Foto: Dey Alexander/Flickr
Un’epidemia che passa inosservata, ma che – ammonisce in un Rapporto del 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità – è la prima causa di mortalità al mondo: parliamo delle malattie non trasmissibili (noncommunicable diseases, NCD), come diabete, malattie cardiovascolari, cancro, patologie respiratorie croniche. Simili patologie sono responsabili, annualmente, del 71% di tutti i decessi registrati nel mondo. Per di più, gli studi più recenti mostrano come la loro incidenza – dovuta anche al generale aumento della vita media – non si concentri soltanto nei Paesi ad alto reddito, ma sia anzi particolarmente alta (il 77% del totale) fra le popolazioni a basso e medio reddito. Persino in Africa, il continente nel quale l’incidenza di malattie non trasmissibili è ad oggi più basso, si sta registrando un rapido aumento della loro diffusione.
Tutto questo suggerisce che vi sia una correlazione tra le condizioni socioeconomiche e lo stato di salute di una popolazione. Sono molte, in effetti, le patologie (trasmissibili e non) che si verificano con maggior frequenza (e hanno effetti più dannosi) laddove vi siano povertà, carenza di servizi medici, insicurezza sociale e individuale, violenza. L’insieme di condizioni patologiche (non solo sanitarie, ma anche politiche, ecologiche ed economiche) che interagiscono l’una con l’altra è definito sindemia. Quando questa pluralità di situazioni di svantaggio sociale ed economico interagisce con una o più patologie, le une e le altre si rafforzano e si aggravano a vicenda, innescando un rischioso meccanismo di retroazione positiva.
Anche l’attuale pandemia può essere considerata una sindemia. Come mettono in luce Emily Mendenhall e colleghi in uno studio pubblicato su Nature Human Behaviour, le pandemie sono caratterizzate, per definizione, dalla diffusione globale di una malattia, ma – a ben guardare – sono composte da una molteplicità di epidemie e sindemie che si esplicano in modi molto diversi a seconda del contesto locale. Nello studio, avviato sul campo nel 2019 e fortemente ridimensionato a causa dell’esplosione della pandemia, il gruppo di ricerca mirava a valutare quanto l’interrelazione di fattori sociali, economici e psicologici incidesse sulle condizioni di salute della popolazione di Soweto, un’ampia area della città di Johannesburg, in Sud Africa.
“ La teoria delle sindemie sostiene che le disuguaglianze strutturali determinano il concentrarsi di più malattie, dando luogo a interazioni che producono esiti disastrosi dal punto di vista della salute C.L. Workman, Syndemics and global health, Nat Hum Beh 6(2022):25-26
L’originalità della ricerca sta soprattutto nel metodo di analisi adottato: in opposizione alla pratica comunemente adottata in epidemiologia di studiare l’occorrenza di epidemie da un punto di vista clinico globale e individuale, gli autori hanno deciso di utilizzare un approccio “misto”, dando grande rilevanza ai fattori sociali, solitamente trascurati dalle indagini epidemiologiche.
Attraverso l’accostamento di dati quantitativi e qualitativi, gli autori hanno cercato di comprendere con maggior chiarezza cosa determina la concentrazione di patologie e come queste interagiscono. Trovare risposta a queste domande – si afferma nell’articolo – è infatti «cruciale per illustrare in che modo la storia ed il contesto locali siano essenziali nel creare condizioni favorevoli allo sviluppo di epidemie, e al tempo stesso per determinare quando siano da preferire interventi di carattere non sanitario, ma sociale».
Dalle ricerche qualitative (interviste e valutazioni delle condizioni sociali e psicologiche dei partecipanti agli studi) è emersa un’evidente correlazione tra situazioni di stress psicologico e la presenza di una o più malattie croniche. Sono numerosi i fattori strutturali e sociali che possono impedire agli individui di convivere con relativa tranquillità con una patologia cronica: tra questi, vanno sicuramente evidenziati l’insicurezza finanziaria, l’impossibilità di accedere a cure adeguate, la mancanza di una rete di sostegno familiare, l’essere sottoposti a situazioni di violenza sociale o domestica – tutte situazioni che si verificano principalmente tra le fasce più fragili della popolazione, dove la qualità della vita è significativamente più bassa rispetto alla media.
Riconoscere la pericolosità e la pervasività di questa interazione tra fattori sociali, politici, ambientali e salute dei cittadini è un passo essenziale per realizzare interventi di cura e prevenzione più mirati ed efficaci. «La teoria della sindemia – spiegano gli autori dello studio – si fonda sull’idea che siano i fattori sociali e strutturali ad incrementare la concentrazione delle malattie e la loro interazione, e che i diversi fenomeni locali possano determinare una differenza nelle interazioni tra patologie e nell’esperienza individuale a seconda del contesto in cui si esplicano». Fattori come violenze diffuse, traumi sociali e stress cronico svolgono un ruolo importante nel determinare l’emersione di una condizione di sindemia, proseguono i ricercatori. Questo studio dimostra in che modo simili esperienze interagiscano in modi complessi con altre situazioni concomitanti, trasformando il rischio di sindemia in una realtà.
La dinamica di diffusione di una patologia (trasmissibile o non trasmissibile che sia) deve essere sempre compresa alla luce dei molteplici fattori in azione nel contesto locale: stabilità economica e politica, disuguaglianze, welfare, salubrità ambientale sono determinanti nel modificare – in meglio o in peggio – le condizioni di salute di una comunità. E questa inevitabile complessità dovrebbe ricordarci come il contesto locale e la visione globale non possano mai prescindere l’una dall’altra, dal momento che viviamo in un sistema nel quale tutte le parti sono intimamente interconnesse. La tutela e il miglioramento della salute globale non può ignorare tale interdipendenza: per raggiungere l’obiettivo di “Assicurare salute e benessere per tutti”, come recita il Goal 3 dell’Agenda 2030, è necessario intervenire anche sulla lotta alle disuguaglianze, sulla sicurezza e sul benessere economico, sulla tutela dell’ambiente. Ancora una volta, dunque, la realtà ci ricorda che non vi è sostenibilità possibile se non si adotta un approccio olistico, che tenga conto della complessità delle sfide che ci troviamo ad affrontare.