SOCIETÀ

Cos'è il diritto di restare e perché ne sentiamo parlare

Il diritto di restare è entrato nel vocabolario contemporaneo sulle migrazioni, non può che far piacere. Negli ultimi anni la locuzione o il concetto sono talora usati da studiosi e rappresentanti istituzionali, da personalità della cultura e del giornalismo, da vari plurali organi di informazione e siti social, non può che far piacere. Una delle prime formulazioni e definizioni dovrebbe risalire a un fortunato libricino del 2016, che scrivemmo con Telmo Pievani sulla libertà di migrare. Già nell’introduzione scrivevamo: “Chi può permetterselo considera ormai coessenziale alla propria vita una piena libertà di migrare, un proprio diritto. Spesso sentiamo prevalere egoismi nazionali e paure alimentate ad arte. Senza cogliere il quadro d’insieme, sociale e geografico. Perdiamo di vista chi continua a non migrare e soffre sempre di più nelle sue terre non avendo il diritto di restare, chi continua a migrare all’interno del proprio paese fra grandi disuguaglianze, chi è costretto a migrare volente o nolente dalle troppe emissioni di gas serra”.

Conoscevamo le resistenze palpabili e impalpabili a considerare il migrare un diritto, non a caso preferimmo associarvi piuttosto i vari gradi di una libertà umana, per altro prevista dalla Dichiarazione Universale dei diritti, e da valutare sempre come un carattere assoluto ma graduabile, per scelta del singolo individuo, della sua comunità di appartenenza, delle norme collettive esistenti alla partenza, nei transiti, all’arrivo. Cercammo allora di configurare un vero e proprio nuovo “diritto” di tutti i sapiens conviventi sul pianeta. Il migrare riguarda un fenomeno così radicato nella storia e nella geografia dell’evoluzione umana che “può essere governato soltanto con lungimiranza e con il senso alto di una politica intesa come lo stare insieme in vista di una attività comune e di un futuro aperto. Solo una politica così eticamente e razionalmente motivata potrà contrastare il più possibile le migrazioni forzate, riconoscere appieno l’esistenza dei rifugiati climatici, favorire la libertà di migrare insieme al diritto di restare nella terra in cui si è nati”.

Libertà di partire, diritto di restare. Diritti umani in patria, libertà di migrare altrove

Ragionando sul testo di molti articoli della indirettamente vincolante Dichiarazione del dicembre 1948, cominciammo a definire meglio le locuzioni. “Nel villaggio mondiale esiste oggi libertà giuridica di migrazione per tutti. Non tutti lo sanno, molti non sempre lo ricordano, quasi mai chi lo sa lo dice… Libertà di partire, diritto di restare. Diritti umani in patria, libertà di migrare altrove. Una migrazione forzata è di norma arbitraria e vietata, transitoriamente ammissibile solo in casi eccezionali, in sostanza quando non c’è alternativa alla necessità immediata di spostare qualcuno”. Il diritto di restare è associato e complementare alla libertà di migrare, non alternativo e opposto. Nessuno dovrebbe essere costretto ad andarsene da casa propria (per frequente esempio, dalle oppressioni e discriminazioni statuali o dai cambiamenti climatici antropici globali), il suo diritto è poter restare e, restando, mantenere libertà di movimento e migrazione (disposti dall’articolo 13), se e quando vorrà. Così vuole la logica pacifica, così prevede il diritto internazionale.

Il combinato disposto di tutti gli articoli della Dichiarazione rende, in sostanza, implicito un diritto di restare: se qualsiasi sapiens ha diritto alla vita, all’educazione, alla salute, al lavoro, all’informazione e così via, non può che reclamare il diritto pure a non dover emigrare, a continuare a vivere dove si trova in quel momento e gli aggrada, lì gli andrebbero garantiti quei diritti citati, non altrove. Papa Francesco ha colto molto bene questi connessi principi e ha scelto di dedicare al tema la prossima 109° Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 24 settembre. “Liberi di scegliere se migrare o restare” recita il titolo diffuso con l’esplicita “intenzione di promuovere una rinnovata riflessione su un diritto non ancora codificato a livello internazionale… il diritto a poter rimanere nella propria terra… precedente, più profondo e più ampio del diritto ad emigrare”, perché riguarda “la possibilità di essere partecipi del bene comune, il diritto a vivere in dignità e l’accesso allo sviluppo sostenibile… attraverso un esercizio reale di corresponsabilità”

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Anche l’attuale presidente del consiglio Giorgia Meloni ha ripreso locuzioni e concetti, sembrando però concepire il diritto di restare come contrapposto alla libertà di migrare, come obiettivo per bloccare i flussi migratori (il contesto era sempre quello del triste commento europeo ai naufragi in mare di migranti africani). A fine marzo 2023, parlando al Senato ha dichiarato: “prima di ogni ipotetico diritto a emigrare, ogni essere umano ha il diritto a non essere costretto a migrare in cerca di una vita migliore. È esattamente l'aspetto che Europa e Occidente in questi anni hanno colpevolmente trascurato”. Meloni è tornata spesso poi a ribadire le sue convinzioni, da ultimo a fine luglio parlando a una conferenza internazionale della Fao a Roma e citando il papa: “Il nostro obiettivo è quello di assicurare a tutti il diritto a non dover emigrare, la possibilità di vivere in pace e con dignità nella propria terra, queste sono le parole di Papa Francesco e la sicurezza alimentare rappresenta un tassello fondamentale per questo cammino”.

