SOCIETÀ

Violenza sulle donne. Aumentano i casi durante la quarantena

Non può e non deve essere ignorato l'aumento dei casi di violenza sulle donne registrato nell'ultimo periodo. L'entrata in vigore delle misure restrittive per contenere il contagio da coronavirus, infatti, sembra aver aggravato un fenomeno culturale vergognosamente presente nel nostro Paese.

Che la maggioranza degli episodi di violenza sulle donne avvenga tra le mura di casa è un dato che chi lavora nei centri antiviolenza conosce fin troppo bene, e che adesso sembra essere confermato dalle condizioni di vita a cui dobbiamo attenerci da quasi due mesi.
Quindi #iorestoacasa, certo, ma resto a casa con chi? Purtroppo non tutte le donne hanno la fortuna di sentirsi al sicuro tra le mura domestiche. È inaccettabile che la casa, il rifugio umano per eccellenza, dove ci si dovrebbe sentire protetti, sereni e circondati dai propri affetti e dalle proprie comodità diventi per troppe donne un luogo pericoloso.

Di questo abbiamo parlato con Mariangela Zanni, del Centro Veneto progetti donna, e con la professoressa Annalisa Oboe, prorettrice alle relazioni culturali, sociali e di genere dell'Università di Padova.

“L'incremento dei dati, per il momento, non si può dare come valore assoluto, ma andrà studiato più avanti”, chiarisce Mariangela Zanni. “Il nostro centro antiviolenza ha condotto, inizialmente, una ricerca analizzando il periodo dal 2 marzo al 5 aprile. In questo lasso di tempo, che copre le prime tre settimane di lockdown, c'è stata senza dubbio una flessione delle richieste di aiuto. Il dato, però, è in continuo cambiamento, perché dopo il 5 aprile, nelle ultime settimane e negli ultimi giorni, c'è stata un'impennata significativa, specialmente delle richieste di accoglienza in emergenza da parte di donne che non riescono più a sopportare la situazione in cui stanno vivendo”.

“Ci sono molti studi che evidenziano un aumento sostanziale del numero delle violenze subite dalle donne nei momenti in cui si trovano in condizioni di isolamento insieme a un uomo violento o intollerante”, spiega la professoressa Oboe. “Questo succede per esempio nei periodi in cui si è in vacanza dal lavoro, quindi durante le festività oppure d'estate. Non è una novità, quindi, che laddove ci siano dei nuclei familiari o delle situazioni di rapporto uomo-donna sbilanciati, o comunque conflittuali, le violenze aumentino quando si è costretti a stare nella stessa casa per più giorni.

Per questo, c'era da aspettarsi che la violenza domestica diventasse un problema nel diffondersi della pandemia. Il campanello d'allarme è partito proprio perché i centri antiviolenza, nelle prime settimana di lockdown non ricevevano chiamate. Questo ha preoccupato immediatamente i centri, perché significava che, con la chiusura delle case, le donne non avevano più la libertà di chiamare i numeri verdi né di rivolgersi a qualcuno per chiedere aiuto. Per questo sono partite molte iniziative, da parte delle istituzioni o di associazioni come Non una di meno, per quelle donne che, in questo periodo in cui devono tutelare la loro salute e anche quella dei loro bambini, rischiano di diventare ulteriormente vittime di violenza”.

“La situazione che stiamo vivendo rende il fenomeno della violenza ancora più imprevedibile di quanto non lo sia già normalmente”, chiarisce Mariangela Zanni. “Il lockdown, similmente a quei periodi di convivenza forzata e rottura delle routine, non può essere considerato la causa delle violenze, ma rappresenta certamente un fattore di rischio ulteriore.
Questo succede sia perché le donne nelle case stanno passando molto più tempo con i maltrattanti, quindi, anche statisticamente, hanno molta più possibilità di essere a contatto con situazioni di violenza, sia perché, in questa situazione, spesso gli aggressori non hanno la possibilità di sfogare fuori casa eventuali dipendenze o di svolgere le loro abituali attività. Ciò che acuisce ancora di più il fattore di rischio, poi, è la presenza dei bambini. I dati ci dicono che la maggior parte degli uomini maltrattanti non sono abituati a una presenza costante dei bambini in casa. Quando vengono innervositi dal comportamento dei figli, quindi, aumenta anche il rischio della violenza”.

