Immagine di Alpha Photo (CC BY-NC 2.0)
Dopo il crollo negli Stati Uniti di alcune banche, (Silicon Valley Bank ma anche Signature e Silvergate) è arrivato quello di Credit Suisse, da poco acquisito dalla rivale UBS a prezzi stracciati. E la crisi non sembra ancora esaurita: un dato che non tranquillizza, se consideriamo che la recessione nel 2008 iniziò proprio con il fallimento di alcuni istituti di credito. Lehman Brothers vi ricorda qualcosa?
Ne parliamo con Lorenzo Forni, docente di economia all'università di Padova con una lunga esperienza nell’ufficio studi della Banca d’Italia e al Fondo Monetario Internazionale. Siamo davvero di fronte a una crisi internazionale nel settore bancario? “Direi di no: anche se sono emerse tensioni che non vanno sottovalutate per il momento si tratta di fenomeni abbastanza isolati – spiega l’economista –. Dico ‘abbastanza’ perché effettivamente i rialzi dei tassi d’interesse dell’ultimo anno soprattutto negli Stati Uniti pesano abbastanza sui bilanci bancari”.
Intervista di Daniele Mont D'Arpizio, montaggio di Barbara Paknazar
Nel caso di Silicon Valley Bank secondo Forni c’è stato essenzialmente un errore nella gestione da parte dell'istito dell’impatto dei rialzi dei tassi d’interesse, che causano una svalutazione dei titoli di Stato già posseduti dalle oltre a una diminuzione dei depositi, dato che i clienti sono attratti da altre forme di investimento più redditizie oppure preferiscono spendere il denaro piuttosto che perdere potere d'acquisto a causa dell'inflazione. Silicon Valley Bank non si era mossa bene per fronteggiare questi fenomeni, non ricorrendo ad esempio a una qualche forma di Hedging, di copertura del rischio tramite strumenti finanziari; la crisi del settore high-tech, che ha svuotato i conti correnti di molte start-up, ha fatto il resto.
“Il discorso è in parte diverso per l’Europa, dove Credit Suisse soffriva da tempo per scelte passate sbagliate e per la bassa redditività” continua Forni. Una situazione accostata da alcuni a quella di Deutsche Bank, per la quale a un certo punto si temeva il contagio, come si è visto dall’andamento del mercato dei Cds (credit default swap), che assicurano proprio contro i rischi di fallimento: “allarmi che però al momento sembrano rientrati”.
“ Le situazioni tra Usa e Europa sono diverse, come diverse sono state le reazioni rispettivamente di Federal Reserve e BCE
Se le situazioni tra Usa e Europa sono diverse, diverse sono state anche le reazioni della Federal Reserve e della BCE: mentre infatti il presidente della Fed Jerome Powell, oltre ad aver fornito liquidità agli istituti in crisi per circa 350 miliardi dollari, ha dimostrato di essere orientato a raffreddare (ma non a fermare) la rincorsa dei tassi, optando lo scorso 22 marzo per un rialzo dello 0,25% contro lo 0,50% prospettato fino a pochi giorni prima, la sua omologa europea Christine Lagarde ha confermato negli stessi giorni un aumento dello 0,50%. Pesa il fatto che al momento il costo del denaro nell’area euro è ancora più basso di oltre un punto rispetto al dollaro (3,50% contro 4,75%), ma soprattutto il fatto che in Europa l’inflazione è più alta rispetto agli Stati Uniti, che risentono meno degli effetti della guerra in Ucraina e dell’aumento dei prezzi dell’energia. Secondo Forni inoltre alla Fed probabilmente si chiedono quanti altri istituti siano nella situazione della Silicon Valley Bank e probabilmente nelle prossime settimane cercheranno di rimediare a una serie di errori nella supervision.
Per il momento non sembrano comunque esserci le condizioni per una crisi sistemica del sistema bancario, anche se la cautela resta comunque d’obbligo. Quello che è successo nelle ultime settimane ci ricorda infatti che per quanto remoto il rischio in una ‘corsa agli sportelli’ è sempre presente, come ci ha ricordato il Nobel per l’economia attribuito pochi mesi fa a Douglas Diamond e a Philip H. Dybvig proprio “per le ricerche sulle banche e le crisi finanziarie”.
Tweet del controverso imprenditore e influencer Kim Dotcom
I due economisti, vincitori del prestigioso premio assieme all’ex presidente della Fed Ben Bernanke, hanno studiato l’influenza della fiducia nelle relazioni economiche, con particolare riguardo al pericolo delle cosiddette profezie che si autoavverano. Come è noto infatti gli istituti di credito svolgono un fondamentale ruolo di intermediazione tra i vari attori economici, permettendo attraverso il processo detto di maturity transformation che il denaro depositato dai correntisti alimenti la concessione di prestiti a lungo periodo, fondamentali per gli investimenti e la crescita dell'economia. Uno schema che poggia interamente sulla fiducia: se questa viene rotta l’intero sistema finanziario va verso il collasso, portando con sé anche l’economia reale. Per questo i tre autori premiati hanno analizzato nei loro studi il ruolo delle banche nelle crisi economico-finanziarie, mettendo anche a punto una serie di possibili rimedi.
Se però aumentano le conoscenze, allo stesso tempo anche le criticità mutano e in un certo senso si evolvono. Ha fatto ad esempio molto parlare il contributo dato dai social, in particolare Twitter, nell’innescare la Bank run che ha portato al tracollo di alcuni istituti. “Eppure negli Usa la crisi sembra al momento quasi completamente rientrata, non si sa bene come e soprattutto perché – conclude Forni –. Certo la Fed è intervenuta tempestivamente, ma è come se improvvisamente da un giorno all’altro si sia deciso che il problema non c’era più”. Su Twitter inoltre sembrano essersi molto diradati i tweet allarmistici che in un primo momento avevano amplificato il panico: che ci sia lo zampino di Elon Musk e dei nuovi padroni del vapore dei social?
Spazio economia
- Spread e il debito pubblico: la misura della fiducia
- Euro e Tassi d'interesse
- Servono più tasse per i ricchi: lo dice l’economia
- Christine Lagarde, una giurista alla BCE
- L'eredità di Mario Draghi dopo 8 anni alla presidenza della Bce
- Il MES della discordia
- Patto di stabilità UE: difficile per ora cambiarlo
- L’Italia fa i conti con il MES