Giovanni Paolo II nel suo viaggio negli Stati Uniti, 4 ottobre 1979. Foto: Thomas J. O'Halloran
Per alcuni è il papa che disse “Non abbiate paura” a un mondo che di paura ne aveva, e parecchia; per altri è l’arcigno conservatore che dopo il concilio Vaticano II congelò gli istinti riformatori e che contrastò duramente la teologia della liberazione. Al di là delle considerazioni di carattere religioso Karol Wojtyła, nato a Wadowice (40 chilometri da Cracovia) il 18 maggio 1920, è però soprattutto uno dei protagonisti della seconda parte del Novecento, a cominciare dal ruolo che esercitò nello sfaldamento del blocco comunista, del quale abbiamo ricordato il trentennale pochi mesi fa.
“When John Paul II kissed the ground at the Warsaw airport on June 2, 1979, he began the process by which communism in Poland – and ultimately everywhere else in Europe – would come to an end”. Così scrive John Lewis Gaddis (The Cold War: A New History, New York 2005), docente a Yale e tra i più noti storici della guerra fredda. “Quella di Gaddis è forse una valutazione fin troppo forte, e negli ultimi anni è stata anche fortemente criticata – commenta lo storico delle relazioni internazionali Antonio Varsori –. Sta di fatto che è evidente che il papa polacco ebbe un ruolo di grande rilievo non solo nella sua patria d’origine ma anche in tutta una serie di Paesi dell’Europa centro orientale, a partire ovviamente da quelli con una forte presenza di cattolici”.
Quando il 16 ottobre 1978 il conclave elegge Giovanni Paolo II, la Chiesa cattolica viene da un periodo di relativa calma nelle relazioni con i Paesi socialisti, tramite la versione vaticana della Ostpolitik delegata da Paolo VI a mons. Agostino Casaroli. “C’era effettivamente stato un riavvicinamento politico e diplomatico, che però non implicava il venir meno del ruolo della Chiesa cattolica nella società – continua Varsori, che a Padova insegna storia della politica estera italiana –. In particolare in Polonia dopo la destalinizzazione avvenne una sorta di scambio: il partito comunista accettò di lasciare alla Chiesa cattolica alcuni margini di azione, in cambio del fatto che questa non si opponesse al suo ruolo nella società”.
Intervista di Daniele Mont D'Arpizio, montaggio di Elisa Speronello
Un equilibrio ambiguo di cui in principio sembrò beneficiare perfino lo stesso Wojtyła, da giovane sacerdote erroneamente ritenuto dal regime più ‘spirituale’ e meno pericoloso rispetto ad altri, come ha ricordato in diverse occasioni il portavoce vaticano Joaquín Navarro Valls. Una valutazione quanto mai erronea: “Già il primo viaggio di Giovanni Paolo II nella sua terra d’origine (ricordato da Gaddis nel brano citato, ndr) era impostato sul ruolo del cattolicesimo in Polonia e, pur non implicando una critica esplicita del sistema comunista, rivendicava allo stesso tempo un’identità cattolica forte, che in quel momento acquisiva anche un chiaro carattere politico in chiave nazionale e patriottica. Che significava anche un tendenziale rigetto, anche se non attraverso un’azione violenta, di un sistema comunista identificato come un’interferenza dell’Urss nelle vicende interne del Paese”.
Non a caso nel 1980 venne fondato Solidarność, primo sindacato libero nel blocco sovietico, che sui cancelli dei cantieri navali di Danzica durante gli scioperi avrebbe esposto proprio l’immagine del papa assieme a quella della Madonna nera di Częstochowa. “Solidarność in fondo non fu nient’altro che l’unione tra i rappresentanti della classe operaia, i credenti e il gruppo di intellettuali cattolici che avrebbe poi rappresentato la leadership politica che sarebbe andata al governo dopo il 1989”. È tutto da vedere secondo lo studioso se senza la figura del pontefice questo progetto politico avrebbe avuto le stesse possibilità di realizzarsi.
Giovanni Paolo II fu intimamente polacco nel suo modo di pensare e di agire, ma allo stesso tempo si sentì anche profondamente europeo; all’Italia invece dedicò minore attenzione rispetto ai suoi predecessori, e non è forse un caso nemmeno che proprio durante il suo pontificato si sia consumata la fine della Democrazia Cristiana con la conseguente rottura dell’unità dei cattolici in politica. “Questo non significa che non ci fossero buoni rapporti con i leader politici italiani, ma nel complesso la politica interna del nostro Paese lo interessavano abbastanza poco. Certo non va dimenticata la riforma del concordato, che però riguardò soprattutto il governo italiano e la segreteria di Stato vaticana. La mia impressione è che la sua fosse una visione molto più ampia, europea: in fondo si sentiva un po’ il simbolo di un continente che per lui era strettamente legato al cristianesimo”.
“ Karol Wojtyła si sentiva profondamente europeo oltre che polacco, ma dopo la caduta del comunismo l'Europa smise di ascoltarlo
Proprio in Europa e in generale in occidente, negli anni successivi alla caduta del comunismo, Wojtyła apparve per certi versi sempre più isolato e ininfluente: i suoi appelli alla pace contro la prima guerra del Golfo rimasero ad esempio inascoltati, così come quelli a nominare le ‘radici ebraico-cristiane’ nel progetto di trattato costituzionale europeo (che alla fine non si fece). “In parte è così – risponde Varsori – dopo il 1989 per tutti paesi dell’Europa centro-orientale l’obiettivo era di entrare nel sistema occidentale, ovvero nella Nato e nell’Unione Europea. E l’Ue rimane ancora in larga misura una costruzione economica, che con la Chiesa cattolica ha ben pochi legami”.
I criteri per entrare a far parte dell’Unione, definiti nel Consiglio europeo di Copenaghen del 1993, comprendevano l’accettazione del sistema democratico e dell’economia di mercato: rimasero fuori gli aspetti storici e identitari, e ancor di più quelli religiosi. Per lo storico però la questione va valutata in termini generali: “Il processo di costruzione europea non portò alla valorizzazione delle comuni tradizioni cristiane, come invece avrebbe voluto Giovanni Paolo II. Ma attenzione: se questo è vero soprattutto per l’Europea occidentale, dove la marginalizzazione della religione era già iniziata da decenni, altrettanto non si può dire per alcuni Paesi dell’Europa centro-orientale, dove l’elemento religioso è ancora oggi fondamentale per l’identità nazionale”. Sempre in Polonia il cattolicesimo è oggi dappertutto, dalle strade alle università, mentre in altri Paesi, come Romania, c’è un inaspettato revival del cristianesimo ortodosso: “Un fenomeno che mostra come l’Europa, anche quando si tratta di Paesi membri dell’Ue, rimanga una realtà ancora molto variegata sul piano della storia, della cultura e delle tradizioni”.
>> SPECIALE 1989
- Gian Enrico Rusconi: dopo trent’anni la Germania di nuovo divisa?
- Antonio Varsori: quei cedimenti nel Muro
- Filippo Focardi: il 1989 spartiacque della memoria
- Lutz Klinkhammer: trent'anni senza Muro
- L'arte oltre il Muro
- Antonio Varsori: come la fine della guerra fredda mise in crisi l'Italia
>> CENTENARIO DI GIOVANNI PAOLO II (1920-2020)