CULTURA

I 250 anni dalla nascita di Friedrich Hölderlin, il poeta romantico dall'animo tormentato

Considerato uno dei principali lirici della letteratura tedesca, anche se la sua capacità creativa non era sempre riconosciuta dai suoi contemporanei, Friedrich Hölderlin fu un grande poeta romantico, la cui ispirazione nasceva dai suoi tumulti interiori. Trascorse la seconda metà della sua vita rinchiuso in una torre, condizione che rese la sua figura ancora più affascinante e avvolta nel mistero.

Hölderlin nacque il 20 marzo di 250 anni fa, nel 1770. Orfano di padre dall'età di 2 anni, fu cresciuto dalla madre, una donna autoritaria che aveva precise aspettative riguardo al futuro del figlio, e il cui fantasma continuò a tormentare il poeta per tutta la sua esistenza, influenzandone il carattere, le scelte e la vita interiore.
L'atmosfera familiare si spezzò ancora quando il secondo marito della madre, al quale il piccolo Hölderlin era molto legato, morì quando lui aveva 9 anni. Questo fu dunque il secondo lutto che lo turbò e che lasciò una profonda ferita nel suo carattere e nelle sue opere.

Il suo amore per la bellezza nacque dall'educazione musicale, dalle lezioni private di greco, latino e letteratura che ricevette da bambino e dalla passione per i paesaggi naturali e per le passeggiate all'aria aperta, ma siccome il sogno della madre era sempre stato che lui diventasse un pastore pietista, entrò in seminario, dove trascorse degli anni piuttosto difficili. La vita in quel luogo era estremamente disciplinata, ogni aspetto della giornata era regolato da una precisione oppressiva e non era lasciato alcuno spazio di libertà agli allievi. Hölderlin, che aveva un'indole sensibile e un carattere non molto forte, non era fatto per vivere al freddo, mangiare cibo scadente e vivere in pessime condizioni igieniche. Visse quella condizione come una prigionia, e ne restò traumatizzato. Tuttavia, tenne duro per far piacere alla madre, spinto dal forte sentimento di obbedienza che provava nei suoi confronti.

Il ragazzo dimostrò di essere uno degli allievi migliori, anche se attorno ai 16 anni iniziò a nutrire dubbi su quello che sta facendo. L'educazione musicale aveva ispirato la sua abilità poetica. Era capace di suonare il pianoforte e il flauto, di comporre versi musicali, era dotato di grande immaginazione, creatività, sensibilità, e attenzione per gli aspetti tecnici della poesia greca. Grazie alla poesia poteva costruire un mondo parallelo, che gli permetteva di fuggire da quello reale e di coltivare davvero la sua interiorità.

Hölderlin continuò la sua formazione teologica superiore a Tubinga, dove ebbe modo di coltiravare amicizie con altri intellettuali, soprattutto poeti e filosofi, tra cui Schelling e Hegel, con i quali divideva la stanza. Insieme a loro, conobbe la filosofia di Kant e capì una volta per tutte che non voleva diventare un pastore. Nonostante questo, soffriva molto per il conflitto interiore che si era scatenato tra la sua vocazione per la poesia e l'obbedienza alla madre.

Holderlin visse pienamente il periodo del romanticismo. In gioventù scrisse idilli sull'impegno politico, sulla libertà e la patria. Lavorava molto sulle parole e sulla metrica, affinava, levigava, e cercava usare la metrica greca con la lingua tedesca. Si dedicò anche a scrivere delle riflessioni filosofiche sul valore dell'arte, anche se mai in forma sistematica, e i suoi versi contenevano molti dei contenuti che autori come Schelling e Hegel avevano trattato in filosofia.
Il rapporto con la natura descritto nelle poesie di Hölderlin trae origine dalla sua esperienza e dall'ispirazione agli antichi greci. Nel contesto in cui viveva, era in voga una rivalutazione della poesia classica basata sul mettere in luce il rapporto di simbiosi dell'uomo con la natura. Anche Hölderlin apparteneva a quei romantici che anelavano a questo, e vedevano l'educazione alla bellezza come un ponte a un'epoca antica in cui i poeti potevano guardare in faccia gli dei.

Fratelli cari! Matura forse la nostra arte
Là dove un giovane l'abbia fermentata a lungo abbastanza,
Alla quiete della bellezza;
Siate pii, come furono i Greci!

