SCIENZA E RICERCA

Vaccini Covid-19: percezione del rischio, esitazione vaccinale e comunicazione pubblica

Le vaccinazioni contro Covid-19 in Italia proseguono (pur con ritardi) secondo le priorità indicate nel Piano strategico elaborato da ministero della Salute, dal commissario straordinario per l’emergenza, dall’Istituto Superiore di Sanità, dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali e da Aifa. In questi mesi, per contenere la pandemia i governi hanno applicato misure straordinarie di contenimento del virus, che hanno regolamentato la vita pubblica e privata, oltre che lavorativa. Ma ora che sono stati autorizzati e resi disponibili sul mercato, le speranze vengono riposte sui vaccini. In questo momento la vaccinazione contro Covid-19 è uno strumento fondamentale per far fronte alla pandemia, e la sfida – quando le dosi saranno disponibili per tutti – sarà incoraggiare il più possibile le persone a vaccinarsi. L’esitazione vaccinale infatti – intesa come una serie di atteggiamenti, che vanno da alcuni a molti dubbi, fino al ritardo e alla riluttanza a vaccinarsi o vaccinare i propri figli – nel 2019 è stata dichiarata dall’Organizzazione mondiale della Sanità una delle dieci principali minacce per la salute globale, perché potrebbe comportare una bassa prevalenza di vaccinazioni per infezioni ad alto rischio e minare in questo modo gli sforzi per raggiungere l’immunità di gregge. L’intenzione di vaccinarsi può essere influenzata da diversi fattori, tra cui la percezione del rischio correlato alla malattia. Ma anche vaccinazioni precedenti, paura del contagio e gravità della patologia possono avere un ruolo chiave: per questo, una comunicazione pubblica che tenga conto di questi fattori può rendere più efficace la risposta all’epidemia da parte della popolazione.

L’argomento, di particolare attualità, è stato affrontato nel corso di uno studio condotto da ricercatori del Judgment and Decision Making Laboratory del dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell’università di Padova e del dipartimento di Studi umanistici dell’università di Ferrara, e i risultati sono stati pubblicati su Social Science & Medicine. L’indagine ha inteso esaminare se il rischio percepito, associato a Covid-19, influisce sull'intenzione di vaccinarsi contro Sars-CoV-2, confrontandolo con quanto accade per l'influenza stagionale e con la malattia da virus Ebola e indagando se la variazione della gravità dell'epidemia in Italia, rispetto agli inizi, abbia influenzato il rischio percepito e l'intenzione di vaccinarsi. Studi precedenti hanno posto in evidenza una relazione tra vaccinazioni antinfluenzali e vaccinazioni pandemiche, dimostrando che il miglior indicatore della diffusione di un vaccino pandemico è aver scelto di vaccinarsi contro l’influenza nella stagione precedente.

Guarda l'intervista completa a Teresa Gavaruzzi che parla di esitazione vaccinale e prevenzione della disinformazione. Montaggio di Elisa Speronello

La percezione del rischio

Il modello “risk as feelings”, si legge nell’articolo pubblicato su Social Science & Medicine, descrive le reazioni delle persone al pericolo come istintive e intuitive, mostrando che le risposte variano a seconda delle caratteristiche specifiche di un pericolo. I rischi sono percepiti come più pericolosi quando sono poco frequenti, poco chiari per la scienza, caratterizzati da una natura catastrofica. Un ruolo importante nella percezione del rischio è giocato dall’impatto emotivo, che definisce uno stimolo come positivo o negativo, e dunque influisce sul processo decisionale con valutazioni rapide, automatizzate e radicate nel pensiero esperienziale. L’euristica degli affetti, dunque, suggerisce che gli individui valutano la rischiosità di un evento non solo sulla base di informazioni oggettive, ma anche dei sentimenti che provano. Quando le persone hanno un atteggiamento positivo verso uno stimolo, tendono ad avere anche una bassa percezione del rischio ad esso associato e viceversa.

Dunque, indipendentemente dalle statistiche e dai dati sulla gravità delle conseguenze, è possibile affermare per esempio che l'influenza stagionale induca una bassa percezione del rischio, poiché le persone hanno familiarità con la malattia, presumibilmente l’hanno contratta, ed è una patologia comune con un percorso prevedibile e non catastrofico. Al contrario, Covid-19 è correlato a una elevata percezione del rischio trattandosi di una malattia nuova, sconosciuto fino a poco tempo fa sia agli scienziati che ai cittadini, di natura catastrofica e dall’esito non prevedibile. Nei Paesi occidentali, Covid-19, come è accaduto per la malattia da virus Ebola, è stata inizialmente percepita come qualcosa di remoto, sebbene mortale, ed è stata caratterizzata da una distanza psicologica e fisica che poteva rendere la percezione del rischio minore. Situazione, questa, che è cambiata dopo il primo contagio da Sars-CoV-2 in Italia, che ha reso invece la malattia più “familiare” e dunque temuta.  

