CULTURA

A 90 anni dalla morte, il viaggio di Marie Curie in Italia

“È una grande gioia per me pensare che il mio viaggio in Italia possa essere stato davvero utile alla causa comune, come lei afferma. Sa che resto a sua completa disposizione per qualsiasi consiglio sulle questioni che abbiamo discusso durante il viaggio. Ho anche intenzione di avviare una serie di esperimenti per contribuire a risolvere questi problemi. Infine, mi permetta di ringraziarla sinceramente per l'amichevole cura con cui si è occupato di me, rendendo facile e piacevole un viaggio così lungo e complicato. Mi creda, conserverò un ottimo ricordo del mio soggiorno nel suo bellissimo Paese e degli incantevoli rapporti avuti con i suoi colleghi”. 

È il 9 settembre 1918. Marie Skłodowska Curie ha da poco concluso il suo primo viaggio in Italia. Una missione scientifica. La lettera, originariamente in francese e citata da Bronislaw Bilinski, accompagna il rapporto ufficiale di quella visita. Il destinatario è Vito Volterra, matematico e fisico di caratura internazionale, nominato senatore del Regno nel 1905, fondatore dell’Ufficio invenzioni e ricerche presso il ministero delle Armi e munizioni nel 1917 e del Consiglio nazionale delle ricerche sei anni più tardi. Fin dagli anni Ottanta dell’Ottocento aveva iniziato a tessere relazioni intense con scienziati francesi come Poincaré, Picard, Borel, Painlevé, Pérès e, non ultima, anche Marie Curie. Volterra si era recato personalmente a Parigi per concordare i dettagli del viaggio del 1918 e il 13 febbraio di quell’anno scriveva alla moglie: “Ho avuto oggi una lunghissima conversazione con la Signora Curie, che è una donna veramente straordinaria per altezza di mente”. 

Non era la prima volta che il matematico invitava la scienziata nel nostro Paese, ma fino a quel momento lei aveva sempre declinato l’offerta. L’ambiente scientifico italiano nutriva un profondo interesse per le scoperte di Marie Curie e del marito Pierre: nel 1903 i coniugi erano stati insigniti del Nobel per la fisica, insieme a Henri Becquerel, per il loro lavoro sulla radioattività; mentre nel 1911 la donna da sola aveva ricevuto il nobel per la chimica per la scoperta del radio e del polonio. Anche in Italia non mancarono i riconoscimenti: nel 1904 la Società Italiana delle Scienze conferì loro la medaglia "Matteucci", mentre nel 1909 Marie Curie fu eletta membro corrispondente dell'Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna. Pur accettando le nomine, a nessuna delle due cerimonie la scienziata presenziò personalmente, né partecipò mai ad alcuna seduta.

Conserverò un ottimo ricordo del mio soggiorno nel suo bellissimo Paese e degli incantevoli rapporti avuti con i suoi colleghi Marie Curie, 9 settembre 1918

Nel 1918 le condizioni cambiano. Nel nostro Paese scienziati come Raffaello Nasini, Scarpa, Camillo Porlezza avevano iniziato a effettuare ricerche sulle sostanze radioattive contenute nelle acque, nei fanghi, nelle rocce, nei minerali, nelle emanazioni gassose. Non restava che passare alla loro estrazione e utilizzo – data l’utilità che potevano avere sia in ambito sanitario che militare –, e Marie Curie, all’epoca un’autorità in materia, era la persona più indicata a fornire un valido contributo. Fu allora che Volterra, direttore dell’Ufficio invenzioni e ricerche, invitò la scienziata come consulente, con il compito di esaminare le risorse radioattive individuate dagli studiosi italiani. Se questa era la ragione ufficiale, racconta Annibale Mottana che ne scrive in un saggio del 2017, altri interessi (non espressamente dichiarati) muovevano chi aveva organizzato la missione: a interessare, anche più del radio, era l’elio, un gas leggero che si poteva estrarre dai vapori delle sorgenti termali radioattive e che avrebbe potuto rifornire palloni da osservazione e dirigibili. Eravamo ancora in guerra e in quegli anni l’Italia era una potenza mondiale in questo tipo di arma aerea. 

Marie Curie accetta la proposta. La sua esperienza le suggeriva che il radio poteva essere di grande aiuto per la guarigione di numerosi soldati feriti. Negli anni precedenti si era personalmente adoperata, con la figlia Irene e l’appoggio della Croce Rossa e altre associazioni, a equipaggiare dei furgoncini con i primi apparecchi radiologici, le cosiddette petites curies, che raggiungevano direttamente le zone delle operazioni: lei stessa si era spinta in prima linea a portare aiuto ai militari, utilizzando i raggi X per esaminare fratture o danni fisici provocati da pallottole e schegge e impiegando la radiazione del radio per cauterizzare lesioni superficiali e sottocutanee. Secondo Mottana va cercata proprio nel crescente interesse per la radioterapia (utilizzo di raggi X) e soprattutto per la radiumterapia (impiego del radio) in ambito medico l’intima ragione che in quella circostanza spinse la scienziata ad accettare la proposta dell’Italia. Tanto più che l’Institut du Radium da lei fondato a Parigi vedeva scendere le sue riserve di radio e le sorgenti termali italiane potevano dunque rappresentare una vicina fonte di emanazione di cui anche la Francia avrebbe potuto servirsi.  