Amate gli déi e pensate benevolmente ai mortali!
Odiate l'ebbrezza e il gelo! Nulla insegnate e spiegate!
Se vi spaventa il maestro,
consigliatevi con la natura.

(Ai giovani poeti, 1799)

 

Credeva in cuor suo che solo la bellezza e l'amore fossero la via da seguire, e iniziò a scrivere l'Iperione, un romanzo epistolare in cui il protagonista, Iperione, racconta la sua vita e il suo amore per Diotima al suo amico Bellarmin. Si tratta di un'opera giovanile e molto complessa, che conteneva però già elementi caratteristici della sua fase matura: parlava infatti del destino e metteva in campo divinità della natura e divinità greche, che per lui erano tutt'altro che astratte.

Hölderlin diventò amico anche del poeta Schiller, dal quale si fece ospitare da a Jena, dove il dibattito filosofico in quegli anni era molto acceso, in seguito alle teorie di Kant che avevano dato una scossa all'atmosfera culturale del tempo.
Conobbe in quell'occasione anche Goethe, ma quando glielo presentarono non riuscì a riconoscerlo subito, fraintendimento che gli causò un tale imbarazzo da compromettere il suo rapporto con lui.
In ogni caso, l'amicizia con Schiller fu origine di grandi opportunità di crescita per Hölderlin. L'amico poeta infatti lo spronava a comporre poesia a sua volta e pubblicò anche un frammento dell'Iperione sulla sua rivista, Thalia.

Hölderlin nutriva nei confronti di Schiller un senso di inferiorità. Non si sentiva all'altezza dell'amico e degli altri intellettuali che aveva conosciuto, e iniziò a maturare l'idea che la filosofia fosse troppo astratta, e che solo l'arte poteva aiutarlo a conoscere meglio con il mondo, perché gli permetteva di trasformare in immagini dei concetti che nella filosofia restavano astratti.

Gli anni più produttivi per la poesia di Hölderlin furono quelli che trascorse a Francoforte, a casa del banchiere Jacob Gontard. Sua moglie, Susette, era una donna affascinante, intelligente e molto più giovane di lui, che diventò ben presto la musa di Hölderlin. Egli la idealizzava e vedeva in lei l'incarnazione di Diotima. Fece allora della sua proiezione il personaggio amato da Iperione, traducendo la sua esperienza emotiva nel romanzo. Sembra che i sentimenti del poeta fossero ricambiati, ma lui sapeva di essere di un rango sociale inferiore a quello di Susette, e soffriva della sua condizione di semplice precettore. La loro relazione finì quando il signor Gontard, che aveva fiutato qualcosa, fece una scenata di gelosia. Hölderlin ne restò molto turbato e decise di andarsene.
Il tempo che aveva passato con Susette fu il suo periodo creativo per eccellenza. Hölderlin fu ispirato intensamente da quell'idillio e dedicò alla donna moltissimi componimenti, chiamandola sempre Diotima.

I due si scrissero fino al 1800, incontrandosi clandestinamente di tanto in tanto, e quando egli scoprì che lei era morta di rosolia, attaccatale dai suoi bambini, ebbe un crollo e iniziò in quel periodo a soffrire di Schizofrenia. Non essendo più in grado di vivere autonomamente, venne fatto internare in un centro di salute mentale, dal quale uscì poi devastato e svuotato.

Fu poco prima di allora che compose la celebre lirica Metà della vita, scritta poco prima di perdere del tutto la ragione.

Con gialle pere scende
E folta di rose selvatiche
La terra nel lago,
Amati cigni,
E voi ubriachi di baci
Tuffate il capo
Nell’acqua sobria e sacra.

Ahimè, dove trovare, quando
E’ inverno, i fiori, e dove
Il raggio del sole,
E l’ombra della terra?
I muri stanno
Afoni e freddi, nel vento
Stridono le bandiere.

Hölderlin fu ospitato, per la seconda metà della sua vita, da Ernst Zimmer, un dipendente della casa di cura che aveva letto l'Iperione. Il poeta visse altri 36 anni al primo piano della torre della casa della famiglia Zimmer, che si prendeva cura di lui amorevolmente, nonostante la sua malattia. In quest'ultima fase della sua vita diventò un'attrazione del posto: il poeta squilibrato e misantropo rinchiuso nella torre, che spesso firmava le sue opere con lo pseudonimo di Scardanelli. In quegli anni si dedicò alla musica e a comporre poesie che però sono state quasi tutti perdute, fino a quando morì nel 1846.

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