SCIENZA E RICERCA
La crescita economica in Africa: un gigante che si muove scomposto
Di Africa si parla spesso e volentieri, soprattutto per sottolinearne i problemi. Guerre, povertà, migrazioni, siccità, deserto. Queste sembrano essere le parole chiave che abitano il senso comune quando pensiamo al continente africano, intrappolato in uno schema mentale rigido e più ancorato ai pregiudizi piuttosto che alla realtà.
Certo, l’Africa è ancora il continente con la più alta concentrazione di poveri del mondo, ed è ancora il continente che i giovani lasciano per cercare altrove sicurezza e opportunità.
Ma fermarsi ancora una volta ai soli problemi, preclude di soffermarsi sui cambiamenti in atto, e sulle conseguenti possibilità. L’Africa è cresciuta, è cambiata nel corso degli ultimi 25 anni, con velocità e modi diversi a seconda delle zone, confrontandosi con i suoi problemi, vecchi e nuovi.
A testimoniare l’andamento a livello economico è l’African Economic Outlook 2018, un rapporto stilato dall’African Development Bank che si occupa di analizzare le performance delle diverse economie africane. Il rapporto fornisce anche delle previsioni a breve-medio termine sull’evoluzione dei principali indicatori economici.
Ovviamente quando si parla di economia africana occorre tenere presente che i 54 stati che la popolano presentano un’importante eterogeneità, anche economica, infatti sarebbe più corretto parlare di “Afriche”, che viaggiano a velocità diverse. Ci sono stati che hanno fatto registrare ottime performance, in altri, invece, la crescita è stata tiepida. Generalizzando, i miglioramenti nella produttività e la trasformazione strutturale sono più evidenti nei paesi che non dipendono dalle risorse.
Ciò che emerge dai dati raccolti e analizzati è che le economie africane sono state resilienti e hanno avuto uno slancio in avanti. Nonostante gli shock regionali e globali registrati nel 2016 che hanno rallentato il ritmo della risalita economica africana, ci sono stati degli importanti segni di ripresa già nel 2017. La crescita del prodotto in termini reali è aumentata del 3,6% durante lo scorso anno, e per il 2018-2019 è attesa un’accelerazione fino al 4,1%. Questi numeri si riferiscono all’Africa nel suo insieme, nonostante le entrate siano diminuite e le spese aumentate in alcuni paesi. Le riforme strutturali, solide condizioni macroeconomiche e la vivace domanda interna, stanno sostenendo i paesi che necessitano di molte risorse.
Le variabili economiche fondamentali e la resistenza agli shock sono migliorate in molti stati africani, in alcuni la mobilitazione delle risorse interne supera quella degli stati asiatici e sudamericani con un livello simile di sviluppo.
In generale, nel 2017 l’economia africana è salita allo stesso ritmo di quella globale, ma dato che l’aumento della popolazione è più ampio rispetto a molte altre regioni, la crescita del reddito pro capite è ancora al di sotto della media mondiale. Si è stimato che la crescita economica globale passi dal 3,1% del 2016 al 3,6% nel 2017, e quindi al 3,7% nel 2018. Fattori che possono portare al rialzo dei prezzi delle materie prime, a beneficio degli stati africani dato che si tratta della loro principale merce esportata.
Cresce anche il Pil, seppur in modo altalenante: la media in termini reali è salita raggiungendo il 3,6% durante il 2017, dopo un 2016 tiepido (Pil al 2,2%). Le previsioni parlano di un +4,1% durante il 2018-2019. In realtà il Pil dell’Africa, in termini globali, ha mantenuto un segno positivo costante dal 2009, noncurante del colpo sofferto dalle esportazioni a causa del deprezzamento delle materie prime (dal 2013 al 2015). l fattori che hanno contribuito a questo progresso vanno ricercati nel miglioramento delle condizioni economiche globali, la ripresa delle quotazioni delle materie prime (soprattutto petrolio e metalli), una domanda interna sostenuta e solo in parte soddisfatta grazie all’importazione, e i miglioramenti nel campo della produzione agricola. Importanti sono anche gli investimenti pubblici e privati, che sono aumentati ogni anno dal 2012 al 2016. A questo riguardo, la variazione interna a seconda degli stati è molto significativa.
Gran parte del rallentamento registrato nel 2016 è collegato alla recessione della Nigeria, dove le uscite si erano ristrette al 1,5%, a causa dell’abbassamento dei prezzi del petrolio. La ripresa nel 2017, unita alla forte performance nel settore agricolo, hanno risollevato il paese dalla recessione, ma non abbastanza per non considerare più la Nigeria come una delle economie più deboli dell’Africa. Tra le altre grandi economie del continente, il Sud Africa ha frenato la sua crescita, registrando un tiepido aumento del 0,3% nel 2016, mentre l’Egitto ha registrato una crescita sopra la media del 4,3%.
Ad ogni modo, l’andamento varia molto nelle cinque sottoregioni africane.
L’Africa Orientale è la porzione del continente che sale a passo più sostenuto: il 5,6% registrato nel 2017 va a sostituire il 4,9% del 2016. La crescita attesa rimane vivace per il 2018 (5,9%) e per il 2019 (6,1%). Il tasso positivo è diffuso in tutta la regione, con Gibuti, Etiopia, Kenya, Ruanda, Tanzania e Uganda che hanno registrato un tasso di crescita del 5% o superiore. Il consumo privato è il più importante motore della crescita in Comore e in Kenya. L’agricoltura è in fase di ripresa dopo i raccolti scarsi del 2017, mentre l’attività edilizia rimane forte. In alcuni paesi, inoltre, l’espansione dei servizi, tra cui le tecnologie di informazione e comunicazione, continua e sarà fondamentale per il futuro.
