CULTURA

Venezia 1600. Una città al femminile

“La prima laureata della storia, la prima giornalista d’Italia, la creatrice del mito di Mussolini, l’inventrice delle perline di vetro colorate, la poetessa e la pittrice più famose del loro tempo, la cantante che ha venduto oltre 110 milioni di dischi, l’inventrice delle sfilate-spettacolo, la geisha d’occidente, la stilista che ha concepito il made in Italy prima che si usasse questa parola: tutte donne che hanno lasciato una traccia profonda nella storia, e qualcuna ha contribuito a cambiarne il corso. Sono vissute in epoche diverse, alcune sono cresciute libere, altre oppresse da società misogine, tutte queste donne però hanno un tratto in comune: sono nate a Venezia”. 

Sono efficaci e incisive le prime righe di Serenissime, volume edito nel 2017, a firma di Alessandro Marzo Magno, giornalista e scrittore che racconta le vicende di dodici donne veneziane, vissute tra il medioevo e i nostri giorni. Perché, scrive l’autore, “Venezia è femmina”. Era una Repubblica e non un Regno, governata da una classe sociale e non da una famiglia e, forse anche per questa ragione, le donne hanno trovato nella città lagunare più spazio che altrove. Ma chi sono coloro cui allude l’autore in apertura? Facile riconoscere, innanzitutto, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia: quinta di sette figli, nata nel 1646 da una relazione more uxorio del nobile Giovanni Battista Cornaro con Zanetta Boni di umilissime origini, fu la prima donna a laurearsi il 25 giugno 1678, all’università di Padova. In filosofia, perché al tempo una laurea in teologia - come avrebbe voluto la giovane che coltivava un’autentica vocazione religiosa - era esclusivo appannaggio del genere maschile. Vissuta circa un secolo più tardi, Elisabetta Caminer fu invece giornalista, regista, insegnante teatrale e tipografa. Imparò il lavoro giornalistico a Venezia dal padre Domenico e già a 17 anni iniziò a collaborare con lui all’Europa letteraria, dedicandosi alla diffusione della cultura illuministica in Italia. Trasferitasi a Vicenza dopo il matrimonio con il medico e botanico Antonio Turra, gestì per 14 anni in casa propria la stamperia Turra grazie alla quale poteva pubblicare opere scientifiche e letterarie, oltre alla rivista per cui lavorava ormai da tempo. A 26 anni assunse la direzione del giornale, che intanto aveva mutato il nome in Giornale enciclopedico, e lo trasformò in un importante strumento di diffusione della cultura illuministica. Per tutta la vita si interessò e sostenne con passione i diritti delle donne e partecipò al dibattito pubblico su temi come la pena capitale, la libertà di stampa e l’educazione dei bambini. 

Ancora, nel XV secolo Marietta Barovier, figlia del celebre maestro vetraio Angelo Barovier, nella sua fornace di Murano inventava le famose perle di vetro colorate, le perle “rosette”, dette anche “murrine millefiori”, che di lì in poi cominciarono a essere esportate in tutto il mondo garantendo ricavi e prestigio a Murano e Venezia. Le sue doti e la sua abilità erano riconosciute a tal punto da essere citata anche in una lettera ducale del 1487 per “la mirabile maestria con la quale fa i bellissimi lavori in vetro da lei stessa inventati”. La prima notizia certa di una donna padrona di fornace risale al 1279: lei era Molfina, produttrice di bottiglie. 

Tra le poetesse spicca il nome di Sara Copio Sullam, nata a Venezia alla fine del Cinquecento da una delle famiglie più in vista della comunità ebraica veneziana. Dotata di vasta cultura, la donna conosceva oltre all’ebraico, il latino, il greco, il francese, lo spagnolo; aveva studiato retorica, filosofia, teologia e astrologia, conosceva la letteratura e la cultura italiane, e sapeva comporre in musica e in versi. Nella propria casa in Ghetto vecchio, diede vita a un rinomato salotto frequentato dai più importanti letterati dell’epoca, non solo italiani.

Sebbene non di origini veneziane, ma veneziana “d’adozione”, merita almeno un cenno Gaspara Stampa che nacque a Padova nel 1523, da una famiglia borghese e colta: “La poesia di Gaspara Stampa - scrivono Edoardo Simonato e Francesca Boccaletto in Raccontami di lei. Ritratti di donne che da Padova hanno lasciato il segno (Pup 2020) -, a differenza di altri retorici “esercizi” di poesia erotica cinquecenteschi, ci lascia una traccia della sua tormentata esperienza amorosa: è attraversata da forti emozioni, da attese e desideri, delusioni e speranze. È una poesia carnale che dà voce a un’autentica passione, troppo moderna, libera ed emancipata per il Cinquecento”.  Sempre nel XVI secolo visse anche Veronica Franco, la “regina delle cortigiane”, ma autrice anche di libri e componimenti in versi, intima di uomini potenti e amica di artisti e letterati. 

