SCIENZA E RICERCA

Le stelle che corrono contromano

Immaginiamo di essere in una pasticceria, davanti a una gran quantità di dolci. Per cercare di intuirne la ricetta dovremmo guardare ogni torta da vicino o sperare che ce ne venga offerto un assaggio. Oppure, si può avere la fortuna di vedere il pasticcere mentre unisce gli ingredienti e la cucina. Usa una metafora calzante Lorenzo Morelli, del dipartimento di Fisica e astronomia “G. Galilei” dell’università di Padova, per descrivere i primi risultati di uno studio a cui si sta dedicando con alcuni colleghi italiani e stranieri. E ciò che stanno “osservando” per la prima volta i ricercatori sono due dischi di stelle controrotanti che si stanno formando all’interno della galassia Ngc 1366. Stelle, in pratica, che ruotano in senso di marcia opposto.  

Della loro esistenza si sa già da tempo. “All’interno delle galassie – spiega Morelli – possono esserci delle componenti slegate dal resto. In alcuni casi può esistere un disco di gas che gira in senso opposto alle stelle della galassia; in altri casi si possono avere due dischi di stelle controrotanti; in altri ancora due dischi di stelle e uno di gas che si muovono in modo non accoppiato. Si tratta di un filone di studi che ha una lunga tradizione a Padova e inizia a partire dagli anni Ottanta”. Ragione che ora fa dell’università di Padova la capofila di un team di ricerca internazionale, di cui fa parte anche l’Inaf, che indaga questi sistemi complessi.

Non si tratta dunque di fenomeni sconosciuti, anche se la loro origine non è stata ancora chiarita. Secondo lo scenario proposto dai modelli teorici, i dischi controrotanti sarebbero formati da gas che entrano nella galassia e si appiattiscono sul piano della galassia stessa, fino a formare un disco di gas e successivamente di stelle. Per provare questa ipotesi tuttavia è necessario datare indipendentemente la nascita dei due dischi, ma l’impresa si rivela difficile se si considera che questi sono sovrapposti al resto della galassia e dunque tutti gli elementi vengono percepiti visivamente sullo stesso piano.  

A questo punto i ricercatori padovani utilizzano come metodo di indagine la spettroscopia, ma con un innovativo passo in avanti. “Sfruttando le velocità opposte delle stelle dei due dischi – spiega Morelli – abbiamo immaginato un modo per poter separare la luce proveniente dalle due componenti disaccoppiate della galassia, grazie allo spostamento dello spettro dovuto all'avvicinamento e allontanamento delle sorgenti”. L’idea si rivela quella giusta. Con questo metodo gli scienziati osservano che le righe che compongono lo spettro della luce emessa dalla galassia si sdoppiano e le luci dei due dischi appaiono distinte. 

“La galassia Ngc 1366 – argomenta il giovane studioso padovano – presenta una situazione particolare. Noi infatti vediamo due dischi di stelle già formati, ma anche del gas che li sta formando e che ancora sta scendendo nella galassia stessa. Grazie a questa particolare circostanza potremo cercare di comprendere da dove arrivi il gas, come scenda nella galassia e dunque come inizi e come finisca il fenomeno”. I ricercatori, per riprendere la metafora, stanno “guardando il pasticcere al lavoro”. Senza contare che il metodo adottato permette loro di testare i modelli teorici esistenti, confrontando le osservazioni compiute con i risultati attesi. 

Lo studio è stato condotto fino a questo momento utilizzando il New Technology Telescope, un  telescopio di tre metri e mezzo dell’European Southern Observatory (Eso) in Cile. Grazie a questo strumento gli scienziati sono riusciti a rilevare un movimento molto caotico del gas, ma ancora non sono riusciti a capire di che natura sia tale movimento e come il gas sia distribuito all’interno della galassia. Per questo l’intenzione ora è di mappare la distribuzione del gas per capire come si stia muovendo. Si vorrebbe ora ricorrere a una strumentazione più potente e adatta a questo tipo di rilevazioni. Nel caso specifico si tratterebbe del Muse – Multi Unit Spectroscopic Explorer installato sul Very Large Telescope (Vlt) dell'Eso, il primo spettrografo a campo integrale di grandi dimensioni montato su uno dei telescopi da otto metri che costituiscono il Vlt. A renderlo particolarmente appetibile agli studiosi padovani è la sua capacità di fornire contemporaneamente migliaia di spettri, uno per ogni piccola regione di galassia. Con questa mole di dati gli scienziati riescono così a mappare le proprietà chimiche e fisiche del corpo celeste che stanno studiando.  

Monica Panetto

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