Si ritorna a parlare di Vincent van Gogh, dopo che molti altri autori nella storia del cinema l’hanno fatto. È uscito in queste settimane nelle sale cinematografiche Sulla soglia dell’eternità, film diretto da Julian Schnabel considerato di grande forza contemplativa. Sullo schermo scorrono molte delle opere del celebre pittore. Colpiscono i gialli accesi dei girasoli e delle campagne francesi, i verdi degli alberi, i blu dei cieli stellati o dell’abito del dottor Paul Gachet che, nella pellicola, van Gogh ritrae all’aperto. Sono i colori brillanti e materici che caratterizzano le opere dell’artista. Quadri che, in realtà, non avrebbero mai potuto essere dipinti e contemplati nella loro bellezza, se van Gogh fosse vissuto un paio di secoli prima. È nell’Ottocento, infatti, che la chimica mette a disposizione nuovi pigmenti di sintesi che arricchiscono di molto la tavolozza del pittore.
Si tratta di una vera e propria “rivoluzione del colore”, secondo Adriano Zecchina, chimico e accademico dei Lincei autore del libro Alchimie nell’arte. “Con il progresso della chimica, tra la seconda metà del Settecento e l’inizio del Novecento, molti tra i nuovi composti sintetizzati sono colori e hanno prezzi alla portata di molti più pittori che in passato. È una situazione senza precedenti che rivoluzionerà l’arte pittorica”. Fino a quel momento gli artisti avevano a disposizione 16, 17 pigmenti che si ottenevano macinando minerali o vegetali. Per ottenere un certo tipo di verde c’erano le terre verdi, rocce contenenti ferro; per il blu egizio invece si ricorreva alla malachite, minerale di rame, che veniva mischiato con la sabbia e poi cotto nei forni. In epoca preistorica i pigmenti erano ancora meno e si utilizzavano principalmente l’ocra, il rosso dell’ematite e il nero. Nel corso dell’Ottocento, invece, la tavolozza dell’artista cambia faccia e si arricchisce di nuovi colori. In questo secolo arrivano a 60 circa: i pigmenti di colore giallo, verde brillante, azzurro ceruleo e viola sono novità coloristiche che non avevano precedenti, in termini di intensità e luminosità. E senza questi colori i quadri di van Gogh non avrebbero mai potuto essere dipinti. Soltanto verso la fine del XIX secolo i nuovi pigmenti diventano disponibili in quantità tale da poter essere utilizzati in modo esteso e abbondante sulle tele, permettendo ai pittori di ottenere un risultato pittorico più luminoso e materico rispetto al passato. Sono colori che consentono di esprimere anche lo stato d’animo dell’artista, possibilità di cui era ben consapevole van Gogh.
Oltre ad aumentare quanto a numero, i colori diventano anche meno costosi rispetto ai prezzi di un tempo. Nel 1840, spiega Adriano Zecchina a Il Bo Live, vengono introdotti i tubetti di stagno con i colori pronti all’uso, cioè con i pigmenti già mescolati con l’olio di lino. Fino a qualche tempo prima il pittore doveva preparare da sé gli impasti, quando ne aveva bisogno. Ora invece gli artisti possono uscire dalle botteghe con la scatola di colori e dipingere dove capita, come del resto faceva anche van Gogh. È così che nasce il pittore plain air.
Se queste dunque sono tutte le possibilità consentite dai nuovi pigmenti, non manca il rovescio della medaglia. Molti di questi pigmenti erano tossici e parecchi oggi sono stati sostituiti. I pittori, tuttavia, li usavano senza essere pienamente consapevoli della natura dei nuovi composti chimici e della loro pericolosità. Non avevano cognizione della loro tossicità e dei rischi che potevano correre utilizzandoli e maneggiandoli con la frequenza richiesta dal loro mestiere. Si pensa, ad esempio, che i pigmenti gialli di cromato di piombo – piuttosto velenosi – utilizzati nei celebri Girasoli possano aver messo a repentaglio la già debole salute di van Gogh ed essere stati all’origine, per citare alcuni altri artisti, della cecità di Monet. Si ipotizza anche che i problemi neurologici di van Gogh possano essere stati aggravati dall’esposizione all’arsenico contenuto nel verde smeraldo (acetoarsenico di rame), la stessa sostanza che potrebbe aver causato il diabete in Cézanne. E si potrebbe continuare. C’è chi suppone, ad esempio, che l’artrite reumatoide di Renoir e una malattia della pelle di Klee derivassero dall’impiego di colori contenenti metalli pesanti, come mercurio, arsenico, piombo, cadmio o cromo.