SOCIETÀ
Geoetica: dalle geoscienze a un’etica globale, per un umanesimo ecologico
Foto: Dan Meyers/Unsplash
“Crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere”, scriveva Antonio Gramsci. Ed oggi, in effetti, siamo nel pieno di una crisi: una crisi, come sostengono Silvia Peppoloni e Giuseppe Di Capua, che non è soltanto economica, sociale o ambientale, ma è una crisi generale dell’umano.
Silvia Peppoloni e Giuseppe Di Capua, entrambi geologi, ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), sono i co-fondatori della International Association for Promoting Geoethics, associazione nata nel 2012 allo scopo di diffondere la conoscenza e la discussione su un nuovo paradigma etico in grado di guidare gli esseri umani attraverso le incertezze del nostro tempo: la geoetica, appunto. La genesi e le prospettive di questa proposta etica sono state raccontate dai due ricercatori in un volume, pubblicato nel 2021 da Donzelli, intitolato Geoetica. Manifesto per un’etica della responsabilità verso la Terra.
Forti del loro bagaglio (geo)scientifico, Peppoloni e Di Capua si impegnano da diversi anni nell’impresa di portare la scienza anche fuori dal mondo della ricerca, perché essa si confronti con i più pressanti problemi della società e perché offra alla società stessa i propri servigi, nella consapevolezza del fatto che l’impresa scientifica non può – e non deve – essere neutrale rispetto alle tante questioni di natura etica e sociale che si sollevano intorno ai suoi stessi risultati. Per questo motivo, scrivono i geologi nel loro libro, «La geoetica nasce e si sviluppa per identificare i valori e i criteri etici che possono guidare la relazione che ci lega alla Terra, attraverso azioni in grado di garantire un equilibrio tra la conservazione dell’abitabilità del pianeta e lo sviluppo economico e sociale delle nostre società, individuando uno spazio operativo sicuro per l’umanità» (Geoetica, pp. 9-10).
L’intervista completa a Silvia Peppoloni e Giuseppe Di Capua. Servizio di Sofia Belardinelli, montaggio di Elisa Speronello
Dalle geoscienze a un’etica globale
La geoetica, sorta inizialmente come riflessione deontologica interna al campo delle geoscienze, ha progressivamente ampliato la propria prospettiva, fino a configurarsi come una proposta etica globale, mossa dal desiderio di offrire una serie di valori autenticamente universali, condivisibili dall’intera umanità. «Chi opera nelle geoscienze, ambito di ricerca che studia da vicino le interazioni tra i processi naturali e le alterazioni antropiche del mondo non umano, deve confrontarsi costantemente con le ricadute sociali dei suoi studi e delle soluzioni scientifiche che propone», spiega Giuseppe Di Capua a Il Bo Live. «È evidente che le geoscienze influenzano la vita dei cittadini ben più di quanto si pensi comunemente, ed è innegabile che le conoscenze dei geoscienziati siano indispensabili per il funzionamento della società. Proprio queste riflessioni ci hanno mostrato la necessità di allargare la prospettiva al di là della dimensione meramente professionale, e così abbiamo iniziato ad estendere la prospettiva della geoetica fino a proporla come un’etica globale, valida per tutta l’umanità. Sia per coerenza intraprofessionale, sia per avere credibilità al di fuori del nostro settore, abbiamo però provato a mantenere sempre vivo il legame con la deontologia dei geoscienziati e degli esperti della Terra. Ecco perché abbiamo preso le mosse dall’ambito professionale per poi allargare il quadro, prendendo in considerazione le responsabilità che ognuno deve assumersi come individuo nei confronti di sé, della propria comunità di riferimento, della società e dell’ambiente».
