Il maestro vetraio Gabriele Urban al lavoro nella sua bottega (foto: Massimo Pistore / Pixu studio)
“Ogni mattina apro il portone e lo sento scottare, entro nel mio mondo e inizio a creare. Faccio questo lavoro da 52 anni, ma è ancora come il primo giorno perché io amo il vetro. Creo un’opera, la coccolo e poi mi dispiace persino venderla”. Gabriele Urban è un maestro vetraio, lavora con passione nella sua bottega a Murano e descrive le sue giornate con l’entusiasmo che solitamente si riserva alle prime volte, alle grandi scoperte. Oggi ha 63 anni, ma la sua relazione col vetro inizia già nel 1966 quando, appena undicenne, entra come garzonetto in una grande fornace, per imparare il mestiere. Quel giorno, come per magia, viene travolto da una emozione fortissima: “Mi pareva persino di riuscire a sentire il profumo del vetro. Davvero, lo sentivo dentro”.
Riprese e montaggio: Massimo Pistore /Pixu studio
Gabriele ha ascoltato e seguito quella prima travolgente emozione: “Per me è il lavoro più bello del mondo, ne ho conferma ogni giorno. Ero una promessa del calcio, ma quando sono entrato in quella grande fornace e ho visto i vetrai al lavoro, ho pensato subito che quello sarebbe stato il mio destino. Ed è andata così. Ho iniziato quando ero solo un bambino, dal 1995 ho una bottega mia”. Restiamo con lui per qualche ora, ascoltiamo i suoi racconti ammirando la lavorazione classica delle murrine e la creazione di composizioni originali attraverso l’utilizzo di cristalli, oro e polveri di vetro. Prima di visitare le sale del Museo del Vetro - con un ricco percorso che dai reperti d’epoca romana, passando per settecento anni di storia del vetro muranese, arriva ai giorni nostri -, incontriamo Sergio Malara, coordinatore e responsabile di Promovetro, consorzio nato nel 1985, con il patrocinio della Confartigianato di Venezia, da un’iniziativa di un gruppo di imprese artigiane, e oggi realtà attiva nella valorizzazione, conservazione e promozione nel mondo dell’arte del vetro di Murano. “La varietà di prodotti che si riesce a realizzare in quest’isola è molto ampia – spiega Malara -. Il mercato principale resta quello estero: Stati Uniti, ma anche Russia, Cina e Paesi arabi. Abbiamo passato un periodo di crisi, non ne siamo ancora completamente usciti ma ci stiamo riprendendo tornando anche a investire nelle fiere. Ora puntiamo a crescere: l’obiettivo è quello di rivitalizzare e sostenere una delle più importanti attività artistiche e creative della laguna”.
The Venice Glass Week
Dal 9 al 16 settembre si terrà la seconda edizione di The Venice Glass Week, il festival internazionale nato per valorizzare un'arte preziosa, quella del vetro appunto. Una settimana di eventi tra Murano, Venezia e Mestre: mostre, visite guidate, workshop, conferenze e spettacoli per promuovere un'arte antica e fragile conosciuta in tutto il mondo, da valorizzare e tutelare. Ci avviciniamo all'evento, stimolati dalle conoscenze di Marco Verità, guida d’eccezione in questo nostro viaggio di scoperta, esperto di chimica del vetro, laureato all’università di Padova, oggi membro del comitato scientifico del festival, ritornando su una storia che viene da lontano e lega il vetro alla scienza di Galileo Galilei.
Il vetro… per osservare il cielo
Marco Verità è autore di saggi e ricerche, tra i suoi contributi anche quello contenuto nel volume Il telescopio di Galileo. Lo strumento che ha cambiato il mondo (Giunti) in cui svela l’origine muranese delle lenti utilizzate per osservare il cielo. “Galileo conosceva il primo libro a stampa sulla fabbricazione del vetro, L’arte vetraria (1612) di Antonio Neri. Il 3 gennaio 1614, il principe Cesi ne chiese a Galileo una copia e questi gliela mandò subito a Roma”. E Verità continua: “All’epoca di Galileo non si produceva vetro speciale per lenti e la resa ottica era limitata da vari difetti. Era impossibile trovare un pezzo di vetro completamente privo di inclusioni gassose, striature, una certa torbidezza e un colore apprezzabile (o grigio). Per le prime lenti, Galileo utilizzò vetro per specchi muranese come testimoniano le lettere che inviò al nobile Sagredo, chiedendogli di selezionare il vetro con le qualità migliori. Tuttavia Galileo non era completamente soddisfatto del materiale prodotto a Murano. Nel 1610, riuscì a persuadere Cosimo II a realizzare a Firenze una fornace dove produrre del vetro speciale per le lenti. L’esperimento non ebbe probabilmente successo, dato che nell’ottobre del 1618 Galileo chiese nuovamente a Sagredo di cercare a Murano del nuovo vetro per le lenti e di cercare di verificare con i vetrai muranesi se con diligenza si può perfezionare la materia per far gli occhiali desiderati”.