Bisogna poi tenere presente che la violenza in questione non riguarda solo le aggressioni fisiche, di cui sentiamo parlare nei gravi casi riportati da giornali e telegiornali.
Come spiega Mariangela Zanni, “dobbiamo ricordarci che esistono anche altre tipologie di violenza, che sono altrettanto pericolose per le donne, per il loro benessere, e per la loro tenuta psicologica, che in questo momento, come per tutti, può essere messa a dura prova. Stiamo parlando, quindi, anche di chi subisce violenza psicologica, cioè di quelle donne che si ritrovano a convivere con vessazioni, insulti quotidiani e minacce. È molto in aumento, inoltre, la violenza economica: ci sono donne che non possono uscire neanche per andare a fare la spesa, perché ci va il marito, che decide cosa comprare e cosa cucinare. E ci sono anche donne che rimangono senza mangiare, una tipologia di violenza purtroppo perpetrata nei maltrattamenti in famiglia.
Infine, registriamo anche molti casi di violenza sessuale. Questo tipo di aggressione, infatti, avviene il più delle volte non da parte di sconosciuti, ma all'interno delle coppie. Rientra nella violenza sessuale non solo la mancanza di consenso, ma anche un consenso strappato, magari a suon di minacce, a donne che preferiscono concedersi pur di non far arrabbiare il compagno e tenerlo “tranquillo” con l'atto sessuale. Questo purtroppo succede in seguito alla minaccia di subire altri tipi di violenza”.

Ma come devono comportarsi, concretamente, le donne che si sentono in pericolo e hanno bisogno di aiuto? Che alternative hanno, in questo momento, a loro disposizione?
Il consiglio, naturalmente, è quello di rivolgersi al centro antiviolenza, al telefono rosa (1522) o di chiamare le forze dell'ordine (il 112) per chi dovesse sentirsi in pericolo di vita. Inoltre, la polizia di stato ha comunicato che l'app YouPol può, adesso, essere usata anche per i casi di violenza domestica.

C'è anche la possibilità di venire accolte in alcune strutture del territorio: è un'offerta che noi diamo alle donne che vogliono lasciare la casa”, spiega inoltre Mariangela Zanni.
La nostra difficoltà, al momento, è proprio quella di reperire delle strutture, perché gli alberghi sono chiusi, e le case rifugio in Italia non possono accettare nuove accoglienze, per il rischio virus. Stiamo lavorando in questi giorni con il comune di Padova e con altre istituzioni per trovare nuove strutture nel territorio.
Inoltre, non disponiamo di fondi sufficienti per sostenere eventuali affitti e rette alberghiere. Questo perché, purtroppo, non solo le sovvenzioni che ci sono state promesse non sono sufficienti, ma non ci sono neanche arrivate, e non sappiamo quando arriveranno. Quindi, al momento, stiamo sostenendo noi, come centro antiviolenza, i costi – soprattutto per le donne che non hanno la residenza.
Speriamo che le istituzioni ci vengano in aiuto al più presto, perché le donne, ovviamente, non possono aspettare che arrivino i fondi per uscire dalle case e chiedere aiuto”.

Infine, come ritiene giusto precisare la professoressa Oboe, “bisogna anche sottolineare che le donne stanno pagando un alto prezzo in questa epidemia, e non solo in fatto di violenza. A livello globale, gli impiegati nei lavori di assistenza e di cura, nei servizi sanitari e sociali, sono, per il 70% donne, e sono in prima linea a dare il loro contributo in momenti che non sono facili, peraltro mantenendo un divario retributivo, rispetto ai colleghi maschi, del 28%. Anche questo dovrebbe essere preso in considerazione da chi guarda alle differenze tra le disparità di genere in tempi di covid-19.
La pandemia rischia di provocare e di esacerbare le disuguaglianze, invece di dare a tutti un posto dignitoso e un modo paritario di stare al mondo. Un modo per gestire la ripartenza dovrebbe essere quello di mettere le donne in condizione di decidere delle politiche e delle strategie per la ripresa delle attività del Paese.

La questione della parità di genere, quindi, così come l'eliminazione della violenza, è una questione di giustizia sociale. Nel nostro ateneo, per questo motivo, abbiamo messo in campo varie iniziative, come l'apertura del centro di ateneo Elena Cornaro, l'organizzazione dei cicli di incontri Incroci di genere, aperti a tutti, e un corso aperto agli studenti di tutte le facoltà che partirà quest'anno, chiamato Generi saperi e giustizia sociale. Tutto questo è mirato a creare cultura, formazione e consapevolezza, coerentemente con la “terza missione” dell'università, cioè quella di attuare un impegno concreto sul territorio, per far sì che la conoscenza che viene prodotta sia messa a disposizione per lo sviluppo di tutti”.

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