Istria sbarcarono le forze militari dell'esercito jugoslavo, che nel giro di una settimana presero il controllo del territorio. Erano presenti anche le forze tedesche e quelle della Repubblica di Salò, per quanto fossero assai esigue. La città di Pola era stata bombardata da parte degli angloamericani tra il 1944 e l'inizio del 1945, ma per i suoi abitanti, per certi versi, lo scontro vero e proprio avvenne solo alla fine della guerra, a partire dal mese di maggio del 1945, con l'entrata in città delle truppe jugoslave e la resistenza da parte dei tedeschi, nonostante ormai anche in Germania la partita fosse finita. La popolazione civile, che era composta totalmente da italiani, visse perciò per un periodo sotto il controllo jugoslavo.
In seguito, dopo gli accordi del mese di giugno, la Venezia Giulia viene ripartita in due zone: la zona A, sotto il controllo angloamericano, e la zona B, sotto il controllo jugoslavo. Non si tratta della stessa ripartizione tra zona A e zona B che venne fatta nel 1947 e che durò fino al 1954: infatti, secondo la suddivisione che durò dal 1945 al 1947, nella zona A rientravano sia Trieste sia Pola, che era quindi considerata ufficialmente un territorio italiano in attesa che fosse definito un trattato che stabilisse una volta per tutte il destino di queste terre. Nel frattempo, delle commissioni si occupavano di valutare la consistenza nazionale italiana, croata e slovena sul territorio.
Il 10 febbraio del 1947, con le risoluzioni del trattato di Parigi, l'Istria venne attribuita alla Jugoslavia e portata via all'Italia dopo il ritiro, nel settembre del 1946, delle truppe angloamericane”, continua il professor Ivetic. “Fu allora che iniziò l'esodo degli italiani”.
La nave “Toscana” durante l'abbandono di Pola, nel 1947
Ma facciamo un passo indietro e torniamo al periodo tra il 1945 e il 1947. Come racconta il professor Ivetic, “in quegli anni, nella zona A di Pola gli italiani continuavano la loro vita civile e politica con grande ansia rispetto a ciò che poteva succedere. Nel frattempo, la città era amministrata da truppe britanniche e scozzesi e venivano organizzate delle manifestazioni da parte dei simpatizzanti per la Jugoslavia.
Ma c'è un altro aspetto da sottolineare che riguarda la distribuzione nazionale nella Venezia Giulia così come era emersa dal trattato di Rapallo, un accordo bilaterale tra il Regno di Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni del 1920. Allora, tra Gorizia e Trieste la presenza italiana era la stessa di oggi, mentre in Istria interessava soprattutto le coste, da Trieste fino a Pola. Nel resto del territorio, specialmente nelle aree interne e nei borghi minori, le comunità italiane erano più esigue.
Nel 1945, quindi, per la popolazione slovena e croata che abitava questi territori non costieri l'arrivo delle forze jugoslave rappresentava la liberazione non solo dai tedeschi nazisti, ma anche dalla condizione definita dal trattato di Rapallo. Lo stesso non valeva invece per gli abitanti della la fascia costiera, che era di tradizione eminentemente veneta, legata a Venezia e all'Italia.
La suddivisione che venne fatta in seguito tra zona A e zona B fu certamente una soluzione temporanea, ma preservò per altri due anni questa storica presenza italiana a Pola”.
Arriviamo così al 18 agosto, momento in cui, dopo quasi due anni di tensione, avvenne la strage di Vergarolla. “Fu un attentato drammatico che provocò ufficialmente la morte di 65 persone, anche se, secondo alcuni calcoli, le vittime furono più di 100”, racconta il professor Ivetic. “L'esplosione fu enorme, la colonna di fumo che si alzò rimase impressa nelle fotografie dell'epoca e, fatto ancora più straziante, questa fu una strage soprattutto di bambini.
Fin da subito, con l'inchiesta che venne condotta da parte delle autorità inglesi, c'era il sospetto che lo scoppio non fosse stato accidentale, ma che qualcuno avesse fatto detonare quel materiale bellico intenzionalmente. Le domande aperte sono ancora molte, nonostante ormai le interpretazioni più accreditate di quanto accaduto è che questa strage fu effettivamente un atto terroristico da parte delle forze jugoslave volto a colpire e a terrorizzare gli abitanti di Pola, per motivare ancora di più gli italiani ad abbandonare la città”.
