SOCIETÀ
Bulgaria al voto: la probabile riconferma del premier risorto dalle proteste
Le proteste di piazza, a settembre 2020, contro Boyko Borissov. Foto: Reuters
Appena pochi mesi fa Boyko Borissov sembrava sul punto di crollare. Il primo ministro bulgaro, leader del partito conservatore Gerb, alleato con l’estrema destra nazionalista, era diventato il principale bersaglio delle proteste di piazza divampate la scorsa estate: accusato apertamente dai manifestanti di corruzione, per aver favorito, o comunque consentito, il fiorire degli interessi di oligarchi locali, di mafiosi e criminali, sospettato di “muovere” a suo piacimento l’intero corpo della magistratura, per aver tentato d’intimidire, in combutta con il procuratore generale Ivan Geshev, perfino il presidente della Repubblica, Rumen Radev, un indipendente eletto nel 2018 grazie ai voti decisivi del Partito Socialista, che non aveva esitato a definire pubblicamente, platealmente, la cricca di Borissov “un governo mafioso”.
Il premier aveva perfino tentato di “barattare” le sue dimissioni in cambio di una modifica costituzionale che avrebbe dimezzato il numero dei membri dell’Assemblea Nazionale (da 240 a 120): i partiti di opposizione hanno detto no.
Alle prossime elezioni, si pensava, sarà spazzato via. Ma ora che l’appuntamento è arrivato (si voterà domenica prossima, 4 aprile) i sondaggi dicono altro. Dicono che nonostante il crollo dell’indice di gradimento del premier, il partito populista ed europeista Gerb (Citizens for European Development of Bulgaria) continua a essere in testa alle preferenze e con ogni probabilità uscirà dalle urne come il più votato: tra il 26 e il 28% (nel 2017 era oltre il 33%), con un ampio margine di vantaggio, tra i 5 e gli 8 punti, rispetto al BSP (Bulgarian Socialist Party), l’unico che avrebbe potuto contendergli il primato. Nessun partito, comunque, avrà la maggioranza dei deputati: la formazione del prossimo governo dipenderà dalle alleanze, dal peso delle coalizioni. E Borissov, 62 anni a giugno, leader indiscusso del centrodestra, chiamato dagli amici “bate Boyko” (“fratellone Boyko”) per la sua stazza massiccia, potrebbe così incredibilmente restare in sella, per un quarto mandato. Alla guida di un Paese rassegnato, sempre più dilaniato dalla corruzione e dalla povertà, senza troppe prospettive di cambiamento.
In sostanza nessuna forza politica è stata in grado di riassumere il senso delle proteste della scorsa estate (le più imponenti in Bulgaria negli ultimi decenni), che si sono poi via via affievolite per l’arrivo della stagione più rigida e per il dilagare della pandemia da Coronavirus (cinquemila nuovi casi al giorno, decessi oltre quota 13mila, agli ultimi posti tra i paesi Ue per vaccinazioni), altro punto debole del governo Borissov, aspramente criticato per la pessima gestione dell’emergenza (il primo marzo il governo, su pressione degli esercenti, ha riaperto bar e ristoranti, salvo richiuderli il 20 marzo dopo la conseguente, e prevedibile, impennata dei ricoveri). Ma lui, il premier, continua comunque a ostentare tranquillità: «Abbiamo un esercito di medici vaccinati, sapremo affrontare questa nuova ondata», ha dichiarato. E oltre un quarto degli elettori continua a credergli, nonostante la fragorosa caduta d’immagine di Gerd, soprattutto dopo le dimissioni del braccio destro di Borissov, Tsvetan Tsvetanov, travolto dallo scandalo “Appartamentgate”, scoppiato quando fu reso noto (dal giornale locale indipendente Bivol.bg insieme a Radio Free Europe) che un’impresa edile vendeva a deputati, ministri e viceministri del governo appartamenti di lusso nella zona residenziale Iztok di Sofia, a prezzi clamorosamente inferiori rispetto a quelli di mercato. Oppure quando un deputato dell’opposizione, Hristo Ivanov, tentò di metter piede su un tratto di spiaggia pubblica sul Mar Nero, respinto da agenti di polizia in borghese: in sostanza la spiaggia era stata concessa “ad uso privato” a un uomo d’affari considerato molto vicino al premier. «Gli effetti delle proteste stanno diminuendo a causa della mancanza di una figura unificante o di un'entità politica», ha spiegato Petar Bankov, ricercatore e analista presso l’Università di Glasgow.
Il premier resiste nonostante gli scandali
Ma come ha fatto Borissov a restare in carica, a non farsi travolgere dalle accuse, dalle richieste di dimissioni? Nulla, e questa si è rivelata (almeno finora) una strategia vincente. Ha ignorato le accuse, non ha mai risposto direttamente ai manifestanti. Ha evitato interviste, si è limitato a parlare di altri argomenti (come la pandemia, o i rapporti con la Macedonia del Nord). Ritirato nella sua residenza, ha incontrato imprenditori, partecipato a incontri. Secondo un’analisi pubblicata alcuni mesi fa dal Washington Post, «la strategia di ignorare le manifestazioni pacifichetende a essere adottata da regimi politici stabili quando i manifestanti e i partiti di opposizione non rappresentano concrete minacce elettorali e non possono offrire chiare alternative politiche». Come dire: la disapprovazione verso l’operato del governo non si convoglia in un’unica direzione, ma si disperde in mille rivoli che non rappresentano numericamente una minaccia per il partito al governo. Esattamente quel che sta accadendo in Bulgaria. «Borissov non è soltanto il primo populista salito al potere, molto prima di Orban e Trump», sostiene l’analista bulgaro Evgeny Daynov, intervistato da France24. «Ma è anche il populista più autentico, perché è arrivato ad essere percepito dalla gente comune come un loro rappresentante». Mentre Radosveta Vassileva, docente presso l'University College (UCL), la Facoltà di giurisprudenza di Londra, accusa apertamente «il primo ministro bulgaro di aver usato l’emergenza Covid, a partire dalla primavera del 2020, come un'opportunità per attuare misure che limitano i diritti fondamentali e consolidano la sua autocrazia». E ancora: «La Bulgaria è permanentemente lacerata da scandali riguardanti la distribuzione non casuale dei fascicoli, abusi di giudici e pubblici ministeri che resistono agli ordini politici, distruzione intenzionale delle prove dalle autorità». E pensare che, scavando nel suo passato, il premier bulgaro può vantare perfino l’aver vinto, nel 2010, il Premio internazionale della Fondazione (Prix de la Fondation) del Forum di Crans Montana per il suo impegno e i suoi sforzi nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata in Bulgaria.
