Succedeva spesso, a quei tempi. Un gruppo di giovani chierici si ribella, mette quaderni e bagagli sugli asini, dopo qualche giorno di cammino raggiunge una nuova città. E fonda un’università. È quel che succede nell’anno 1222, quando, per l’appunto, un gruppo di giovani studenti abbandona lo Studio di Bologna, si trasferisce a Padova e fonda quella che si rivelerà una delle più antiche e prestigiose università d’Italia e (quindi) d’Europa. Uno dei nodi principali di quella rete di atenei che sta contribuendo a farla l’Europa, dandole finalmente un’identità culturale omogenea.
Molto probabilmente la traslatio Studii dei chierici giunti a Padova è stata più complicata di un viaggio di un paio di giorni a dorso d’asino. Di loro, d’altra parte, nulla o quasi sappiamo, se non che non sono solo genti sottomontane, nate a sud delle Alpi: si hanno notizie infatti di almeno uno studente spagnolo e di uno provenzale che fanno parte del gruppo o a esso in breve si aggregano. C’è, dunque, fin dall’inizio una vocazione cosmopolita che tuttavia è tipica di quella rete di università che si va formando in Europa e che contribuisce a dare all’appendice occidentale dell’Eurasia, come abbiamo detto, una sua specifica identità.
Non sappiamo neppure quanti fossero. Forse un centinaio o forse duecento. Ma una cosa è certa, la scelta della città veneta non fu casuale. All’inizio del XIII secolo, infatti, il comune di Padova è, come dire, molto attrattivo, per via di un inusitato sviluppo economico e civile e anche, forse soprattutto, per quella certa aria di libertà che forse a Bologna iniziava a mancare.
In realtà in quegli anni è un po’ tutto il Veneto a sentire una vocazione per l’alta formazione e per il cosmopolitismo. Tra il 1205 e il 1209, infatti, nella vicina Vicenza si era esperito un tentativo analogo di insediamento di uno Studium e la provenienza degli studenti era tale da coprire – come riporta Sante Bortolami in un saggio, Studenti e città nel primo secolo dello Studio padovano, pubblicato qualche anno fa –, «quasi la carta d’Europa».
È un tentativo importante, quello di Vicenza, tanto che transita per la città anche uno tra i più illustri intellettuali del tempo, Boncompagno da Signa (1170-1250), letterato e filosofo, che è stato professore a Bologna e sarà professore per l’appunto a Padova. E, tuttavia, l’esperimento vicentino nel giro di pochi anni si consuma. Perché non sempre basta avere un gruppo di giovani studenti e di illustri docenti per dare quella continuità a un esperimento culturale del tipo che caratterizzerà lo Studium patavino. Occorrono molte altre condizioni al contorno. Che a Padova esistono e a Vicenza no.
Sta di fatto che nel 1222 i chierici provenienti da Bologna dotati, come ricorda Sante Bortolami, di una notevole «forza organizzativa e progettuale» si insediano a Padova al centro della città: forse in un palazzo che oggi si troverebbe dalle parti di Piazza delle Erbe.
“ A Padova nel 1222 nasce l’università.
È ovvio, tutto avviene col beneplacito attivo del Comune, che in capo a una decina di anni diventa un vero e proprio accordo formale che le autorità patavine sottoscrivono con gli studenti. Anche perché questi e i loro dotti insegnanti svolgono un lavoro prezioso nel convincere Papa Gregorio IX a proclamare santo, nel 1232, il francescano di origini portoghesi morto in città il 13 giugno dell’anno precedente: Antonio da Lisbona che diventerà presto noto come Sant’Antonio di Padova.
È anche per questo che, nel 1236 (primo anno di cui se ne ha una documentazione) o magari anche un po’ prima, Padova concede non banali agevolazioni fiscali agli studenti e non banali remunerazioni ai docenti: tutte risorse pubbliche estratte dalle (per ora) ricche casse comunali rimpinguate dalle tasse pagate dai cittadini. Detto per inciso, lo stesso tipo di politica adotta da almeno una dozzina di anni Federico II per attrarre studenti e docenti nella sua università, a Napoli.
È in questi anni, dunque, che Padova inizia a immaginarsi e a organizzarsi come città della conoscenza.
La scuola di alta formazione che ne vien fuori non ha, per la verità, il riconoscimento ufficiale della Chiesa. Quindi, a rigore, non potrebbe fregiarsi del titolo di Studium universale. E, tuttavia, è la funzione che svolge che fa di un’università, appunto, un’università. E Padova lo è, perché quello fondato dai chierici migranti da Bologna è una scuola di alta formazione in diritto, civile e canonico, frequentata da studenti di ogni parte d’Europa che rilascia una licentia riconosciuta in ogni parte d’Europa.
Non c’è dubbio alcuno. A Padova nel 1222 nasce l’università.
Una delle prime in Europa. Una delle più longeve del mondo.
Quanti erano, in definitiva, gli studenti presso lo Studium di Padova, nei primi quindici anni dopo la fondazione? Lo abbiamo detto, non lo sappiamo. Possiamo fare qualche inferenza, tuttavia. Nel primo anno saranno stati non più di duecento. Ma è un numero che cresce rapidamente se, in occasione della prima crisi e della minaccia di trasferirsi in massa a Vercelli, che intende stendere tappeti rossi per accoglierli – eh, sì: allora la cultura godeva di altissima considerazione – apprestandosi ad allestire, scrive ancora Sante Bertolami, «500 alloggi o hospitatia ad affitto calmierato». Se questi dati sono esatti, se ne può inferire che a Padova, a sei anni dalla fondazione dell’università, vivessero almeno 1.000 studenti.
Certo, meno che a Oxford, dove già nel 1209 pare studiassero 3.000 giovani. Ma in quantità analoga a Bologna, dove secondo Odofredo da Ostia a frequentare l’università erano in circa 1mille. Se davvero a Padova nel 1228 ce ne sono altrettanti, ebbene non possiamo certo considerarli pochi, visto che la città di anime ne conta in tutto 15.000. E per questo Padova già considerava città universitaria.
Tutti dunque o moltissimi di quei mille avevano intenzione, chissà perché, di rispondere alla chiamata delle sirene di Vercelli. Si accingevano infatti a rimettere quaderni e bagagli sugli asini in tre almeno tre gruppi distinti «presieduti ciascuno da un rettore e rappresentati da uno o più procuratori loro connazionali: tale Adamo de Canoco caposquadra dei francesi, angli e normanni; Goffredo provenzale, leader dei colleghi provenzali, spagnoli e catalani, più un rettore degli italiani non nominato e uno dei tedeschi, verosimilmente dissociatisi dai loro compagni».
Non se ne fece nulla. Forse perché il Comune di Padova rilanciò a sua volta. Cosicché la prima, vera crisi, si verifico quasi dieci anni dopo, quando, il 25 febbraio 1237, la città si arrese a Ezzellino III da Romano, signore della Marca Trevigiana. Iniziò, dunque, un periodo di feroci repressioni, che sconvolse anche la vita universitaria. Ancora oggi gli storici sono divisi sul fatto che la signoria di Ezzellino abbia o meno rappresentato una netta soluzione di continuità per lo Studium. Ma sia come sia, di un fatto si accorsero gli studenti di Padova: che la libertà è un bene tanto prezioso quanto caduco.