Il relitto del Dc-9 Itavia presso il Museo per la memoria di Ustica. Foto di Fabio Di Francesco
Il 27 giugno 1980 un DC-9 Itavia si inabissa nel mare nel mar Tirreno, portando con sé 81 persone tra passeggeri ed equipaggio. È l’inizio di uno dei grandi misteri del Paese, un’ombra che ancora oggi continua a pesare sull’Italia e sulle sue relazioni internazionali. Bomba o missile – dato che il cedimento strutturale pare ormai escluso? Una domanda che forse non avrà risposta, e con la quale in questa sede non ci cimentiamo. Chiediamo invece ad Antonio Varsori, storico delle relazioni internazionali presso l’università di Padova, di ricostruire il contesto in cui accadde quella tragedia e di tracciare alcune delle conseguenze. “Ustica appartiene a una fase particolare delle relazioni tra l’Italia e altri attori nell’area mediterranea – esordisce lo studioso –. In primo luogo bisogna tener conto che tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli ‘80 stiamo entrando nella cosiddetta seconda guerra fredda”.
Che succede?
“Pochi mesi prima del disastro, nel dicembre ‘79, c’è l’invasione sovietica dell’Afghanistan, con la reazione dell’amministrazione Carter e il dibattito sul boicottaggio delle olimpiadi che presto si terranno a Mosca; Inoltre l’atmosfera è abbastanza tesa anche in Polonia: di lì a poche settimane nascerà Solidarność. Per quanto riguarda l’Italia ci troviamo in una fase di transizione, con un paio di scelte che alla fine degli anni ‘70 si rivelano decisive per riallineare l’Italia in ambito occidentale e segnano la fine dell’alleanza tra Dc e comunisti, il cosiddetto compromesso storico. Alla fine del ‘78 c’è l’adesione da parte del governo Andreotti al Sistema Monetario Europeo, su forti pressioni tedesche e contro la volontà del Pci, favorevole a un’entrata ma non immediata. Poi nel 1979 il governo Cossiga acconsente all’installazione sul territorio nazionale degli euromissili”.
Insomma l’Italia rientra nei ranghi.
“Potremmo dire così, anche se in quel momento non è ancora così evidente. La situazione è molto fluida e sul piano internazionale l’area mediterranea conosce una tensione crescente, soprattutto a causa della posizione della Libia, che entra in contrasto anche con la Francia. Gheddafi sta tentando di estendere il suo raggio d’azione verso i Paesi subsahariani, in particolare con il Ciad, in un’area tradizionalmente considerata dalla Francia una propria zona d’influenza. Un elemento da non trascurare, anche se questo non ci dà automaticamente la soluzione di ciò che è accaduto a Ustica”.
E gli Usa?
“C’è sicuramente attenzione per il Mediterraneo ma in questo periodo c’è ancora l’amministrazione Carter, che si è sempre mossa con una certa prudenza e che nel 1980 ha altri problemi a cui pensare. A parte l’Afghanistan e il peggioramento dei rapporti con l’Urss non dimentichiamo che c’è ancora la crisi degli ostaggi americani in Iran e che siamo nel pieno della campagna elettorale per le presidenziali, che in seguito decreterà la vittoria di Reagan”.
Come si combinano questi elementi con quello che accade Ustica?
“Da 40 anni non riusciamo a dare una risposta definitiva. Non dimentichiamo il fenomeno del terrorismo internazionale, che già dagli anni ‘70 condiziona tutta l’area mediorientale. Noi ragioniamo nei termini di 40 anni dopo: oggi su alcuni siti c’è tutto il traffico aereo in tempo reale, ma dobbiamo ricordare che nel 1980 non ci sono i telefoni cellulari e non c’è praticamente ancora internet. È molto difficile oggi ricostruire cosa è successo”.
Missile, bomba, cedimento strutturale… In questi anni si sono sentite molte ipotesi sulle cause dell’incidente.