I risultati dello studio

I ricercatori hanno considerato un campione di 2.267 individui (69,9% femmine, età media 38,1 anni) e monitorato la percezione del rischio e l’esitazione vaccinale per il nuovo coronavirus prima, durante e dopo il lockdown, in un arco temporale compreso tra febbraio e fine giugno del 2020. “I fattori principali che predicono l’intenzione a vaccinarsi sono tre – spiega Teresa Gavaruzzi del dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell’università di Padova –: la ‘percezione del rischio’, la ‘dubbiosità sui vaccini’, e la ‘vaccinazione contro l’influenza’. Abbiamo misurato la percezione del rischio nei confronti del Covid-19 attraverso tre dimensioni: la probabilità di essere contagiati, la gravità della malattia, e la paura della malattia”.

Del campione considerato, il 40% aveva intenzione di accettare un vaccino contro Covid-19 senza alcuna esitazione, mentre il 60% aveva un grado di esitazione variabile. È emerso poi che durante la fase del lockdown, associata a una maggiore percezione del rischio di Covid-19, le persone erano più intenzionate a vaccinarsi contro la malattia. Anche tra i partecipanti più esitanti la percentuale di soggetti determinati a vaccinarsi è aumentata durante la fase di chiusura totale, per poi invece tornare a valori molto bassi nella fase di riapertura. I risultati dello studio mostrano che il livello di accettazione del vaccino è molto influenzato dai dubbi generali nei riguardi dei vaccini, che ne diminuiscono progressivamente l’accettazione. Rispetto a chi non nutre dubbi, il fatto di averne anche solo pochi riduce la probabilità di accettare il vaccino Covid-19 senza esitare del 37% e tale riduzione arriva all’87% per chi ha molti dubbi.

Per quanto riguarda il terzo predittore, cioè la “vaccinazione contro l’influenza”, lo studio ha dimostrato che essersi vaccinati contro questa malattia nella precedente stagione influenzale (2019) aumenta le probabilità di accettare senza esitazione il vaccino contro il Covid-19 di circa tre volte. Tra chi è esitante, essersi vaccinati contro l’influenza nella precedente stagione influenzale riduce il livello di esitazione di circa il 35%.

Guarda l'intervista completa a Marta Caserotti che illustra lo studio pubblicato su "Social Science & Medicine". Montaggio di Elisa Speronello

“Per la probabilità percepita di essere contagiati – sottolinea Marta Caserotti del dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione, prima autrice dello studio pubblicato su Social Science & Medicine –, il Covid-19 assomiglia molto all’influenza in tutte le tre fasi, mentre per la gravità percepita, se prima del lockdown era di poco superiore all’influenza, durante e dopo il lockdown i giudizi si avvicinano molto a quelli dell’Ebola. Già prima del lockdown la paura del Covid-19 è invece simile a quella dell’Ebola ed è maggiore di quella per l’influenza, ma poi aumenta molto durante il lockdown e si riduce solo leggermente dopo il lockdown, risultati in linea con la letteratura sul ruolo di fattori emozionali nella percezione del rischio”.

Continua Marta Caserotti: “Risultati interessanti non sono solo riconducibili al fatto che la percezione del rischio aumenta l’intenzione a vaccinarsi delle persone. Molto importante è anche l’effetto ‘temporale’ che abbiamo osservato, legato a fluttuazioni di percezione del rischio correlate alla gravità della situazione. Questo suggerisce che ci possono essere dei momenti in cui le persone sono più o meno propense a considerare la possibilità di vaccinarsi”. E aggiunge: “Possediamo inoltre risultati significativi riguardo l’età, che devono tuttavia essere considerati in maniera cauta e non sono generalizzabili, se non con approfondimenti ulteriori in quanto il campione non era rappresentativo della popolazione. Tali risultati indicano che la popolazione più adulta ha una tendenza maggiore a vaccinarsi per l’influenza, mentre una popolazione più giovane ha una maggiore tendenza a vaccinarsi contro Covid-19. Questo dà importanti segnali rispetto a una campagna che sia più targettizzata, più specifica per diverse popolazioni d’età. E quindi suggerisce che l’esitazione vaccinale debba essere considerata in maniera più specifica per diverse categorie, fasce d’età”.