«Le questioni più pressanti di questi anni – la crisi ambientale ed ecologica, solo per citarne alcune – sono intrinsecamente globali, e globale deve essere anche la risposta ad esse», prosegue Silvia Peppoloni. «Crediamo che la geoetica possa fornire quel substrato etico comune necessario per rinnovare la nostra relazione con il pianeta. Nella visione della geoetica la dimensione dell’individuo – il quantum dell’azione sociale – non può essere disgiunta dalle realtà sociale e naturale. In questi termini, la geoetica può rappresentare una valida risposta ai problemi e alle esigenze del presente».
La geoetica è un’etica “ibrida”, in quanto si pone al crocevia tra la riflessione etica – dialogando con le tante proposte sviluppatesi, negli ultimi decenni, nell’alveo dell’etica ambientale – e la ricerca scientifica di tutte le discipline che si occupano di studiare il funzionamento del complesso sistema Terra e le relazioni fra le sue parti. Questa contaminazione tra saperi si rivela, nella geoetica, particolarmente feconda, in quanto consente di portare avanti una riflessione sui fondamenti etici necessari per affrontare la complessità dei problemi del presente alla luce delle più aggiornate conoscenze scientifiche, dalle quali è impossibile prescindere per stabilire un piano d’azione globale informato ed efficace.
La forza della responsabilità
Dal punto di vista teorico, la geoetica si configura come un’etica delle virtù, pragmaticamente fondata su alcuni valori primari in grado di orientare le scelte individuali e collettive. Fra questi valori spicca, in particolar modo, il concetto di responsabilità, che assume un’assoluta centralità nello sviluppo dell’agire geoetico. «La responsabilità – spiega Peppoloni – è, insieme a dignità e libertà, principio fondante della visione del mondo propugnata dalla geoetica. Essere responsabili significa rispondere delle proprie azioni e delle loro conseguenze, dunque farsi carico delle decisioni prese e agire sempre in base alla reale conoscenza dei problemi. La responsabilità deve guidare l’azione in ognuno dei “dominii geoetici” nei quali ogni individuo è immerso: il sé, la propria comunità di riferimento, la società tutta e, infine, il più ampio mondo naturale.
«L’essere umano – aggiunge la geologa – è un animale complesso: agire in conformità con tale complessità, riconoscendone capacità e limiti, significa essere consapevoli anche della propria capacità di porsi problemi etici e, di conseguenza, di compiere scelte etiche. La geoetica offre un quadro di riferimento valoriale che contribuisce a ricostruire l’unità di azione dell’umano curando i rapporti verso sé stessi, verso la comunità, verso la società e verso la natura. Alla guida dei nostri comportamenti in questi quattro piani dell’esistenza poniamo l’integrità: ciò arricchisce di senso la nostra esistenza, in quanto la rende più funzionale a noi stessi e, allo stesso tempo, a ciò che è altro da noi.
Responsabilità, allora, significa assumersi un dovere verso sé stessi e verso gli altri, considerando sfere di interazione progressivamente più ampie, fino a comprendere l’intero sistema Terra. In tal modo, la geoetica ci richiama a essere nuovamente parte del tutto, partendo proprio dalla nostra unicità di individui. Per dare alla natura un valore in sé, non solo in termini di sfruttamento e di funzionalità rispetto ai bisogni umani, dobbiamo essere capaci, prima di tutto, di dare il giusto valore a noi stessi».
Foto: Noah Buscher/Unsplash
Giustizia ambientale, giustizia sociale: due facce di una stessa medaglia
Nell’epoca dell’Antropocene, in un mondo completamente modificato dall’impronta dell’uomo, la responsabilità è una guida essenziale per l’azione in ogni ambito della vita individuale, professionale e sociale dell’individuo. La ricerca scientifica ha reso evidente la pervasività delle attività umane, e alla luce della mole di conoscenze ormai a disposizione non possiamo ignorare l’impatto che ogni nostra scelta e azione, anche la più apparentemente innocente, lascia dietro di sé. «Questo – scrivono Peppoloni e Di Capua nel loro Manifesto – implica un’azione proattiva di modifica degli stili quotidiani, un attivismo politico che incida sui temi e i provvedimenti messi a punto da legislatori e decisori in ragione di una consapevolezza ecologica che sta mutando. Nelle società moderne si ha la necessità di attribuire la responsabilità in modo equo ai singoli individui, di condividerla all’interno di una cornice ideale che sia riferimento anche per i singoli gesti individuali, organizzati secondo una successione di azioni volta a raggiungere una consapevolezza ecologica più ampia e articolata, spazialmente e temporalmente» (Geoetica, p. 73).
