CULTURA
Viaggio in Italia. La Marmolada: tra bellezza e rispetto per la natura
Il Rifugio Pian dei Fiacconi prima della valanga. Foto di Giorgio Galeotti - Opera propria, CC BY 4.0
Si può consigliare un luogo che non c’è più? La domanda è lecita e la risposta non può che essere: si, se quel luogo rappresenta qualcosa di molto più grande.
Arrivarci non è semplice, e non parlo al passato perché nonostante il luogo preciso non esista più, tutto quello che c’è intorno è qualcosa da vivere ad occhi aperti e pieni polmoni. Dicevamo, arrivarci non è semplice: si parte da un lago che per tutto il tempo ti scorta le spalle guardandoti allontanarti e salire, muniti solo delle proprie gambe ed un buon paio di scarponi. Il lago in questione è il Lago di Fedaia, posto a 2.053 metri sul livello del mare. Questo è l’ultimo punto in cui si può essere accompagnati da un mezzo motorizzato, dopo di che si prosegue a piedi.
La meta è il Rifugio Pian dei Fiacconi. Parlo al presente anche se il rifugio è stato spazzato via da una valanga nel dicembre del 2020, fortunatamente senza fare feriti ma distruggendo così un lavoro di più di 20 anni anni ed una casa gestita con cuore. Parlo al presente perché il rifugio, come dovrebbero essere tutti i rifugi di montagna, non era che un punto di ristoro e ritrovo per chi vuole vedere da vicino la maestosità e bellezza delle montagne. Il Rifugio Pian dei Fiacconi era raggiungibile solamente a piedi da passo Fedaia attraverso il sentiero 606 o 606bis, oppure seguendo il sentiero 619 che parte da località Pian Trevisan a 1.650 metri sul livello del mare fino ai 2.626 del rifugio, una camminata di almeno tre ore.
Fino al 2020 poi era attiva anche una vecchia cestovia che sempre da passo Fedaia portava direttamente al rifugio, un’esperienza sicuramente non adatta a chi soffre di vertigini.
Quando si parla del Rifugio Pian dei Fiacconi non si può parlare al passato, perché tutto ciò che lo sovrasta, cioè il ghiacciaio della Marmolada è ancora lì, e sarebbe bello dire in modo immutato. Di immutato però non c’è proprio nulla e il ghiacciaio della Marmolada, che scende nel versante settentrionale della montagna regina delle Dolomiti, si sta riducendo letteralmente a vista d’occhio. Ha già perso oltre l’80% del suo volume e nell’ultimo triennio questo trend si è ulteriormente intensificato. In parole povere, il ghiacciaio della Marmolada rischia di scomparire nel giro di meno di 15 anni.
Quello che è confermato da studi scientifici lo si può vedere anche dirigendosi verso il rifugio Pian dei Fiacconi o ancora più su, sulla cima della Marmolada, per arrivare al rifugio di Punta Penìa, il più alto delle Dolomiti (giungere fino in cima però non è uno scherzo. Bisogna essere equipaggiati con corda, ramponi e caschetto, essere esperti o ancora meglio essere in una buona forma fisica e farsi accompagnare da una guida alpina. Seppur in difficoltà, il ghiacciaio è ancora presente con tutti i suoi pericoli, tra valanghe e crepacci).
La Marmolada con i suoi 3.343 metri sul livello del mare è la montagna più alta delle Dolomiti ed è inesorabilmente legata a vicende storiche molto importanti. Durante la prima guerra mondiale segnava un tratto del fronte italo-austriaco e fu scenario di numerosi combattimenti volti a conquistare le cime per controllare gli accessi in val di Fassa e Val Badia. La battaglia della Marmolada fu cruciale in quella che venne definita guerra bianca. I due fronti, sia per le condizioni climatiche avverse, che per le difficoltà logistiche di approvvigionamento dei viveri e la complessità di trasporto fino in cima dell’artiglieria pesante, furono sostanzialmente statici. Questo portò gli austriaci a realizzare una vera e propria città all’interno del ghiaccio.
Vedere delle immagini d’epoca fa capire molto, sia per quanto riguarda le difficoltà vissute in quel momento, sia per quanto riguarda la questione dei cambiamenti climatici. Tutta quella città ora è praticamente sciolta ed arrivando al Rifugio Pian dei Fiacconi si intuisce come sia impellente la necessità di provare a mitigare le conseguenze prossime future del cambiamento climatico. I ghiacciai sono sempre un indicatore in merito.
