17 giugno 1970. A molti, specie ai millenial e ai più giovani, questa data non dice assolutamente nulla. È più o meno la stessa cosa che capita quando nomini a un diciottenne il 9 luglio del 2006 o, peggio ancora, il 29 giugno 2000 a un poco più che ventenne. Al massimo il secondo potrebbe dire: "Ah sì, i Mondiali, quando l'Italia sapeva ancora giocare a calcio", per poi abbandonare la conversazione e andare in cucina a esercitarsi, perché ora sono gli chef che portano l'italianità sulle vette della gloria.
Quando però nomini il 17 giugno 1970 a qualcuno "diversamente giovane" le possibilità che il suo volto si illumini sono molto alte. Salvo rabbuiarsi subito per sottolineare puntualmente l'ovvio: "Ehi, ma tu non eri ancora nella mente di Dio!". Esiste, nel mondo dello sport, una sorta di "diritto del vissuto" che mette sullo stesso piano chi c'era, quel 17 giugno 1970, e guarda con sospetto chi invece vuole appropriarsi di una partita non sua. Perché non importa se eri incollato al divano o se avevi spento la tv dopo il gol di Gerd Müller: tu alla partita del secolo c'eri, mentre chi è nato dopo è un usurpatore di emozioni.
Era un mondiale strano, quello di Messico '70. C'erano varie novità, cose che ora si danno per scontate, ma sono nate lì: i cartellini colorati e le due sostituzioni (effettivamente non molti stranieri erano pronti a giocare 90 minuti a certe altitudini!). Il torto, in Italia, di vederli ancora in bianco e nero, mentre in altri paesi si gustavano i primi mondiali sulle tv a colori.
Italia - Germania 4 - 3 è storia: l'Italia in vantaggio con il gol di Boninsegna all'ottavo minuto del primo tempo. Poi più niente, catenaccio dell'Italia e qualche sparuto contropiede. A quel punto gli Dei del Calcio decidono che non si può mica vincere così, e così ecco il gol di Karl-Heinz Schnellinger in pieno recupero. Da notare che all'epoca il recupero non era scontato come in seguito, e molte partite finivano al novantesimo; gli Dei sogghignavano: "Bene, adesso vediamo se ve la meritate questa semifinale, smettetela di corricchiare e datevi una mossa!"
“ Noi abbiamo rischiato l'infarto, non per scherzo, non per posa. Il calcio giocato è stato quasi tutto confuso [...] sotto l'aspetto tecnico-tattico. Sotto l'aspetto agonistico, quindi anche sentimentale, una vera squisitezza Gianni Brera
La Germania Ovest in quel mondiale era avvezza alle rimonte. Nella fase a gironi si era già specializzata con la Bulgaria, battuta in rimonta 5 - 2, ma soprattutto con l'Inghilterra, campionessa uscente, battuta ai supplementari dalla Germania Ovest che si era così vendicata della finale di Wembley di quattro anni prima. E infatti anche in Messico va subito in gol al 94' con Gerd Müller e per l'Italia si mette male. Per fortuna arriva il pareggio di Tarcisio Burgnich e poi l'Italia passa in vantaggio con Rombo di Tuono Gigi Riva, che quell'anno aveva già vinto il campionato con il suo Cagliari. Sembrava fatta, ma c'era il secondo tempo supplementare. E lì c'è stato il clamoroso errore di Gianni Rivera, che sbaglia la posizione e favorisce il pareggio di Müller. Il portiere Albertosi non la prende affatto bene, e Rivera capisce che deve sputare l'anima per farsi perdonare. Ed ecco l'azione epica: 11 passaggi per portare il pallone sotto porta, dove arriva proprio Rivera, che salva la partita che proprio lui aveva compromesso.
Non scherzava Gianni Brera, quando parlava di infarto: successe davvero a un banchiere italiano, che stava guardando la partita a Montevideo: l'emozione colpisce il cuore che a volte, purtroppo, non ce la fa. E poi ci sono i cinici, quelli che se gli chiedi di Italia Germania 4 - 3 ti rispondono che è stata una partita inutile, perché tanto poi abbiamo perso contro il Brasile. E qui ci sarebbe da aprire una parentesi para-filosofica sul valore del singolo istante, e di ciò che ci spinge a seguire o praticare uno sport. Perché esisteranno sempre quelli che "il secondo è il primo dei perdenti" e gli eterni romantici che "ok, siamo stati eliminati quasi subito, ma che meraviglia il gol di Totti!". In mezzo a questi due estremi c'è un mondo fatto di persone per cui aver giocato la partita del secolo e avere una targa che la commemora fuori dallo stadio Azteca vuol dire molto, anche se non ci siamo presi la coppa. Che poi, la coppa Rimet, destinata a rimanere per sempre in Brasile perché Messico '70 era l'ultima edizione con quel nome, venne rubata anni dopo, quasi che il destino avesse decretato che chi non ha giocato la partita del secolo non si meritava di tenere una coppa a imperitura memoria della vittoria finale.
La verità è che anche noi degli anni Ottanta avremmo voluto esserci. Perché anche guardarla in tv ogni anno, insieme a genitori nostalgici, non è la stessa cosa. Anzi, ci sembra un calcio lento, noioso, privo dei guizzi a cui ci hanno abituato squadre come l'Inter di Mourinho o il Barcellona. Abbiamo invidiato questi "diversamente giovani" fino al 29 giugno 2000, quando un portiere, Francesco Toldo, ha salvato, praticamente da solo, una semifinale. Forse per i posteri non è stata la partita del secolo, e non c'è nessuna targa a commemorarla, ma lì abbiamo capito che esserci è davvero un'altra cosa. E lo abbiamo potuto apprezzare fino in fondo il 9 luglio del 2006, quando abbiamo tirato l'alba facendo caroselli per strada e consumando i clacson. Del resto il secolo era cambiato, quindi c'è spazio per tutti.
E allora tanti auguri, Partita del Secolo!