SOCIETÀ

Verso la Draghinomics

Alla fine il Grande Piano si è materializzato. Dopo un’attesa di settimane è stato approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 24 aprile il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR): giusto in tempo per una rapida approvazione nelle due Camere del Parlamento e la trasmissione alle istituzioni europee entro la scadenza del 30 aprile. Passa così, senza troppe discussioni e in appena due giorni di lavori parlamentari, il documento che nei prossimi anni avrà un impatto formidabile sulle nostre vite.

Con il Piano il nostro Paese aderisce al programma Next Generation EU (NGEU), il pacchetto da 750 miliardi di euro predisposto dall’Unione Europea in risposta alla crisi pandemica. 191,5 miliardi di euro verranno proprio dal NGEU, mentre altri 30,6 sono stati accantonati in un fondo complementare finanziato attraverso lo scostamento pluriennale di bilancio approvato lo scorso 15 aprile, per un totale di 222,1 miliardi di euro di investimenti previsti.

Intervista di Daniele Mont D'Arpizio; montaggio di Elisa Speronello

Per il momento direi che il punto fondamentale è che si vogliono spendere più soldi – spiega a Il Bo Live Lorenzo Forni, docente di economia all'università di Padova con una lunga esperienza nell’ufficio studi della Banca d’Italia e al Fondo Monetario Internazionale –. Rispetto alla precedente versione del documento questo governo ha infatti indicato circa 60 miliardi in più di spesa aggiuntiva, sempre nell'arco di 5-6 anni”. Riguardo i capitoli di spesa, il 27% del Piano è dedicato alla digitalizzazione, il 40% agli investimenti per il contrasto al cambiamento climatico e oltre il 10% alla coesione sociale; per Forni però è ancora presto per parlare dei dettagli: “Ovviamente si fa riferimento alle guidelines dell'Unione Europea, in particolare su transizione green, improvement tecnologico, trasporti verdi, ricerca e formazione. A mio avviso è però ancora prematuro esprimere una valutazione complessiva: bisogna prima capire quali progetti verranno concretamente adottati, come verranno gestiti e da chi”.

L’attuazione del Pnrr sarà infatti il vero banco di prova per la macchina amministrativa italiana: “Pare di capire che al momento l'approccio del governo sia che il Ministero dell'Economia e delle Finanze (MEF) con il ministro Daniele Franco sarà incaricato di tenere i conti, mentre i progetti verranno allocati ai singoli ministeri e poi verranno implementati dalle varie amministrazioni locali come Regioni, Comuni ed enti pubblici. Un metodo certamente ragionevole ma che rischia di seguire tutte le lungaggini e le difficoltà burocratiche che tipicamente caratterizzano gli investimenti pubblici nel nostro Paese”.A livello internazionale la maggiore garanzia della riuscita del progetto è vista proprio nella figura di Mario Draghi, che nei giorni scorsi si è speso direttamente con Bruxelles per vincere dubbi e perplessità da parte di partner e istituzioni europee, soprattutto per la parte che riguarda le riforme che dovranno essere approvate. “Draghi ha la consapevolezza che questo è un momento speciale, in cui può fare tutta una serie di cose che in un'altra situazione non potrebbe fare – è la riflessione di Lorenzo Forni, che ha lavorato in Banca d’Italia proprio mentre questa era guidata dall’attuale premier –. Da una parte è appena stato nominato, quindi gode ancora di quell'aurea di infallibilità che si è giustamente guadagnato in questi anni; in secondo luogo in questo momento il contesto europeo glielo permette: le regole fiscali europee sono sospese, la Banca Centrale Europea sta facendo ancora una politica estremamente espansiva e il Next Generation EU è stato messo a disposizione soprattutto dell'Italia”.

Il suo ragionamento di Draghi è: meglio fare di più adesso che possiamo. Cercando anche di stupire i mercati

Una circostanza estremamente favorevole che ha spinto Mario Draghi ad alzare la posta, nel tentativo di evitare che le risorse si disperdano in mille rivoli e di dare invece l’impressione di mettere in cantiere un rinnovamento epocale del Paese. Per Lorenzo Forni “il suo ragionamento è: meglio fare di più adesso che possiamo. Anche con l'idea, su cui influisce la sua esperienza da economista e da banchiere centrale, che sorprendere rispetto a quelle che sono le aspettative è il modo in cui si cambiano i comportamenti”. Eppure, per quanto calcolato, si tratta pur sempre di un rischio, se pensiamo che il disavanzo previsto per quest'anno è all’11,8% del Pil, con 108 miliardi spesi nel 2020 dal governo italiano in misure straordinarie legate al Covid e almeno una novantina in programma per quest'anno, per un debito pubblico che ormai si avvicina alla soglia del 160% sul Pil.

Mario Draghi però, dall’ormai celebre ‘whatever it takes’, ha dimostrato di non aver paura dei rischi: “più lui mette la sua faccia, più le cose dipendono da lui, anche nel bene se ci fidiamo ovviamente di come opera Mario Draghi. Quale altro primo ministro italiano potrebbe gestire un disavanzo del 12% del Pil? Oppure di garantire alla Commissione Europea che verranno fatte le riforme strutturali?”. Proprio il Pnrr rappresenta quindi la migliore assicurazione sulla vita dell’esecutivo e soprattutto della permanenza dell’attuale premier al centro della vita pubblica. Comunque la si pensi, l’era Draghi sembra essere solo all’inizio.

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