Gli scenari, a livello politico, restano complessi. Senza alcun partito a prevalere (sono lontani i tempi delle “maggioranze bulgare”) l’attenzione sarà puntata al gioco delle alleanze. Dopo Gerb e Socialisti, il terzo partito sarà “There Are Such People”, formazione populista guidata da Stanislav "Slavi" Trifonov, popolare showman televisivo, musicista e presentatore, che ha deciso di lanciarsi nella battaglia politica come paladino della legalità, contro la corruzione e l’appropriazione indebita, e per l’aumento del minimo salariale in Bulgaria (332 euro: è il più bassodell’Unione Europea). TASP è accreditato di un 15% dei voti, ma ha già escluso accordi con i principali partiti. Subito dietro il Movimento per i Diritti e le Libertà (Dps), che rappresenta i diritti delle minoranze del paese, comprese le comunità turche, musulmane e rom, dichiaratamente a favore del riconoscimento dei diritti per la comunità Lgbt+ (argomento tutt’altro che secondario in questa campagna elettorale) e perciò in aperto contrasto con Gerb. Di certo il centrodestra non potrà più contare sull’appoggio finora determinante dell’estrema destra “United Patriots”, che dal 9,7% dei voti del 2017, dopo una serie di scissioni interne, potrebbe scivolare a poco più del 4%. Il termometro delle coalizioni dice che Socialisti e Dps potrebbero trovare un accordo. Ma gli analisti non escludono a priori un’alleanza futura, su basi programmatiche, tra Gerd e gli stessi Socialisti: i numeri dovrebbero averli.
Frodi e compravendita di voti
Ma al di là della composizione del futuro governo, la Bulgaria resta un paese dilaniato dalla corruzione (la ONG Transparency International la classifica come la più corrotta delle 27 nazioni dell'UE), da una povertà endemica, da una progressiva e costante contrazione dei diritti umani. Il dipartimento di Stato americano ha appena diffuso il suo rapporto 2020 sulle pratiche per i diritti umani nel mondo. Nella sezione dedicata alla Bulgaria, al capitolo dedicato alla libertà di stampa, si legge: «Ad agosto, l’ONG Ethical Journalism Network ha riferito che la libertà di stampa nel paese era “sotto attacco” da parte del giornalismo scandalistico pro-governativo, che ha messo a tacere le voci critiche “attraverso minacce finanziarie e alla sicurezza”, spesso costringendo i giornalisti a praticare l'autocensura per evitare molestie e intimidazioni. A ottobre il rappresentante di Reporters Sans Frontières che copre l’UE e i Balcani ha dichiarato che il governo non ha alcuna volontà di cambiare e migliorare l’ambiente dei media». Amnesty International riassume così la situazione: «Le condizioni nei centri di accoglienza e di detenzione per rifugiati e richiedenti asilo sono rimaste inadeguate. Diffusa violenza domestica. Un clima di xenofobia e intolleranza si è intensificato in vista delle elezioni. Discriminazioni nei confronti di rom, ebrei e altre comunità minoritarie hanno provocato episodi di violenza e molestie. I giornalisti sono stati minacciati e perseguiti a causa del loro lavoro».
Poi c’è il problema della povertà, che peraltro si collega drammaticamente all’appuntamento elettorale di domenica prossima. Il 22% della popolazione è considerato a rischio, in un paese che vanta il più basso costo del lavoro tra i paesi dell’Unione Europea, secondo i dati appena pubblicati dall’agenzia di statistica Eurostat. Uno “stato di necessità” che attraversa ampi strati della popolazione e che addirittura, intrecciandosi al problema inestirpabile della corruzione, potrebbe mettere a rischio la regolarità delle prossime elezioni. Perché i voti si vendono e si comprano, per cibo, denaro, per blandire il potente di turno. Come denunciato pochi giorni fa dalla ONG Anti-Corruption Fund, che ha riscontrato irregolarità almeno in un seggio su 5. «Sulla base delle nostre stime sulle precedenti elezioni generali, nonché sulle elezioni locali, tra il 5 e il 19% dei voti in ciascuna elezione è stato espresso in cambio di un pagamento da un partito politico o pressione di un datore di lavoro». Vista la pratica fuori controllo, i partiti politici sono stati obbligati, per quel che serve, a mettere una didascalia su tutti i loro manifesti e volantini elettorali: “Comprare e vendere voti è un crimine”. Secondo Tihomir Bezlov, senior analyst del Center for the Study of Democracy di Sofia, «in passato la compravendita di voti era praticata principalmente nelle comunità emarginate, ma recentemente è stata riscontrata in altri gruppi, ad esempio tra gli studenti». E in questo clima, il prossimo autunno si terranno anche le elezioni presidenziali, con l’attuale capo di stato, Rumen Radev, che ha già annunciato che si candiderà per un secondo mandato.