Edoardo Amaldi, Gilberto Bernardini ed Ettore Pancini al laboratorio Testa Grigia, Plateau Rosà (1947)
Università di Padova e Resistenza: binomio che oggi appare quasi inscindibile, ma non per questo privo di sfaccettature. Se infatti durante quelli che De Felice chiamava ‘gli anni del consenso’ le relazioni tra ateneo e regime sono strettissime, quasi simbiotiche – soprattutto attraverso la figura di Carlo Anti, rettore tra il 1932 e il 1943 –, in seguito all’8 settembre e soprattutto all’appello alla sollevazione del nuovo rettore Concetto Marchesi il rapporto si rovescia. Proprio Marchesi infatti costituisce, assieme al futuro rettore Egidio Meneghetti e a Silvio Trentin, il Comitato di liberazione nazionale (Cln) veneto, facendo di Palazzo Bo un vero e proprio centro direttivo della nascente Resistenza al nazifascismo.
A quell’appello in seguito aderiranno nomi illustri come Norberto Bobbio e Manara Valgimigli, Luigi Cosattini, Ernesto Laura, Enrico Opocher, Lanfranco e Paola Zancan, Otello Pighin ed Ezio Franceschini – solo per citarne alcuni – ma in particolare tanti studenti. Sono soprattutto loro (107 su 116) a figurare sulla grande stele posta al lato del portone principale di Palazzo Bo, che contiene anche la motivazione della medaglia d’oro al valor militare concessa all’ateneo – caso unico in Italia – per il contributo dato alla lotta di liberazione. Di fronte, ai piedi dello scalone per il rettorato, il Palinuro dello scultore Artuto Martini ricorda Primo Visentin, il comandante ‘Masaccio’, e pochi passi dopo anche il monumento di Jannis Kounellis contribuisce ancora oggi a tenere viva la memoria di quelle vicende, quasi sfidando le scritte che sul lato opposto del cortile recano ancora i nomi di Vittorio Emanuele III e di Mussolini.
In questo intreccio vivo di storie e di luoghi, che a distanza di tempo continua ancora oggi a nutrire una cospicua pubblicistica (grazie anche a strutture come il Centro di Ateneo per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea), sembra difficile trovare ancora passaggi poco conosciuti, ancorché importanti. Ma ci sono: è il caso ad esempio del percorso di Ettore Pancini, tra i più importanti fisici italiani del dopoguerra e comandante partigiano.
Originario di Stanghella (Pd), dove nasce nel 1915, Pancini si laurea in fisica a Padova nel 1938 sotto la supervisione di Bruno Rossi, una delle figure fondamentali della scienza italiana a ridosso della seconda guerra mondiale. In realtà la sua tesi viene firmata da Angelo Drigo, poiché Rossi è stato appena costretto a lasciare l’università a causa delle leggi razziali. Un fatto che inciderà profondamente su Pancini, che durante gli studi universitari si è legato a giovani e promettenti fisici come Sergio De Benedetti ed Eugenio Curiel, antifascisti ed entrambi costretti a lasciare l’università in seguito alla promulgazione delle leggi razziali. “Ero amico di Curiel, che era ebreo, il mio professore Rossi era ebreo, tutte le persone alle quali ero più legato erano ebree e le vidi perseguitate e scacciate – dirà in seguito Pancini, durante una conferenza nel 1956 –. Ricordo che in preda a una vivissima indignazione scrissi una lettera alla Federazione fascista disapprovando la lotta antiebraica e rassegnando le dimissioni”.
“ Tutte le persone alle quali ero più legato erano ebree e le vidi perseguitate e scacciate Ettore Pancini
Nel 1939 il giovane fisico, privato del suo maestro e dei suoi colleghi, si sposta a Roma per entrare nel gruppo di ricerca sulla radiazione cosmica che si sta costituendo attorno a Gilberto Bernardini. Qui nel 1941 viene richiamato alle armi come sottotenente di artiglieria contraerea, iniziando a spostarsi in varie parti d’Italia per ragioni di servizio: “Anni dolorosi che mi permisero però di conoscere i miei connazionali – è sempre Pancini a parlare –. Rinchiuso nel mio ambiente avevo fino allora ignorato il popolo”. Non rinuncia però a portare avanti le sue ricerche: così nell'inverno tra il ’42 e il ‘43, durante un breve periodo di licenza, riesce e lavorare con Bernardini e Oreste Piccioni agli importanti esperimenti condotti sul Plateau Rosa, al confine tra Italia e Svizzera.
Dopo l’8 settembre Pancini, che in quel momento è in convalescenza a Venezia, entra in clandestinità e sceglie la lotta armata. Originariamente azionista aderisce in seguito a un Gruppo di Azione Patriottica (Gap) con il nome di battaglia di “Achille”, divenendo di fatto responsabile militare del Partito comunista in Veneto: a spingerlo verso la sua personale svolta politica sono gli ideali di uguaglianza e soprattutto la forte impressione per gli scioperi a Milano e a Torino del marzo 1943, che lo convincono che il contributo della classe operaia non può essere ignorato nella costruzione di una nuova società postfascista.