L’Africa del Nord è la seconda sottoregione per velocità di crescita nel continente, con un tasso al 5% per il 2017, che scalza il 3,3% registrato l’anno precedente. Anche in questa zona la crescita dovrebbe continuare nel 2018 raggiungendo il 5,1%, per poi rallentare al 4,5% nel 2019. A sostenere il tasso è stata la ripresa della produzione petrolifera in Libia, mentre l’Egitto continua a essere stabile.
Per quanto riguarda l’Africa meridionale, la crescita è quasi raddoppiata nel 2017. Il tasso si ferma al 1,6%, ma nel 2016 era allo 0,9%. Questo miglioramento è dovuto ai risultati ottenuti dai tre maggiori esportatori della zona: il Sud Africa (0,9%), l’Angola (2,1%) e lo Zambia.
Anche la crescita dell’Africa Occidentale è prevista in aumento. Se nel 2016 il tasso è stato ampiamente sotto l’1%, nel 2017 si stima una ripresa superiore al 2%; le prospettive per gli anni a venire sono ancora migliori: 3,6% nel 2018 e 3,8% nel 2019. Oltre alla già citata Nigeria, anche la Costa d’Avorio, il Ghana e il Senegal risultano in espansione. Altri stati più piccoli come Benin, Burkina Faso, Sierra Leone e Togo, dovrebbero registrare una crescita superiore al 5%.
Il fanalino di coda è rappresentato dall’Africa Centrale che, nonostante la ripresa dei prezzi del greggio, ha continuato a dare segnali negativi. Le uscite si sono ristrette nella Repubblica del Congo e nella Guinea Equatoriale, trascinando la media di crescita della sottoregione al 0,9% nel 2017. Nonostante ciò, le previsioni sono positive per il 2018, con un tasso di crescita del 2,6% e del 3,4% per il 2019.
Sebbene la mobilitazione delle entrate nazionali sia migliorata negli ultimi anni, i rapporti tra le imposte e il Pil sono ancora bassi in molti stati africani. I regimi di reddito dovrebbero catturare più guadagni dalla crescita e dal cambiamento strutturale quando le economie si formalizzano e gli stati diventano più urbanizzati. Visto che i prezzi delle materie prime, sebbene in ripresa, non sono ancora tornati ai livelli registrati prima della crisi, molti governi africani si sono rivolti ai mercati di capitali internazionali per soddisfare i propri bisogni finanziari, con il risultato di un accumulo di debito. In Ghana nel 2016, per esempio, il debito estero è aumentato del 41%. Così, dopo un periodo di rientro, il tasso del debito pubblico è in aumento.
La presenza del debito, di per sé, non è un problema, perché se viene usato per investire sulla crescita del paese, può attuare un circolo virtuoso in cui gli investimenti non solo ripagheranno il debito, ma anche miglioreranno il saldo di bilancio e delle partite correnti. Attualmente ci sono molto stati africani che si trovano in questa fase cruciale di sviluppo, infatti necessitano di finanziamenti urgenti per alzare la crescita e gli standard di vita. Quindi la politica fiscale non dovrebbe minare gli effetti della crescita e nemmeno cancellare i progressi ottenuti nella lotta contro la povertà, per la salute ed educazione del popolo. Altri stati africani, invece, usano il debito per ridurre i deficit fiscali, ma questa opzione è sempre meno frequente, o comunque in calo rispetto al passato.
Un’altra vulnerabilità fiscale è rappresentata dal possibile aumento dei tassi di interesse in dollari e dall’inasprimento dello spread, che metterebbero a rischio l’arrivo di flussi di capitali privati. Dall’inizio del 2015 molte delle valute africane hanno perso circa il 20-40% del loro valore di cambio con il dollaro, ma questa svalutazione della moneta non si traduce necessariamente con un vantaggio nell’esportazione verso l’estero. La gestione della domanda interna dovrebbe poter sostenere l’onere di risanare i conti con l’estero. I progetti in corso relativi alle infrastrutture devono essere completati e quindi mantenuti, bilanciando i fondi per i progetti degli oleodotti con le altre necessità. Le spese ricorrenti dovranno essere monitorate, inclusi i costi salariali. Nel medio periodo però, l’Africa dovrebbe considerare una riforma fiscale, per migliorare i regimi di reddito e per eliminare il gran numero di eccezioni e di perdite economiche che mina il sistema tributario attuale.
La percezione quindi, che il mercato africano sia poco dinamico, è sbagliata. L’Africa genera ogni anno più di 500 miliardi in introiti e altre entrate fiscali, più di dieci volte gli aiuti esteri che riceve annualmente, a cui vanno a sommarsi anche 60 miliardi di dollari in rimesse stanziate per i Paesi in via di sviluppo. Nonostante questi numeri, il continente africano spende più di 300 miliardi di dollari ogni anno per importare i beni che potrebbe produrre internamente (e a basso costo), se solo i governi promuovessero l’industrializzazione. Grazie a delle politiche adeguate, il processo di industrializzazione dell’Africa potrebbe portare il continente a migliorare la produttività, stimolare il progresso tecnologico, creando allo stesso tempo posti di lavoro e aumentando il reddito medio e i consumi interni. Alla fine di una lunga catena di benefici si vedrebbero i paesi africani smarcarsi del tutto, o parzialmente, dalla dipendenza dalle esportazioni di petrolio e metalli.
Nessuno di questi cambiamenti e di queste scelte fiscali, sono immediati e menchemeno facili. Una trasformazione strutturale profonda, solitamente, richiede decenni perché consiste in cambiamenti ampi e permanenti nella struttura della produzione, quindi il cambiamento non è dietro l’angolo, ma è decisamente a portata di mano.