SCIENZA E RICERCA

Apollo 11: come si concluse la missione spaziale più straordinaria della storia

24 luglio 1969, ore 16.50 UTC (18.50 ora italiana): il modulo di comando dell’Apollo conclude le manovre di splashdown in un punto dell’Oceano Pacifico, più precisamente a 380 chilometri a sud dell’atollo Johnston, riportando sulla Terra i primi uomini ad aver calpestato il suolo lunare.

See you later: queste sono le ultime parole che Neil Armstrong pronuncia prima dello sgancio del modulo Columbia, contenente i tre astronauti. Segue un blackout delle comunicazioni tra l’Apollo 11 e la portaerei Hornet, a causa dell’elevata velocità della capsula e della frenata termica che blocca i contatti radio. A bordo della Hornet c’è il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, in trepidante attesa di incontrare i protagonisti della missione. Sono nove i minuti che passano prima che il comandate della missione Neil Armstrong risponda alla chiamata radio, confermando l’apertura di tutti e tre i paracaduti per la discesa. Alle 18.50, ora italiana, il modulo tocca le acque del Pacifico, ufficializzando così il successo della missione Apollo 11.

In poco tempo, i tre astronauti vengono raggiunti dai sommozzatori che li forniscono delle tute a isolamento biologico, una precauzione contro i batteri lunari, e vengono portati così sulla portaerei, dove passeranno 21 giorni all’interno della Mobile Quarantine Facility, una struttura per ospitare gli astronauti durante la loro quarantena

Armstrong, Aldrin e Collins: da astronauti a rockstar

Nei giorni successivi alla quarantena, i tre astronauti sono subito coinvolti in due parate celebrative, il 13 agosto 1969 a Chicago e il giorno successivo a New York. Nella sera stessa del 14 agosto, il presidente Nixon organizza una colossale cena di gala a Hollywood, invitando non solo i protagonisti della missione ma anche 50 membri del Congresso, 83 rappresentanti di paesi stranieri, 14 membri del Gabinetto del Presidente. In totale, secondo alcune fonti, ci furono 1.440 persone.

Richard Nixon, dopo questo gigantesco evento, è al centro di alcune polemiche da parte della stampa statunitense, reo di aver strumentalizzato lo sbarco sulla Luna per i propri fini politici. Sia il The Washington Post che il New York Times fanno notare ai propri lettori dell’epoca come il presidente non abbia mai nominato in tutti i suoi discorsi John. F. Kennedy, colui che diede il via al progetto Apollo. L’evento passa quindi da momento storico per la scienza e l’umanità a mero strumento di propaganda politica. 

Mon, Sep 29, 1969 – Page 1 · The Logan Daily News (Logan, Ohio) · Newspapers.com

Nonostante la presenza ingombrante del presidente degli Stati Uniti, i tre astronauti partirono per il Giantstep-Apollo 11, il tour celebrativo della missione in giro per il mondo. L’evento durò 45 giorni e toccò 27 città. Solo un paese si rifiutò di ospitare i protagonisti della missione: l’Ungheria, infatti, rivendicava la restituzione della Corona di Santo Stefano, simbolo del popolo ungherese e in possesso degli Stati Uniti dal secondo conflitto, attraverso il progetto Monuments Men.

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Che fine hanno fatto la navicella spaziale e i campioni lunari?

La quarantena non ha solo coinvolto gli astronauti: anche la navicella spaziale, la strumentazione, i campioni lunari e tutto ciò che è stato a contatto con il satellite terrestre fu messo in isolamento. Dopo questo periodo, la navicella fu inviata al Nord American Rockwell Space Division facility per essere analizzata. I risultati furono più che soddisfacenti: l’obiettivo del governo statunitense di far sbarcare l’uomo sulla Luna e riportarlo sano e salvo sulla Terra è stato raggiunto, una vittoria su tutti i fronti.

Terminati gli esami, anche il modulo di comando Columbia partì per una tournée negli Stati Uniti, approdando poi al National Air and Space Museum di Washington DC. Oltre al modulo, infatti, sono presenti la checklist operativa, gli equipaggiamenti degli astronauti, alcuni oggetti personali, la replica della placca lasciata sulla Luna e altri strumenti utilizzati nella missione.

Tra i vari obiettivi dell’Apollo 11 c’era anche quello di analizzare la Luna anche dal punto di vista geologico: in questa missione, sono stati raccolti e portati sulla Terra circa 22 chilogrammi di materiale lunare che comprendevano rocce, sassi e polvere. La Nasa effettuò delle analisi preliminari sui campioni, datandoli tra i 3 e i 4.5 miliardi di anni fa.

Questo permette di ricostruire non solo la storia della Luna ma anche di portare avanti la teoria che il satellite si sia staccato a causa di una collisione proprio dalla Terra. L’agenzia spaziale americana decise anche di organizzare un bando rivolto a tutti i ricercatori del mondo, per promuovere nuovi approcci di studio sui campioni: sono arrivate circa 10.000 candidature ma solamente 51 vennero approvate. Tra queste ci fu anche quella di un chimico italiano, Giovanni De Maria.

Laureato in Chimica all’università La Sapienza di Roma, nel 1957 De Maria vinse una borsa di studio come ricercatore al dipartimento di Fisica dell’università di Chicago. Tornato in Italia all’inizio degli anni Sessanta, iniziò a insegnare all’università di Roma e a ricoprire cariche importanti in diverse istituzioni nazionali e internazionali. Il progetto che presentò alla Nasa voleva studiare i campioni lunari, attraverso l’analisi massa-spettrometrica del comportamento dei campioni alla vaporizzazione in condizioni di equilibrio termodinamico alle alte temperature. L’obiettivo era di conoscere la composizione della nebulosa primordiale: la Luna rappresenta un esempio perfetto per questo tipo studi, dato che non possiede né atmosfera né vegetazione.

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