Il “principio responsabilità” teorizzato nel 1979 dal filosofo tedesco Hans Jonas viene qui attualizzato e rinnovato sulla base della consapevolezza etica e scientifica dell’urgenza di realizzare, nel più breve tempo possibile, un radicale rinnovamento della società umana globale.
Tale rinnovamento deve riguardare da una parte il rapporto – configuratosi, da alcuni secoli a questa parte, come ineguale e predatorio – tra la specie umana e il resto del mondo vivente e della “geodiversità” che lo accoglie e circonda; dall’altra, i rapporti di potere tra ricchi e poveri, avvantaggiati e svantaggiati all’interno della nostra stessa specie, afflitta da tassi altissimi di disuguaglianza sociale. Come sostiene Peppoloni, il rispetto per l’altro da sé non può che presupporre il rispetto di sé stessi: ecco perché la crisi climatico-ecologica non potrà essere risolta senza affrontare, parallelamente, anche la profonda crisi sociale che essa porta con sé, acuendo le numerose diseguaglianze già presenti nelle società umane.
Un antropocentrismo responsabile
Gli autori si propongono di portare a una composizione le tante posizioni delle etiche ambientali, dichiarando di abbracciare, nella teorizzazione della geoetica, un antropocentrismo debole, in cui la centralità dell’umano non sia semplicemente reiterata acriticamente: distanziandosi infatti dalle tesi tradizionali dell’antropocentrismo, che giustifica atteggiamenti di dominio e sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla natura, questa prospettiva punta a porre l’essere umano al centro della dimensione etica non come destinatario di diritti, ma come agente responsabile, come detentore di doveri verso sé e verso l’altro da sé, inteso nella sua accezione più ampia. «Nel saggio ammettiamo l’impossibilità oggettiva di abbandonare una posizione antropocentrica, che, a ben guardare, si ritrova anche in posizioni filosofiche come il biocentrismo e l’ecocentrismo.
Tuttavia, riconoscere che il nostro approccio al mondo esterno è sempre inevitabilmente mediato dal nostro parziale punto di vista umano non è in contraddizione con il rispetto per la natura e con l’agire responsabile. Posizioni che cercano di negare il nostro intrinseco antropocentrismo rischiano, per di più, di indurre un profondo senso di colpa nell’essere umano; tale sentimento inibisce la lucidità dell’azione, fino a rendere difficile agire eticamente e con buon senso. Il risultato è che il senso di colpa alimenta un ulteriore sentimento, anch’esso molto antropocentrico, che consiste nel sentirci – noi umani – i salvatori del pianeta: ma ciò non fa che evidenziare la persistenza della frattura ontologica fra umano e natura, presente soprattutto nella cultura occidentale. La geoetica cerca invece di offrire una sintesi, inglobando i concetti delle diverse visioni etiche in una visione unitaria che, unendo le migliori intuizioni di ogni prospettiva, le utilizzi per indicare nuovi percorsi, più orientati alla realtà pratica, più pragmatici».
«Ciò a cui aspiriamo, e che speriamo si realizzi – evidenzia Giuseppe Di Capua – è un umanesimo ecologico, che sappia coniugare le esigenze di giustizia sociale con una nuova consapevolezza ecologica, che, reinterpreti la centralità dell’umano nel sistema Terra non come strumento di dominio, ma come esercizio di responsabilità, a partire dal presupposto della assoluta parità ontologica tra l’essere umano e tutte le altre componenti – biotiche e abiotiche – del pianeta».