“L'atto terroristico di Vergarolla avvenne quindi in un contesto urbano decisamente italiano dove, fino al 1946, c'era ancora la speranza diffusa che quei territori rimanessero all'Italia. Questa strage, perciò, rappresenta il momento in cui, in modo drammatico e violento, si chiude un periodo e ne apre un altro. Dopo questo episodio, infatti, iniziò l'esodo con la nave Toscana che portò via gli italiani da Pola.
La città si svuotò quasi completamente e venne ripopolata con abitanti provenienti dell'interno dell'Istria oppure da altre zone della Jugoslavia”.
Per i cittadini italiani che invece scelsero di rimanere, gli anni che seguirono furono molto difficili. “Quella che rimase fu veramente una minoranza. Dei 40mila italiani che abitavano la città, più del 90% non vide altra possibilità che andarsene. Per cui, questa minoranza, sia a Pola che altrove, si è sempre mantenuta su piccole cifre”, precisa il professor Ivetic.
“Essere italiani, d'altronde, rappresentava all'epoca già di per sé un senso di colpa. Gli italiani erano più che altro tollerati e dovevano tenere un basso profilo. Erano accettati nella vita politica e civile solo se dichiaratamente comunisti.
La comunità italiana, tutto sommato, rimase ancora abbastanza vivace sul piano sociale fino agli anni Cinquanta e Sessanta, nonostante la città e la sua storia cambiarono completamente dopo il ripopolamento. L'assetto urbano si mantenne invece piuttosto stagnante fino agli anni Settanta. Solo dopo il trattato di Osimo cominciarono gli investimenti per migliorare le infrastrutture urbane. Con gli anni Novanta, dopo la fine della Jugoslavia, a Pola venne finalmente messo su carta ciò che avrebbe dovuto essere riconosciuto da tempo, ovvero lo status di città bilingue. E solo dopo il 1990 la strage di Vergarolla venne riconosciuta dal governo locale”.
Cippo in memoria della strage di Vergarolla con accanto la foto del chirurgo Micheletti. Foto: Diabrotico - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=50850975
“Questa strage è stata complessivamente dimenticata e non le è stato neanche dedicato un rito civile, nonostante si tratti dell'episodio più straziante della complessiva storia della città di Pola”, commenta il professor Ivetic. “Negli ultimi decenni viene ricordata puntualmente in agosto dalla comunità degli italiani rimasti, insieme ad alcune storie di grande coraggio, in primis quella del chirurgo Geppino Micheletti, che operò senza sosta e per giorni le vittime della strage cercando di salvare più persone possibile, nonostante egli stesso avesse perso due figli in quella terribile circostanza.
Si dimentica spesso che questa fu la prima grande strage della storia italiana, seppur contestualizzata in questa situazione di incertezza delle sorti. La dimenticanza da parte dello stato italiano è ancora più grave perché spesso si guarda a queste terre perse nel 1947 come se fossero parte di “un'altra Italia”, ancora fascista e non definitiva, dimenticando invece che la Repubblica italiana esisteva ufficialmente dal 1946 e che ad essa apparteneva di fatto anche la zona A, con Pola, nonostante fosse amministrata dagli angloamericani.
Inoltre, le terre perse nel 1947 che, ricordiamolo, comprendevano anche Trieste, la quale rientrò in Italia solo nel 1954, vanificarono anche i sacrifici compiuti durante la prima guerra mondiale proprio per mantenere quei territori.
Anche per questo, l'unico modo possibile di ricordare tutto ciò è con una profonda pietas per le vittime della strage, che erano per un terzo bambini, e per la tragedia che vissero queste popolazioni. Ricordare, inoltre, è fondamentale anche per la città di Pola, dove c'è stata una cesura drammatica nei confronti di un passato che è difficile da accettare, e che comprende questa strage e l'esodo.
La città, invece, non dovrebbe cercare di sradicarsi dalla sua storia. Si tratta di un episodio doloroso per tutti, ma oggi la Jugoslavia non esiste più. Esiste invece la Croazia, dove sono in corso alcuni studi che stanno cercando di fare luce sulle moltissime stragi avvenute nel 1945 da parte del governo jugoslavo comunista nei confronti di cittadini croati. Si stanno quindi scoprendo delle pagine dolorose di un momento storico drammatico non solo per le terre dell'attuale Venezia Giulia, ma anche per tutti quei territori che poi entrarono a far parte della Jugoslavia”.