Nella pittura si eleva Rosalba Carriera, vissuta tra il 1673 e il 1757, e autrice di più di 300 opere che oggi si trovano in larga parte alla Gamälde Galerie di Dresda. Raffinata miniaturista, i suoi lavori erano particolarmente apprezzati anche all’estero e molti inglesi, in Italia per il Grand Tour, si facevano immortalare da lei. Si dedicò anche alla tecnica del pastello, continuando a specializzarsi nella ritrattistica. Ed è proprio nel ritratto che le venivano riconosciuti i meriti maggiori, per quella sua straordinaria capacità di resa psicologica dei personaggi.  

Avvicinandoci ai nostri tempi, Marzo Magno cita Margherita Grassini Sarfatti: più nota forse come critica d’arte e firma tra gli altri de l’Avanti! l’Unione femminile e La difesa delle lavoratrici, fu in realtà anche colei che contribuì a costruire l’immagine pubblica di Mussolini, tanto che senza il suo contributo non sarebbero probabilmente esistiti né Mussolini, né il fascismo nelle forme che conosciamo oggi. 

Parlando di musica, lo scrittore si chiede poi se Nicoletta Strambelli sarebbe mai diventata Patty Pravo se non avesse avuto una nonna che la portava al Lido a fare il bagno in dicembre, se non avesse fatto i compiti da Peggy Guggenheim, se non avesse mangiato il gelato con Ezra Pound e suonato il piano davanti al patriarca Angelo Roncalli, il futuro papa Giovanni XXIII. Altro nome noto è quello di Giuliana Coen Camerino che, sopravvissuta al rastrellamento dei ghetti emigrando in Svizzera, dopo la seconda guerra mondiale si affermò con successo come stilista, fondando uno dei grandi imperi della moda italiana.

Accanto a queste, che sono solo alcune tra le molte donne di origini veneziane che meritano di essere ricordate, ve ne sono altre di cui non sempre è rimasto un nome ma che parteciparono tuttavia alla vita economica e culturale della città. Nel Medioevo - racconta Tiziana Plebani in Storia di Venezia città delle donne (Marsilio 2012) - specie nei ceti inferiori, le donne lavoravano non solo come domestiche, ma anche nella vendita al dettaglio degli alimenti e di altri prodotti e nell’artigianato, specie nel settore tessile e della lavorazione del vetro. Alcune erano merciaie e altre presenti anche in settori di lavoro prestigiosi come la medicina e la filatura dell’oro.  

Ci sono donne nei mestieri del libro: prima dell’invenzione della stampa a caratteri mobili, le donne erano impegnate nelle attività di copiatura all’interno dei monasteri femminili; erano attive come miniatrici e decoratrici delle pagine e delle carte da gioco, mentre altre erano impiegate nella raccolta degli stracci per la produzione della carta e in vari ambiti della sua lavorazione. Nelle famiglie di tipografi, inoltre, le mogli, le sorelle e le figlie collaboravano spesso con ruoli di responsabilità. 

Ancora, nei quattro ospedali cittadini la Pietà, i Mendicanti, gli Incurabili e i Derelitti, giovani ragazze venivano istruite nell’arte del canto e della musica: erano le “putte” del coro, orchestre al femminile note in tutta Europa. E se nel Cinquecento queste donne erano per lo più povere e senza famiglia, nel corso del Settecento, dopo essere state a contatto con grandi maestri, riescono ad affermarsi come musiciste capaci di gestire una tradizione tutta al femminile.

Molte donne si dedicavano all’istruzione: nell’Ottocento il primo asilo froebeliano - che riprendeva le nuove idee educative di Fredrich Froebel - fu fondato a Venezia da Adele Della Vida Levi, discendente di un’importante famiglia ebrea. Di giornaliste abbiamo già parlato, ma come non citare La donna, il primo e più importante organo dell’emancipazionismo femminile, fondato nel 1868 a Padova da Gualberta Alaide Beccari e stampato poi a Venezia tra il 1869 e il 1877. 

Come non citare poi le “perlere” e le “impiraresse”: le prime, spiega Plebani, fabbricavano “le perle a lume, o lucerna, fondendo alla fiamma canne di vetro attorno a un filo di ferro”, l’attrezzatura necessaria era semplice e il lavoro per questo poteva essere svolto anche a domicilio o in piccoli laboratori; pure le seconde, le infilatrici di perle, svolgevano la professione nelle proprie case, immergendo “gli aghi, tenuti in mano a ventaglio, nella sessola contenente le perline per formare i ‘mazzi’”. Infine, con la nascita delle grandi fabbriche in seguito allo sviluppo industriale degli ultimi decenni dell’Ottocento, molte donne cominciarono a trovare impiego come operaie e non di rado furono protagoniste di lotte e scioperi per ottenere aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro.

 

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