Annabelle Wallis in "Warning"
Dio esiste, e non vive a Bruxelles, ma accanto a noi. Anzi, ci è proprio appiccicato. È un assistente virtuale, un gadget a forma di piramide con tanto di occhio nel triangolo, da tenere vicino al letto o sul tavolino del divano: la sua voce calda ci sveglia, ci suggerisce pensieri positivi, scruta nel nostro animo, ci offre consigli spirituali e prende nota dei nostri peccati, applicando multe salate quando arriviamo al decimo. È un Dio prêt-à-porter, che risolve angosce esistenziali e dilemmi etici con una battuta salace. Siamo in un futuro imprecisato, in una civiltà in cui morale, religione, compassione sono state sostituite da un sistema ad alta efficienza. La tecnologia sostituisce ogni emozione e risponde a ogni quesito: ma lo fa con la sua logica. È lo scenario di Warning, pellicola polacco-americana diretta da Agata Alexander, vista in anteprima al Trieste Science Fiction Festival (dove ha vinto il Méliès d’argent).
Warning interpreta un topos narrativo della fantascienza, l’intelligenza artificiale come minaccia per l’uomo, secondo uno schema inconsueto. Non sono le macchine a ribellarsi all’uomo, schiacciandolo: è l’uomo che ha programmato, inconsapevolmente, l’autodistruzione della propria umanità. Perché ha demandato ai computer la pianificazione di un mondo che risponde perfettamente ai suoi bisogni, plasmando una società che ha anteposto il piacere al pensiero, l’efficacia all’empatia, il budget alla pietà, il significato al rituale. L’apologo si traduce, narrativamente, in un montaggio alternato di storie accomunate dall’assuefazione all’indifferenza morale e al trionfo dell’utile.
Simbolo di questa disumanizzazione è David (Thomas Jane), l’astronauta il cui vagare tra le stelle intervalla e compendia le vicende dolorose degli uomini. David è un astronauta-operaio, tecnico di basso livello, inviato a riparare un satellite: una missione inutilmente rischiosa, cui è stato destinato un essere umano perché molto più economico di un robot. Un incidente proietta David lontano dal satellite, privandolo di qualunque possibilità di salvezza: dovrà fluttuare nello spazio per alcuni giorni, finché l’ossigeno non si esaurirà. Ma l’ibridazione uomo-macchina vale anche in senso inverso: in Warning non ci sono solo uomini ridotti ad attrezzi, ma robot dis-umanizzati, come l’anziano androide Charlie (un ruolo splendido per un toccante Rupert Everett), desideroso di servire gli uomini ma destinato a soccombere perché, paradossalmente, troppo umano e poco funzionale. Solo in apparenza meno plumbea è la vicenda di Claire (Alice Eve), che va in crisi quando Dio, il suo assistente virtuale spiritual-esistenziale, va in panne e non può più dispensarle massime motivazionali, precetti e punizioni. Costretta a “pregare in modalità manuale” e a risolvere da sola i dilemmi cui Dio forniva risposte rapide e infallibili (avvisare o meno il proprietario dell’auto tamponata nel parcheggio?), Claire, esasperata, riesce a ottenere un Dio sostitutivo, ma il cambio non si rivelerà vantaggioso…
Meno originali, anche se d’impatto, le storie di Ben e Anna (Patrick Schwarzenegger e Jakub Wypler), coppia distrutta dalla dipendenza di lui da un software di realtà virtuale che invade ogni momento della loro vita privata, e quella di Magda (Garance Marillier), giovanissima “prostituta virtuale”, che baratta il benessere economico con il concedersi in rapporti in cui il corpo è solo il veicolo di un flusso di fantasie chimico-informatiche a disposizione del ricco cliente di turno.
Episodio chiave, infine, anche per l’eleganza e la raffinatezza delle scenografie (sembra quasi un film a parte) la vicenda di Nina e Liam (Annabelle Wallis e Alex Pettyfer), Giulietta e Romeo dell’era glaciale delle relazioni umane. Nella stratificazione sociale estrema che impone la logica dell’efficienza, Nina appartiene a una casta inferiore, separata da quella di Liam dalla più radicale delle disuguaglianze: mortalità contro immortalità. Liam, consapevole delle difficoltà (il dio che vuole unirsi all’uomo?), decide di presentarla ai familiari invitandola a cena a casa (la sua abitazione, un esempio di post-bioarchitettura fascinosa quanto inquietante, è la trovata di maggiore impatto visivo del film). La cena in famiglia, altro topos narrativo che spesso accompagna rese dei conti sanguinose, si trasforma qui in un dibattito sul valore della finitezza e l’insensatezza delle passioni umane. Tra le sonorità elettroniche anni Settanta di Gregory Tripi ed effetti speciali un po’ vintage, Warning si chiude con un altro déjà-vu, la catastrofe catartica, ma anche in questo caso la Alexander si diverte a ribaltarne il senso con l’humour nero e il “nichilismo etico” che caratterizza l’intero film. Perché alla fine compare il Dio vero, quello “di una volta”, ma non è esattamente il grande consolatore che vorremmo. Morale: se, fino a prova contraria, di vita ne abbiamo una sola, è consigliabile rammentare sempre che siamo uomini. E non sbarazzarci dell’etica chiedendo l’assoluzione a un robot.