Fino a pochi giorni fa, se avessimo preso una persona a caso per la strada e le avessimo chiesto di nominarci un autore o un’autrice norvegese, probabilmente avrebbe menzionato Jo Nesbø o Anne Holt. In effetti questi sono gli autori più conosciuti dal grande pubblico, campioni di vendite nel nostro paese, ed è quindi facile associare la letteratura norvegese contemporanea al genere thriller. Naturalmente non è così, ma l’equivoco è comprensibile: in Italia arrivano in traduzione pochi autori, quindi è difficile farsi un’idea un po’ più ampia. Probabilmente dopo la vittoria del Nobel per la letteratura da parte di Jon Fosse (comunque già parzialmente tradotto) le cose potranno cambiare, anche perché i bookmaker avevano nominato altri autori norvegesi che potevano vincere il Premio (ricordiamo che la lista ufficiale dei candidati viene diffusa solo dopo 50 anni), come Karl Ove Knausgård e Dag Solstad.
Ora si è diffuso un nuovo interesse per la letteratura norvegese contemporanea, che ha spinto gli appassionati di libri ad approcciarsi con curiosità a testi forse meno conosciuti, che però ci raccontano molto di una cultura e del suo modo di trattare le sfaccettature della condizione umana. Per comprendere meglio la ricchezza della letteratura norvegese contemporanea, abbiamo intervistato Giuliano D’Amico, docente di letterature nordiche al Centre for Ibsen Studies dell'Università di Oslo.
Servizio e montaggio di Anna Cortelazzo
Tra gli autori più rappresentativi tradotti in Italia, la cui lettura può permetterci di farci un’idea su ciò che viene pubblicato in Norvegia, D’Amico nomina Dag Solstad, che rappresenta una generazione precedente rispetto a quella di Fosse. “Solstad – precisa d’Amico – era inizialmente un autore politicamente impegnato e di sinistra, mentre poi è diventato più attento allo sviluppo della società norvegese e alle sue contraddizioni negli anni Ottanta e Novanta”.
Un altro autore, abbastanza conosciuto in Italia, è Karl Ove Knausgård, il cui ciclo di romanzi che porta il titolo La mia lotta è pubblicato in Italia da Feltrinelli. “Nel suo caso – spiega d’Amico – c’è un interesse per la scrittura autobiografica, per sviluppare un una letteratura che parla della sua vita ma che diventa opera letteraria anche in virtù della forma e della qualità della scrittura. Poi c’è anche un interesse per la spiritualità e la metafisica, si pone una serie di domande su questi aspetti che, anche se solo per certi versi, lo avvicinano a Fosse, perché entrambi sono spinti da un certo interesse per le questioni metafisiche”.
Per quanto riguarda i temi ricorrenti, la letteratura contemporanea che ha un successo sia di critica che di pubblico è quella che tratta della vita e di ciò che va oltre la vita, cioè proprio la metafisica. “È una letteratura che parte – spiega D’Amico – da un mondo che è quello di oggi e dai suoi problemi. Fosse lo tratta in maniera più stilizzata, mentre Solstad in maniera più precisa e in un certo senso più nordica, e questo forse è uno dei motivi per cui il Nobel lo hanno dato a Fosse e non a Solstad. C’è un interesse per la contemporaneità e per i problemi, se non sociali, almeno culturali, e poi c’è la tendenza a indagare il mondo spirituale, infatti Fosse si è convertito al cattolicesimo e questo ha comportato anche lo sviluppo di un aspetto spirituale nelle sue opere, con i personaggi che si fanno delle domande spirituali abbastanza importanti. Knausgård, dal canto suo, soprattutto nella sua ultima tetralogia, unisce un realismo abbastanza tipico della sua scrittura con tutta una serie di elementi soprannaturali, o presunti tali, di dimensioni del tutto oniriche che hanno a che fare con la ricerca di un senso e di un di una spiritualità propria appunto del nostro mondo”.
Secondo d’Amico, per quanto riguarda le influenze culturali e letterarie e il rapporto con i grandi classici la letteratura norvegese non è così diversa da molte altre letterature europee. Le suggestioni e le ispirazioni vengono dalle stesse fonti degli altri paesi, c'è per esempio un forte interesse per la letteratura americana e tedesca (in questo caso soprattutto quella del Novecento), mentre il rapporto con Ibsen è più complesso.
“Non c’è tanto Ibsen in Fosse, lo dice lui stesso e io sono d’accordo, se non per quanto riguarda la dissoluzione del principio realistico, che però è la stessa che troviamo per esempio in Becket. Fosse in alcune interviste ha citato invece il rapporto con Dante e con la Commedia, per quell’idea di ricerca spirituale che entrambi hanno portato avanti”.
Per chi fosse interessato a ritrovare nei libri il paesaggio nordico, non rimarrà deluso, perché vista l’attenzione di questi autori per il mondo che li circonda è inevitabile trovare determinate ambientazioni a cui noi siamo meno avvezzi, anche per il solo fatto di non avere città che distano dal bosco solo mezz’ora di metro come succede a Oslo. “C’è però il rischio di esagerare – ci mette in guardia D’Amico – e di romanticizzare la cosa, nel senso che una serie di autori norvegesi effettivamente parla di comunità rurali e di comunità marittime, ma quella è la loro quotidianità, non c'è nulla di romantico, l’ambiente non è una particolare fonte di ispirazione. Se un romanzo parla di vita in campagna e dei problemi spirituali e politici che ci possono essere, non è un esercizio letterario ma è proprio un modo di ragionare sulla vita e sul fatto che parte delle persone vivono in posti relativamente isolati, dove hanno la possibilità di confrontarsi con la natura e un paesaggio meno antropizzato”.