Verità descrive i difetti di quel vetro seicentesco legandolo ai limiti di fabbricazione: all’epoca, infatti, la qualità delle materie prime non era alta e le impurità coloranti (soprattutto minerali di ferro) venivano introdotte nel vetro. Inoltre, la temperatura raggiunta nel forno di fusione era troppo bassa per consentire un completo affinaggio, ovvero l’eliminazione delle bolle di gas, e una considerevole quantità di sali (solfati e cloruri) della cenere vegetale non reagivano con la silice e non potevano essere incorporati nel vetro. “Al tempo di Galileo, la concentrazione di ferro nel vetro trasparente era molto alta (Fe2O3 fra lo 0,2 e lo 0,6%) se confrontata con il moderno vetro per ottica (meno dello 0,01%). Il contenuto di ferro e il suo stato di ossidazione determinano una tinta più o meno intensa variabile fra il giallo, il verde e l’azzurro. Per ottenere un vetro incolore, questa tinta doveva essere eliminata aggiungendo ossido di manganese; ma questo processo di decolorazione portava alla produzione di vetro grigio. Questi difetti erano ridotti a seconda della tradizione e dell’abilità dei vetrai, ma mai del tutto eliminati”.
"Dal Medioevo in poi, Venezia fu il più importante centro per la produzione del vetro in Europa - scrive Verità nel suo saggio -. Vetro di buona qualità vi era disponibile fin dalla fine del XIII secolo, quando in Europa si iniziarono a usare le lenti di vetro. Inoltre, a partire dal XV secolo, le tecniche di molatura e di lucidatura per fare specchi avevano raggiunto un alto grado di sviluppo. Dalla metà del XV secolo, i documenti veneziani classificano il vetro trasparente in tre tipi: vetro comune (leggermente colorato), vitrum blanchum (in realtà, grigio) e vetro cristallo. Questo cristallo, inventato dal muranese Angelo Barovier (1405-1460), aveva acquistato una tale chiarezza e omogeneità da essere paragonabile al cristallo di rocca (quarzo). Ben presto manufatti di vetro cristallo furono venduti in tutto il mondo e la sua formula segreta costituì uno dei fattori principali che permisero a Venezia di mantenere per circa due secoli il predominio su altri centri vetrari europei. Per preparare il cristallo, Barovier aveva aggiunto una fase preliminare alla tecnica già esistente di produzione del vetro che consisteva nel purificare la cenere vegetale. La cenere grezza era macinata, setacciata e sciolta in acqua bollente. Questa soluzione era filtrata, concentrata ed essiccata. Il sale ottenuto era mescolato in giusta quantità con silice per preparare la fritta. Il processo di purificazione portava a eliminare i composti insolubili di ferro (le impurità coloranti), ma anche di calcio e magnesio, essenziali per stabilizzare il vetro contro l’aggressione degli agenti atmosferici. Il vetro così ottenuto (in pratica silicato di sodio) si sarebbe rivestito di uno strato alterato opaco subito dopo la produzione, con conseguente perdita delle proprietà ottiche. I vetrai di Murano ricercarono e scoprirono una soluzione del problema: probabilmente, la fonte di ossidi di calcio e magnesio utilizzata fu il vitrum blanchum, aggiunto nella minima quantità indispensabile a stabilizzare il vetro. L’aggiunta causava una modesta perdita di trasparenza e limpidezza, che però coincedeva ancora al prodotto una qualità superiore rispetto a quella del vetro conosciuto fino allora. L’analisi chimica del vetro trasparente veneziano del XVI e del XVII secolo evidenzia che il cristallo ha contenuti di ossidi di calcio (CaO) e magnesio (MgO), nonché di Fe2O3 più bassi rispetto a quelli del vetro comune e del vitrum blanchum. In conclusione, quando Galileo costruì il suo primo telescopio, il vetro di migliore qualità era il cristallo disponibile a Venezia. Solo nei decenni successivi questa qualità fu superata in altri centri europei, come in Inghilterra (cristallo al piombo) e in Boemia (cristallo potassico)”.