Il 31 luglio 1918 un telegramma dal quartier generale dell'Esercito a Roma – Ufficio invenzioni e ricerche convoca il sottotenente Camillo Porlezza, assistente alla cattedra di chimica del professor Raffaello Nasini all’università di Pisa, per un incarico immediato: “Stanotte ore 3.30 arriverà costì Signora Curie. Prego incontrarla stazione”. Così fu. Il giovane non conosceva personalmente la scienziata e quando gli apparve fu profondamente colpito da quella “piccola donna timida”, “figura ascetica, fragile nell’aspetto, vigorosa e inflessibile nell’adempimento della sua opera”. Il chimico si aspettava probabilmente un’autoritaria gentildonna resa più imponente dai galloni del Premio Nobel, ma fu disingannato. Fu lui dunque a condividere tre settimane di intenso lavoro con Marie Curie, mentre altri scienziati come Nasini, Scarpa e Volterra si alternarono nelle varie località. A lui si deve la prima narrazione di quel viaggio attraverso l’Italia, nel saggio La missione della Signora Curie in Italia del 1938, dopo aver realizzato che Eve Curie ne aveva solo accennato nella biografia della madre. 

Partirono dunque da San Giuliano Terme in provincia di Pisa, dove collaudarono gli strumenti, dirigendosi verso Larderello e Montecatini. Si spostarono poi al sud, alla volta di Napoli, Ischia e Capri, dopo una breve sosta a Roma. In tutti questi luoghi venivano controllate le misurazioni della radioattività effettuate in precedenza. “In questa circostanza – racconta Porlezza – si manifestò ancora una volta l’austerità con cui la Signora Curie intendeva adempiere il compito che si era assunto: da noi invitata a visitare la incantevole Grotta Azzurra, essa cedette a malincuore dopo avere obbiettato che era venuta per lavorare e che riservava la parte dilettevole per una sua eventuale ulteriore visita in Italia fatta a scopo turistico”. E così fu anche nella sua tappa successiva, il Veneto: raggiunsero “Venezia in motoscafo partendo da Fusina e vinta ancora una volta la resistenza della signora Curie per mostrarle, sia pure di sfuggita, alcune delle bellezze della città lagunare”.   

Dopo un’ulteriore sosta nella capitale, la studiosa polacca era giunta a Padova il 13 agosto. Nonostante in quel momento la città fosse difficile da raggiungere a causa della guerra, alla scienziata fu procurato un mezzo con cui muoversi sui Colli Euganei per misurare la radioattività delle sorgenti. In precedenza si era occupato di quelle zone Raffaello Nasini, quando era docente di chimica all’università di Padova. Secondo quanto riporta il sottotenente pisano, Marie Curie in quell’occasione avrebbe visitato Abano, Montegrotto e Battaglia Terme; diversamente Annibale Mottana nel suo saggio riferisce invece che il distretto di Abano-Montegrotto sarebbe risultato irraggiungibile perché in quegli alberghi risiedevano il re e Diaz, ragion per cui ci si mosse verso Battaglia.  

In quelle terre riemersero gli interessi più profondi della scienziata. “Passando in vicinanza   di ospedali militari della zona di guerra – racconta Porlezza – espresse il desiderio di prendere visione degli impianti a raggi X e delle installazioni da campo per l'impiego di essi. Ricordo che essa manifestò il proprio compiacimento per la nostra organizzazione, rammentando quanto lavoro essa aveva dovuto compiere in Francia per analoghe installazioni”. Madame Curie però aveva notato anche che nessuna struttura radiologica italiana aveva una sorgente radioattiva che derivasse dal radio, considerato come abbiamo visto un bene sanitario molto importante.

Dopo la sosta padovana, il viaggio proseguì verso Lurisia, frazione del comune di Mondovì in provincia di Cuneo, dove arrivò il 15 agosto. Da qui mossero poi a Savona e infine a San Remo dove il 18 agosto ebbe luogo  la riunione dei componenti dell’Ufficio invenzioni e ricerche che avevano promosso le indagini. Marie Curie in quell’occasione espresse le sue impressioni, in vista della relazione ufficiale che già aveva iniziato a stendere a Padova. Il giorno successivo fu accompagnata a Ventimiglia e, prima di ripartire, invitò gli scienziati italiani a visitare i suoi laboratori a Parigi. Poi salì in treno e tornò in Francia. Da sola come era arrivata. 

“La prima e più lunga visita di M.me Curie in Italia  fu, dal punto di vista delle finalità di chi gliela aveva proposta e organizzata e di lei stessa, un sostanziale insuccesso – Annibale Mottana nel suo saggio non ha mezzi termini –: non c’erano in Italia giacimenti o terme da cui ricavare né radio né émanation (emanazioni naturali) in quantità tali da poter competere con un’importazione dall’estero”. Nonostante ciò la missione scientifica non fu priva di ricadute positive. Influì innanzitutto in modo determinante sulla decisione di costituire una Commissione nazionale italiana per le sostanza radioattive e contribuì anche alla fondazione, qualche anno più tardi, di un Ufficio del radio, corrispettivo del parigino Institut du Radium (pur con le dovute proporzioni): sorto a Roma, sarà fondamentale per le ricerche scientifiche del gruppo di fisici universitari guidato da Enrico Fermi.

Negli anni successivi i rapporti di Marie Curie con l’Italia furono solo indiretti, e venivano riallacciati quando studenti o studiosi si recavano a Parigi per le loro ricerche e visitavano il suo laboratorio. Qualche fonte la vorrebbe a Napoli nel 1924, ma solo nell’ottobre del 1931 sappiamo con certezza che la scienziata tornò in Italia, questa volta in occasione del Convegno internazionale di fisica nucleare organizzato a Roma. A testimoniarlo una foto, che la ritrae accanto ai più importanti fisici dell’epoca, tra cui Guglielmo Marconi, Enrico Fermi, Enrico Persico e Orso Mario Corbino. 

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