“Fondamentalmente sono rimaste in piedi l’ipotesi dell’esplosione interna e soprattutto quella del missile, data come maggiormente probabile da varie inchieste. C’è anche la nota questione del caccia libico ritrovato sulla Sila, anche se le testimonianze sembrano divergere sulla data dell'evento”.
Qual è stato l’atteggiamento dei nostri alleati in questi anni?
“Da ciò che sappiamo da Nato e Usa un minimo di collaborazione sembra esserci stato, meno da parte francese. Le racconto una cosa: alcuni anni fa svolgevo con un collega delle ricerche negli archivi del ministero degli affari esteri francese, a Nantes. Tra i documenti presenti c’erano anche quelli dell’ambasciata francese in Italia fino all’inizio degli anni ’90, e fra questi un fascicolo intestato ‘Ustica’. Noi lo abbiamo chiesto in visione e loro ce l’hanno consegnato”.
Dentro cosa c’era?
“Solo i ritagli di giornali. Come è ovvio del resto”.
“ Nel giugno 1980 l'amministrazione Carter ha altro a cui pensare: la crisi degli ostaggi in Iran e la campagna per le presidenziali
Da un punto di vista astratto, pensa che sia stato possibile l’intervento di un alleato nello spazio aereo italiano?
“In tutta sincerità non credo che la Francia si sarebbe posta problemi. Ricordiamo ad esempio il caso della nave Rainbow Warrior, minata e affondata in Nuova Zelanda dai servizi segreti francesi perché si opponeva agli esperimenti nucleari a Mururoa. Difficile che il presidente socialista Mitterand non ne sapesse niente. E non dimentichiamo che la Francia di Giscard d’Estaing già nel 1978 interviene militarmente a sostegno del presidente Mobutu in Zaire, che storicamente non era nemmeno sua colonia. Del resto per i transalpini l’area africana francofona è un pré carré, un giardino di casa in cui si sentono legittimati a intervenire anche militarmente, se questo risponde ai loro interessi. Inoltre, come tutti gli alti, anche i servizi segreti francesi fanno i lavori sporchi, di solito meglio ancora degli americani”.
Sparare un missile è una cosa diversa.
“È la ragione per cui rimane secondo me qualche perplessità sull’ipotesi dello scontro aereo. Allo stesso tempo va ricordato che in quegli anni la tecnologia è ancora sostanzialmente quella degli anni ‘60-’70, i missili non sono ancora così intelligenti. Come vede non ho nessuna risposta”.
Ci furono conseguenze sul piano delle relazioni internazionali?
“Dirette no. L’ipotesi del missile nasce tempo dopo, all’inizio si parla soprattutto di incidente. E quando emergono le altre ipotesi le condizioni sono ormai cambiate: nel 1980 infatti due degli attori fondamentali, Giscard e Carter, perdono le elezioni, e cambiando le leadership cambiano anche le politiche. I rapporti con la Libia di Gheddafi restano invece tesi ancora per diversi anni, finché dopo il 2001 il dittatore libico diventa un prezioso alleato nella lotta contro il terrorismo e per il controllo dell’immigrazione”.
Nel 2011 però verrà rovesciato e ucciso, sempre con il contributo decisivo della Francia. Che oggi sembra di nuovo mirare a quell’area, ancora una volta a danno dell’Italia.
“L’area mediterranea è complessa e delicata, sede ormai da decenni di tensioni e crisi ricorrenti. Ed è tutt’ora così, anche se oggi in Libia attualmente assistiamo un’estromissione di tutti gli attori europei, non solo degli italiani. A contare in Medioriente e in Nordafrica oggi sono soprattutto Russia e Turchia, più alcune medie e piccole potenze come Iran, Arabia Saudita, Qatar ed Egitto, in parte Israele. Gli Usa per il momento si sono ritratti, l’Ue al più si occupa di aiuto umanitario”.