SOCIETÀ
Transizione energetica: le tecnologie sono pronte, l’economia e la società non ancora
Dopo l’articolo di Vincenzo Balzani, pubblicato proprio qui sulle nostre pagine virtuali, e partendo proprio da esso, torniamo a parlare di una di quelle transizioni “necessarie”, quella energetica. Sono passati ormai cinque anni dalla firma dell’Accordo di Parigi, il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici, e forse solo quest’anno si registrerà l’abbassamento delle emissioni di Co2 che quell’accordo richiede, e solo grazie al lockdown imposto per rallentare il contagio di Covid-19. La transizione dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili di energia appare quindi lenta, ma soprattutto a diverse velocità. “I Paesi hanno effettivamente lanciato dei programmi coerenti con gli obiettivi, ma molto pochi. In Europa la Danimarca, nel mondo la Nuova Zelanda, in realtà la maggior parte dei Paesi è ben lungi dall'innalzamento degli obiettivi rispetto a quelli presentati a Parigi” afferma Gianni Silvestrini, presidente del comitato scientifico KeyEnergy e direttore scientifico di KyotoClub e Qualenergia. A Parigi, nel 2015, ogni Paese aveva presentato i propri obiettivi, i quali però non erano coerenti con l’obiettivo finale della conferenza stessa. Nel 2020 si sarebbe dovuta tenere una nuova conferenza in cui ogni Paese avrebbe presentato dei nuovi obiettivi, ovviamente l’appuntamento è stato posticipato al 2021.
Grazie al lockdown abbiamo appunto registrato a un calo delle emissioni, ma secondo Silvestrini bisognerebbe puntare a ridurre, ogni anno e per i prossimi 30 anni, le emissioni della stessa quantità. “Siamo ben lungi da un’accelerazione di questo tipo”, sottolinea ancora Silvestrini, sebbene la pandemia abbia permesso ai governi, in Europa in particolare, di lanciare dei programmi, post-covid, che pongono l’accento sull’accelerazione delle politiche di riduzione delle emissioni. Per questo motivo vedremo, come risultato del lockdown in molto Paesi, una spinta verso la mobilità elettrica, l’efficientamento energetico, le fonti rinnovabili, etc. Inoltre, afferma Silvestrini, dopo aver subito il colpo del crollo delle quotazioni del greggio, i colossi petroliferi si stanno muovendo per diversificare i propri investimenti, anche verso le rinnovabili. Contemporaneamente si osservano dei cambiamenti anche nel mondo della finanza, con nuovi investimenti che rimpiazzano alcuni dei consueti investimenti sui combustibili fossili. Tutti questi elementi permettono di ritenere che nei prossimi anni si assisterà a un’accelerazione, “Soprattutto se avremo un nuovo presidente americano”, aggiunge Gianni Silvestrini, quasi a sottolineare che gli Stati Uniti hanno ancora un ruolo chiave nel panorama mondiale, sebbene la maglia nera delle emissioni sia saldamente indossata dalla Cina.
Intervista a Gianni Silvestrini. Montaggio di Elisa Speronello
Attualmente a frenare la transizione non ci sono limiti tecnici o scientifici, le tecnologie sono mature. Non si tratta nemmeno di un limite economico, infatti ci sono, e ci sono stati in passato, degli incentivi, ma soprattutto c’è stato un crollo dei prezzi delle stesse tecnologie; attualmente un modulo di fotovoltaico costa circa 10 volte in meno rispetto a 10 anni fa. Piuttosto sono gli interessi economici a frenare la transizione, per difendere i propri investimenti. Si tratta, per esempio, delle compagnie Oil&Gas, ma anche in parte del settore dei trasporti, che ancora resiste alla completa transizione verso la mobilità elettrica. Non si può pensare, però, che sia solo una questione di cambiamento di tecnologie: “bisogna rivedere il modello economico: la pandemia ha dimostrato i limiti e i rischi di un modello di sviluppo impostato su una crescita continua e con un’espansione che va a intaccare la biodiversità”, sostiene Silvestrini, allineandosi, di fatto, a quanto esposto da Balzani. Il nuovo modello economico dovrebbe riuscire a garantire prosperità ed equità sociale, e anche a salvaguardare il pianeta. Non ultimo il cambiamento degli stili di vita, indispensabile per completare, in un certo senso, tutte le transizioni “necessarie”. Conclude Silvestrini affermando: “Dobbiamo renderci conto che, se vogliamo decarbonizzare l’Europa, l’Italia, in trent’anni, noi dovremo cambiare gli stili di vita e poi accettare che ci siano delle modifiche nel paesaggio, perché non potremo, altrimenti eliminare i fossili”. Il professore fa riferimento agli impianti per la produzione di energia eolica, spesso giudicati antiestetici, o alle distese di pannelli solari. In Italia non ci sono molto punti in cui poter sfruttare la forza dei venti, quindi la maggior parte di energia dovrà essere prodotta con il solare. Gli impianti a terra, sostiene Silvestrini, dovranno essere pensati con intelligenza: “una risposta interessante è quella dell’agro-fotovoltaico: sotto ai moduli fotovoltaici è possibile coltivare”. Questa innovazione consente di riportare l’agricoltura in zone dove non c’era più e di dare un reddito sul versante energetico.