Covid-19 ed esitazione vaccinale

Teresa Gavaruzzi osserva che i vaccini contro Covid-19 sono fondamentali per fronteggiare l’emergenza sanitaria, ma l’esitazione vaccinale potrebbe ridurre la copertura e rendere difficile ottenere l’immunità di gregge o, addirittura, favorire mutazioni. Secondo la ricercatrice, rispetto ad altre vaccinazioni quando si parla di Covid-19 molte conoscenze non si possiedono ancora pienamente e questo genera incertezza: i tempi di produzione dei vaccini sono stati molto rapidi e non è ancora ben noto, per esempio, quanto duri l’immunità. Non sono noti gli effetti a lungo termine, così come non si conoscono ancora gli effetti a lungo termine della malattia. Ci sono studi in corso, ormai si sono accumulate conoscenze, ma le incertezze ancora rimangono. “In particolare, una caratteristica di questi vaccini, che desta particolare paura, è l’impiego di una nuova tecnologia, l’mRna. Anche se in realtà, il timore della novità del vaccino è un aspetto che ritroviamo in tutti i movimenti antivaccinisti dall’Ottocento in poi”. Si tratta dunque di timori abbastanza comuni secondo la docente.

“Personalmente – osserva – sono per una posizione di dialogo e di ascolto di chi nutre dubbi perché, soprattutto nel caso di Covid-19, le incertezze delle persone possono essere ragionevoli, possono essere motivo di preoccupazione e discreditarle a mio avviso non è il modo migliore per affrontare la situazione. Ne può sorgere, infatti, una polarizzazione che diventa negativa”.  

Più nello specifico, spiega la ricercatrice, ciò a cui si sta assistendo in questo momento in cui le dosi sono poche, e la vaccinazione contro Covid-19 non è ancora disponibile per tutti, è invece il fenomeno della scarcity, che si studia anche in psicologia: la scarsità di risorse, cioè, le rende ancora più appetibili. Il problema dell’esitazione vaccinale, dunque, ancora non sussiste e le persone che magari nutrono dubbi avranno il tempo di sciogliere le loro incertezze grazie anche a risposte chiare da parte degli esperti.

La prevenzione della disinformazione

Un aspetto di cui in Italia si parla poco è la prevenzione della disinformazione. Secondo Gavaruzzi, invece, è fondamentale non solo smentire fake news già diffuse, ma fare in modo che le persone riescano a distinguerle tra le molte informazioni che circolano, evitando che si diffondano e si radichino. “Questo si può ottenere esercitando il pensiero critico, allo stesso modo in cui i vaccini esercitano il nostro sistema immunitario. Facendo degli ‘esercizi’ per capire quali sono le tecniche utilizzate da chi diffonde la disinformazione intenzionalmente: se le strategie usate da queste persone sono note, è più facile per l’utente difendersi. Esistono dunque dei giochi (Go viral, per esempio, nel caso di Covid-19), al momento sviluppati principalmente in lingua inglese, che consentono di mettersi nei panni di chi diffonde false notizie. Questo sembra recare beneficio, almeno nel breve termine, perché consente di riconoscere fake news quando si incontrano e, dal mio punto di vista, è una prospettiva interessante soprattutto per i giovani”.  

Proprio a queste esigenze risponde The Covid-19 Vaccine Communication Book, alla cui stesura ha contribuito anche la docente. Si tratta di una guida pratica per migliorare la comunicazione relativa ai vaccini e combattere la disinformazione, rivolta a medici, politici, giornalisti, insegnanti, ricercatori, genitori, studenti. Stephan Lewandowsky, docente di psicologia cognitiva all'università di Bristol che ha coordinato il gruppo di esperti internazionali, in merito ha dichiarato: “I vaccini sono il nostro biglietto per la libertà e la comunicazione che li riguarda dovrebbe essere il nostro passaporto per far salire tutti a bordo. Il modo in cui tutti noi discutiamo di vaccini contro Covid-19 può letteralmente aiutare a vincere la battaglia contro questo virus devastante, affrontando la disinformazione e favorendo l'acquisizione di nozioni corrette, che è fondamentale. Perciò abbiamo redatto questo manuale, in modo che tutti abbiano a portata di mano le basi, oltre a informazioni più complete, e possano fare la loro parte nel condividere fatti reali, e non invenzioni, per metterci sulla strada della ripresa piuttosto che andare incontro a ulteriori sofferenze”.

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