Dall’ottobre 1944 alla liberazione di Venezia, avvenuta tra il 28 e il 29 aprile 1945 guida la Brigata Garibaldi “Francesco Biancotto”, attiva nel veneziano, partecipando direttamente ad azioni militari, di sabotaggio e a tentativi di liberazione di alcuni compagni catturati, tra cui il partigiano Angelo Morelli (che nel dopoguerra sarà sindaco di Rovigo). Diventa così uno dei capi partigiani più autorevoli ma anche ricercati dalle autorità della Repubblica di Salò che, interrogando diversi antifascisti catturati, propongono loro la salvezza in cambio della vera identità del comandante “Achille”. Il silenzio dei compagni gli salva probabilmente la vita: arrestato nel 1945 dai tedeschi non viene riconosciuto, e dopo tre settimane riesce ad evadere. Il 30 maggio 1945 entra anche nel Comitato di Liberazione Veneto, in cui rimarrà fino al settembre 1945.
Dopo la Liberazione, Pancini torna ai suoi studi di fisica, anche se non abbandona l'impegno politico nel Partito comunista. Nel 1946, assieme a Marcello Conversi e a Oreste Piccioni, Pancini contribuisce a un famoso esperimento che si rivelerà essenziale per lo sviluppo degli studi sulle particelle subatomiche, tanto da essere in seguito considerato da diversi studiosi (tra cui il premio Nobel Luis Alvarez) il punto d’inizio della fisica delle alte energie.
“ Nel 1946, assieme a Conversi e a Piccioni, Pancini contribuisce a un esperimento che si rivelerà essenziale per lo sviluppo degli studi sulle particelle subatomiche
Ricorderà anni più tardi Marcello Conversi: “Trovammo che, contrariamente a quanto universalmente ritenuto in quell’epoca, il mesone dei raggi cosmici (oggi noto come ‘muone’) non poteva identificarsi con la particella postulata dal fisico giapponese Hideki Yukawa per spiegare le forze nucleari”. Si tratta di una scoperta che avrà ripercussioni decisive sullo sviluppo della fisica: “L’esperimento, condotto durante la guerra nello scantinato di una scuola romana, apre una serie di riflessioni che già l’anno dopo portano all’idea di Pontecorvo che l'interazione debole sia universale e che il muone interagisca col protone producendo un neutrino in modo analogo all'elettrone – spiega a Il Bo Live Giulio Peruzzi, storico della fisica dell’università di Padova – . Pancini, Conversi e Piccioni inaugurano così un nuovo filone, quello delle ricerche sulle particelle elementari, che in seguito porterà alla stagione dei grandi acceleratori e alla teorizzazione del Modello Standard, ancora oggi la teoria di riferimento in quest'ambito”.
Un traguardo professionale che da solo basterebbe a dare un senso a una carriera. Eppure, a detta di tutti, Pancini sarà sempre abbastanza parco di ricordi personali e di commenti, come lo sarà anche sulla sua partecipazione alla guerra partigiana, per la quale non rivendicherà mai onori o incarichi.
Dopo la direzione del laboratorio Testa Grigia sul Plateau Rosa, che contribuisce a fondare (1949-1953), Pancini inizia la sua peregrinazione accademica che lo porterà a Sassari, a Genova (1950) e quindi a Napoli (1961), dove occupa fino al 1978 la cattedra di fisica generale, per poi passare a quella di ottica. Dal punto di vista politico nel 1969, dopo i fatti di Praga, lascia Pci per aderire al gruppo del Manifesto; in seguito si presenterà alle elezioni politiche del 1979 e alle regionali del 1980 come candidato di Democrazia Proletaria. Un percorso che pone sempre come primi valori il disinteresse e la coerenza con i propri principi: “Oggi i fisici lo conoscono come scienziato, di rado però sanno la sua storia politica – spiega ancora Peruzzi –. Tra i pochi che conoscevano il suo impegno c’era l’amico e collega Carlo Ceolin: a lui una volta disse che gli sarebbe piaciuto essere ricordato come un semplice cittadino di Padova, un fisico che aveva fatto la Resistenza”.
Ancora oggi storie come quella di Ettore Pancini possono essere un esempio di come mondo della ricerca e società non debbano per forza essere separati, e di come energia intellettuale e rigore scientifico possano tradursi in passione civile. “In fondo anche durante il Risorgimento sulle barricate c’erano molti studiosi, in particolare diversi matematici – conclude Peruzzi –. L’impegno politico degli scienziati non deve stupirci: sono cittadini anche loro ed è normale che si occupino della comunità di cui fanno parte e partecipino alla vita pubblica”.