Per chi poi volesse approfondire la questione della grande guerra sulla Marmolada, c’è un museo, il più alto d’Europa, che racconta alla perfezione tutta la vicenda. Per arrivarci bisogna prendere la funivia che parte da Malga Ciapela e risale il Coston d’Antermoja a 2.350 metri, passa per Serauta, che a quasi 3 mila metri (precisamente 2.950) è la sede del museo, fino volendo ad arrivare alla stazione sommitale di Punta Rocca (3.265 m) che è proprio di fronte a Punta Penìa.
Tornando al Rifugio Pian dei Fiacconi, quando si entrava in quel luogo c’era una scritta ad attendere il turista, il viaggiatore o il semplice appassionato: “Dedicato a tutti quelli che a 5 stelle ne preferiscono 5.000...". Di stelle la notte, lì se ne vedevano anche di più. Era un luogo dai tramonti magici, avvolti dal silenzio che solo la montagna può donare. Il sole che scende ed abbraccia il Sassolungo e il Sasso Piatto, adombrando anche il Catinaccio, il Sella ed in basso anche il Lago di Fedaia, che ci ha accompagnato per tutta l’escursione. Alle spalle mentre dinanzi a noi il sole cala, si alza la luna, che spunta dalla Marmolada e, se piena, illumina tutto ciò che fino a pochi anni fa era ghiaccio ed ora è solo roccia. In uno schiocco delle dita rispetto all’età della nostra Terra, tutto è cambiato.
Il rifugio però, come dicevamo prima, ora non esiste più o meglio, ne restano solamente i ruderi. Nel dicembre 2020 una valanga distaccatasi da Punta Penia e con un fronte di 600 metri l’ha investito in un momento in cui fortunatamente non c’era nessuno.
Guido Trevisan ha così visto svanire quasi 20 anni di vita. “La prima sensazione che provai, quando arrivai al rifugio la prima volta dopo la valanga, fu il vuoto, - ha scritto l’ex gestore del rifugio in una lettera al sito specializzato Planetmountain.com - mi sono sentito svuotato da un pezzo di vita, non avevo parole, emozioni, quasi neanche dolore, ed è stato così per qualche giorno. Poi il 24 dicembre lessi l'articolo sul quotidiano Trentino (e il 19 gennaio sul gazzettino.it) e non posso nascondere che i sentimenti che provai e ancora provo, sono rabbia e tristezza”.
L’articolo citava la voglia di costruire un nuovo impianto di risalita. Un’idea ed una tempistica nelle dichiarazioni che ha scosso l’ex gestore del rifugio distrutto dalla valanga. “Trovo tutto ciò oltraggioso verso tutti noi - ha continuato Guido Trevisan -, ricordiamoci che se la valanga fosse scesa in un altro momento avrebbero potuto esserci decine se non centinaia di morti, e non solo al rifugio, visto che la slavina è scesa fino a quota 2200m invadendo la pista da sci in più punti”.
La lettera poi continua con delle domande, che sono domande che dovremmo farci tutti noi, sia che si abiti in montagna, in città, in campagna o al mare. “Non abbiamo imparato nulla dalla storia? Non siamo in grado di capire i segnali della natura? Tanto più che non è la prima volta ma l'ennesima di una lunga serie”.
La natura sta lanciando dei segnali incontrovertibili. Sappiamo che il clima è già aumentato di più di un grado e che gli effetti si vedono chiaramente in quella zona il mastodontico ghiacciaio che fino a 100 anni fa permetteva di scavaci all’interno vere e proprie città è quasi sparito, segnali che devono far riflettere e cercare per una volta di abbandonare l’inesorabile “scopo di lucro”
Si può consigliare quindi un luogo che non esiste più? Si, se quel luogo rappresenta una sfida, la sfida di cercare di cambiare le proprie abitudini riappropriandoci del rapporto con la natura, e cercando di aiutare il nostro clima, cioè la nostra vita sulla Terra. Il consiglio quindi è quello di visitare la maestosità delle nostre montagne e delle Dolomiti in particolar modo, lasciando forse da parte un po’ di comodità ma ammirando luoghi tanto belli quanto fragili. È una piccola goccia che può sembrare inutile, ma nessun cambiamento può iniziare da solo.
Per chi volesse farsi raccontare la storia del rifugio Pian dei Fiacconi, Guido ora ha ritrovato “casa” nel rifugio Malga Caldenave, in val Campelle nel Lagorai. Mentre chi vuole fermarsi sulla Marmolada senza salire a Punta Penìa, che ricordiamo essere un rifugio raggiungibile solamente attraverso il ghiacciaio o la ferrata vicina quindi con esperienza, equipaggiamento adatto e ancora meglio accompagnati da una guida alpina, può andare, sempre attraverso il sentiero 606 da Passo Fedaia, al Rifugio Ghiacciaio Marmolada, poco più in alto del Pian dei Fiacconi.