SCIENZA E RICERCA
CoVid-19: il virus era presente in Lombardia già il 1° gennaio 2020
L’infettivologo Massimo Galli, primario all’ospedale Sacco di Milano, nei suoi interventi televisivi aveva già anticipato che uno studio in via di pubblicazione avrebbe mostrato che Sars-CoV-2 circolava in Lombardia molto prima della diagnosi del 20 febbraio fatta al 38enne di Codogno. Enrico Bucci, professore di biologia dei sistemi alla Temple University di Filadelfia, già a fine febbraio dalle pagine del suo blog Cattivi scienziati, aveva suggerito che a fine dicembre le oltre 40 polmoniti anomale registrate all'ospedale di Piacenza potessero essere casi di CoVid-19. Ora un lavoro firmato da un gruppo di 16 ricercatori è stato reso disponibile in preprint su ArXiv, un database ad accesso libero dove compaiono lavori di ricerca nella versione in cui sono stati sottoposti alla peer review delle riviste scientifiche. Lo studio riporta che il primo caso confermato di CoVid-19 in Lombardia si è verificato il 1 gennaio.
Gli autori, coordinati da Danilo Cereda (Direzione generale Welfare, Regione Lombardia), Marcello Tirani (dipartimento di igiene e medicina preventiva, Agenzia per la tutela della salute di Pavia) e Francesca Rovida (Fondazione IRCCS, Policlinico San Matteo di Pavia), riportano nello studio l’analisi dei primi 5830 casi confermati di CoVid-19 in Lombardia, registrati nell’intervallo di tempo che va dai primi di gennaio all’8 marzo.
Sebbene il paziente zero non sia mai stato individuato, dopo aver diagnosticato l’infezione da Sars-CoV-2 al paziente 1 di Codogno, il 20 febbraio, il sistema sanitario lombardo, l’Agenzia di tutela della salute, i laboratori di virologia lombardi e l’Istituto Superiore di Sanità si sono coordinati per limitare l’infezione e ricostruirne la traiettoria. I contagi registrati sono saliti a 580 al 28 febbraio, dopo solo una settimana, e sono aumentati di un ordine di grandezza all’8 marzo, arrivando a 5830.
Per ciascuno di questi casi gli operatori dell’Agenzia di tutela della salute hanno ricostruito la catena dei contatti. Da ognuno di questi sono stati ottenuti i dati epidemiologici attraverso interviste standardizzate. Come da prassi sono stati raccolti i dati demografici, la data dei primi sintomi, le caratteristiche cliniche degli stessi, i risultati delle analisi dei campioni raccolti, i dati delle ospedalizzazioni ed è stato effettuato un ulteriore tracciamento dei contatti, delle relazioni, persino degli hobby, per determinare gli eventi di esposizione. Di Mattia, 38enne di Codogno ora fuori pericolo, sappiamo che era un ricercatore e uno sportivo, e che nei giorni precedenti al ricovero aveva partecipato a gare podistiche.
I ricercatori riportano nello studio, in figura 1, che il primo caso confermato di CoVid-19 nei comuni della bassa Lombardia risale al 1 gennaio 2020.
Altri dati interessanti emergono dal lavoro. L’età media dei pazienti infetti considerati nello studio è di 69 anni: più della metà era over 65 e più di un terzo over 75. Più del 60% erano invece pazienti maschi, a conferma di un trend già osservato. Di coloro che hanno contratto l’infezione il 47% è stato ricoverato e di questi il 18% ha dovuto ricorrere a cure intensive. Fino all’8 marzo si sono registrati 346 decessi: i più colpiti sono stati gli anziani nella fascia over 75, con una probabilità di morire una volta contratta la malattia del 14%.
L’intervallo seriale, ovvero il tempo che intercorre tra il presentarsi di un caso e l’altro nella catena di trasmissione dell’infezione, è stato stimato di 6,6 giorni.
L’indice riproduttivo del virus (R0 all’inizio del focolaio, Rt nelle fasi successive) è rimasto basso nei primi giorni di gennaio, per salire rapidamente a cavallo tra febbraio e marzo e per poi calare per effetto delle misure restrittive. I ricercatori stimano il valore medio dell’indice riproduttivo tra 2,3 e 3,1 durante la fase di crescita esponenziale.
Interessanti anche le analisi dei tamponi nasali che non mostrano una significativa differenza in termini di carica virale tra sintomatici e asintomatici, suggerendo e confermando che entrambe le tipologie di pazienti siano in grado di trasmettere l’infezione. I test diagnostici sono consistiti in almeno 2 real-time Pcr (Polymerase chain reaction) per ciascun paziente, per cercare la presenza di due geni espressi dal virus Sars-Cov-2 (E and RdRp) più un terzo (M).
I ricercatori riportano anche che nella prima fase di diffusione dell’epidemia sono stati osservati tre principali focolai nelle città di Codogno, Bergamo e Cremona. Il decreto del 23 febbraio ha introdotto misure restrittive nei comuni del lodigiano. L’epidemia però ha continuato a diffondersi nel resto della regione e il 5 marzo il 72% dei casi era concentrato nelle province di Bergamo, Lodi e Cremona.
Il periodo di tempo considerato dallo studio viene diviso in 3 fasi di diffusione epidemica. La prima va dal 1 gennaio al 19 febbraio, dove i casi sporadici iniziali vanno via via a intensificarsi fino al 19 febbraio, giorno precedente alla diagnosi del paziente 1 di Codogno. Questa seconda fase è caratterizzata dalla somministrazione dei test sia ai sintomatici sia agli asintomatici, ma dura solo fino al 25 febbraio, quando viene introdotta la politica di test ai soli sintomatici. Nella settimana a cavallo tra febbraio e marzo i casi registrati su base quotidiana restano stabilmente sopra i 200, con un picco a 280 il 1 marzo. La terza fase dura fino all’8 marzo ed è caratterizzata dalla somministrazione dei test solo ai pazienti sintomatici, strategia che la regione Lombardia in grave emergenza sanitaria sta tutt’ora seguendo.
Lodi è risultata la provincia più colpita nella prima fase, mentre nella terza fase hanno sofferto maggiormente Bergamo (25% dei casi regionali), Brescia (21%) e Cremona (17%).
Gli autori concludono rivolgendo un appello ai decisori politici. La risposta del sistema sanitario regionale è stata immediata e articolata su tre obiettivi: raccolta dei dati epidemiologici, aumento dei test diagnostici, assistenza ai soggetti colpiti. Nonostante gli interventi coordinati è stata osservata una crescita nell’incidenza della malattia, nel numero di pazienti ospedalizzati, nei ricoverati in terapia intensiva e nei decessi. L’istituzione della zona rossa ha giocato un ruolo cruciale nel contenimento dell’infezione, scrivono i ricercatori, e si augurano che le ulteriori misure restrittive mostrino i loro effetti positivi al più presto.