Approfondiamo con attenzione...

Innanzitutto, si mette un diritto certo “prima” e un altro diritto dopo, fra l’altro considerato solo ipotetico. Prima, aiutiamoli a casa loro insomma, bene provarci. Ciò non può cancellare che ovunque chiunque deve mantenere poi libertà di movimento e di migrazione, libertà di non restare se non lo vuole. Il migrare può essere disincentivato, non proibito. Se un cittadino è libero devono esserci anche frontiere aperte per l’uscita dal proprio paese e canali legali di ingresso in altri. In secondo luogo, quei migranti non andrebbero dunque considerati liberi, si sono trovati o sentiti costretti a emigrare e, una volta superato il confine del proprio paese, andrebbero allora tutti considerati “migranti forzati”, in base a svariate normative internazionali da tutelare e assistere (prima e dopo deserto e mare). In realtà non è proprio così, la confusione dei principi fa danni; una parte dei migranti ha fatto una scelta con qualche grado di libertà, una parte dei migranti vanno considerati invece strettamente come rifugiati (con diritto d’asilo); tutti comunque non possono essere lasciati morire nel Mediterraneo, i respingimenti preventivi non sono ammissibili, pagare capi e dittatori di altri paesi per tenerseli altrettanto.

In terzo luogo, gli studi statistici, demografici e sociali hanno mostrato che non tutti quelli che vorrebbero una vita migliore riescono a muoversi e migrare, fanno fatica a spostarsi i più poveri e derelitti, ci provano perlopiù persone con qualche padronanza di vita, abilità fisica e livello di cultura. Conseguentemente, i necessari maggiori sviluppo sostenibile e democrazia istituzionale nei paesi africani potrebbero comportare non meno ma più flussi migratori. Lo si vede con triste metafora dai movimenti e dai trasferimenti che durano poco o sono magari turistici e non costituiscono effettive migrazioni. In questi mesi estivi del turismo di massa chi è davvero costretto a restare a casa sono coloro che hanno poche risorse, subiscono malattie, convivono con disabilità da assistere, insomma non se lo possono permettere. La diseguaglianza sociale è sempre dietro l’angolo.

D’altra parte, se tutti restano a cercare di vivere meglio a casa loro, noi qui abbiamo e avremo qualche problema grave da affrontare, come riconosce lo stesso governo (pure a prescindere dalla denatalità). Il Consiglio dei Ministri del 6 luglio ha dato il via libera a 452 mila ingressi “dall’estero” in Italia dal 2023 al 2025, ripartiti in 136 mila per il 2023, 151 mila nel 2024 e 165 mila nel 2025. L’obiettivo dichiarato ufficialmente è stato quello di stabilire quote il più in linea possibile con il “fabbisogno del mercato del lavoro… previo confronto con le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative sul piano nazionale”. Occorre ricordare che, sulla base di studi di economisti e imprenditori, le nuove quote non riescono ugualmente a sopperire una domanda stimata di almeno 833 mila lavoratori nei prossimi tre anni, quasi il doppio di quelli a cui dovrebbe essere consentito l’ingresso, esercitando loro comunque un qualche libertà di emigrare e immigrare.

Forse il governo in carica potrebbe essere aiutato nella complicata dinamica gestionale dei flussi migratori internazionali, oltre che dalla revisione dei meccanismi europei, dalla piena attuazione dei due patti globali che sono in vigore in materia da quasi cinque anni, i noti Global Compact dell’Onu, quello on Refugees (che attiene al reale mancato diritto di restare) e quello for Migration (che attiene all’esercizio della libertà di migrare). Servono a rendere le migrazioni ordinate, regolari e sicure per tutti, per chi parte e per chi torna, per chi vede qualcuno andarsene e per chi vede qualcuno arrivare, per chi ritiene di non avere emigranti e per chi ritiene di non volere immigrati.

Per quei cittadini e (talora, incredibilmente) per quei rappresentati istituzionali che non lo sanno, tali accordi delle Nazioni Unite non hanno valore giuridicamente vincolante per i singoli Stati e non comportano, dunque, alcuna ingerenza. La loro funzione è valutare ovunque cosa è utile fare per governare un fenomeno planetario (ovvero le migrazioni umane nelle loro molteplici forme, alla partenza, nel transito e all’arrivo), che diventerà ancor più massiccio e pervasivo nei prossimi anni, per forza di cose, lo si desideri o meno (Vedi anche Migranti, tutto quello che non vi hanno detto sul Global Compact).

Lo abbiamo documentato e ripetuto tante volte: vi sono emigrazioni sbagliate, da disincentivare e da ridurre, tendenzialmente da eliminare, sono solo quelle forzate (che appunto violano il diritto di restare appartenente a ogni sapiens), l’eventuale conseguente immigrato va comunque assistito; vi sono poi emigrazioni abbastanza libere (che appunto manifestano l’esistente grado di libertà di migrare), spesso “giuste” per loro e forse per noi, da valutare e gestire legalmente, l’eventuale conseguente immigrato va messo alla prova della civile convivenza italiana o europea.

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