La decisione di Donald Trump di sospendere i fondi all'Organizzazione mondiale della sanità può avere effetti catastrofici secondo Bernardino Fantini, professore emerito di storia della medicina all'università di Ginevra. L’organizzazione non dispone di strumenti operativi rapidi, perché tutte le sue decisioni devono essere condivise dagli Stati membri. Questo è un vizio che l’organo dell’Onu si trascina dietro sin dalla sua nascita. In passato l’Oms ha vissuto momenti più felici dell’attuale, quando ad esempio ha contribuito in modo decisivo a eradicare il vaiolo tra gli anni ‘60 e ‘70 o a contenere la Sars nel 2003. Gli errori e i ritardi nella gestione della pandemia da Sars-CoV-2 ci sono stati, ammette Bernardino Fantini in riferimento agli asintomatici, ma per lo più sono dovuti alla complessità della sua macchina politica che deve prendere decisioni e non sempre riesce a farlo in tempi e modi efficaci. Ciononostante le sfide con cui l’umanità si dovrà misurare in questo secolo hanno sempre più nitidamente una portata globale: il cambiamento climatico e ora la pandemia, su tutti. Secondo lo storico della medicina non esiste un’alternativa altrettanto valida: “occorre un governo mondiale per la sanità. È un po' lo stesso discorso che si sta facendo in Italia tra governo centrale e regioni. Se ognuna delle regioni è indipendente e non segue un coordinamento nazionale non si può far fronte a un’epidemia come questa. Credo che occorra rafforzare l’Oms, soprattutto dandogli più capacità di azione, liberandola dal vincolo diretto con i singoli governi”.
Guarda l'intervista completa a Bernardino Fantini, professore emerito di storia della medicina all'università di Ginevra. Montaggio di Elisa Speronello
Professor Fantini, martedì 14 aprile il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha deciso di sospendere i fondi all’Oms per un periodo che va dai 60 ai 90 giorni. Come impatta questa decisione sull’Oms e sul suo operato?
L’impatto può essere molto grande, persino catastrofico, per due ragioni: la prima di tipo economico, perché ovviamente gli Stati Uniti sono il Paese più ricco e più forte al mondo, è il maggiore contributore al bilancio dell’Oms, senza il contributo degli Stati Uniti l’Oms rischia di non avere fondi per la sua attività corrente. Poi c'è anche un rischio politico: il gesto di Trump marca ancora di più il fatto che i singoli Stati possono determinare le operazioni dell’Oms e quindi questo indebolisce ulteriormente il ruolo che l'Organizzazione mondiale della sanità può avere nel mondo nei confronti delle malattie e in particolare delle malattie emergenti.
In questi giorni sono state mosse diverse critiche all’Oms, non solo da parte del presidente Trump. Secondo lei l’Oms ha sbagliato qualcosa nella gestione di questa emergenza? E se sì dove ha sbagliato?
Dunque più che fare un elenco degli eventuali errori bisogna vedere qual è la situazione operativa dell’Oms. Sfortunatamente l'organizzazione non dispone di strumenti operativi rapidi, perché tutte le sue decisioni devono essere condivise dagli Stati membri, quindi il board dell’Oms si deve riunire. Contano molto le pressioni dei diversi Stati in una situazione diplomatica difficile da gestire in tempi brevi. Questo è un vizio che purtroppo l’Oms ha da sempre, ma non per colpa sua. In realtà all'inizio quando l’Oms è stata creata nel 1948 l'obiettivo era appunto quello di aver un’organizzazione mondiale. Nella fase costitutiva ci fu anche largamente discusso se il nuovo organismo sarebbe dovuto essere internazionale, e quindi una combinazione di diversi Stati, o mondiale, cioè un governo mondiale della sanità, perché già allora si era capito che un'epidemia non ha confini e solo un governo mondiale può far fronte a questa situazione. Purtroppo questo non si è realizzato. Paradossalmente l’Onu si è dotata dei caschi blu per intervenire rapidamente nelle situazioni di crisi militari e economiche, ma non ha mai creato dei caschi gialli, dove il giallo è il simbolo dell’epidemia, della quarantena. Se ci fosse stata una struttura rapida di intervento probabilmente anche gli Stati membri a cominciare dalla Cina avrebbero potuto meglio gestire la situazione. Quindi gli eventuali errori e ritardi dell’Oms sono dovuti alla complessità della macchina politica che deve decidere. Occorre un governo mondiale per la sanità. È un po' lo stesso discorso che si sta facendo in Italia tra governo centrale e le regioni. Se ognuna delle regioni è indipendente e non segue una coordinamento nazionale non si può far fronte a un’epidemia come questa.
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Le sfide con cui l’umanità ha a che fare sono sempre più globali, penso al cambiamento climatico e ora la pandemia, mentre le risposte che finora siamo riusciti a dare sono per lo più nazionali o locali. Secondo lei l’Oms può essere quello strumento che governa questa sfida globale della salute mondiale, con i limiti che ha in quanto organo dell'Onu? O sarebbe invece necessario un altro tipo di strumento governativo diverso dall’Oms?
Credo che il con lo sviluppo della globalizzazione, della facilità delle comunicazioni, che è una delle cause tra l'altro della diffusione così rapida della pandemia, diventi ancora più evidente la necessità che ci sia un organo di gestione di queste crisi internazionali a livello centrale. Personalmente credo che l’Oms soprattutto se si rispetta il suo mandato originale del 1948 e per com'era stato riconfermato nella conferenza di Alma Ata (la salute primaria e l'obiettivo che una collaborazione internazionale con una capacità di direzione centrale) l’Oms resta la sola struttura capace di far fronte a questo. Creare un’altra organizzazione a fianco dell’Oms moltiplicherebbe gli enti che devono decidere, diminuendo l'efficacia dell’intervento. Quindi credo che la cosa da fare sia rafforzare invece l’Oms, soprattutto dandogli più capacità di azione, in un certo senso liberandola dal vincolo diretto con i singoli governi. Se resta una struttura intergovernamentale la diplomazia resterà padrona e non ci sarà la capacità di intervento immediato. L’Oms dovrebbe essere una struttura tecnica, capace di rispondere con competenze alla politica sanitaria internazionale.
Questo processo di rafforzamento può essere messo in atto già nel corso di questa pandemia o dovremo aspettare la prossima?
Speriamo che che si possa reagire rapidamente sia a livello internazionale e mondiale sia a livello italiano, per evitare di fare gli errori che sono stati fatti del passato e dimenticare che i rischi che sono sempre presenti. Ricordiamo che è da decenni che gli scienziati segnalano la possibilità di un’epidemia di questo tipo. Il fatto che ci siamo trovati impreparati indica una miopia terribile. Tutti stanno riconoscendo che occorre cambiare non solo il modello sanitario che deve essere più dentro il territorio, più facilmente gestibile a livello locale, ma anche un modello economico sanitario basato esclusivamente sul profitto non è capace di far fronte a una situazione epidemica come quella attuale.
L’Oms può imparare da esperienze passate in cui è stata più forte di adesso?
Dovrebbe imparare. In effetti l’Oms ha avuto nella sua storia molti successi. In particolare occorre ricordare l'eradicazione del vaiolo che è stata possibile solo perché l'Organizzazione mondiale della sanità è stata capace di gestire un programma di vaccinazione veramente globale che ha toccato gli angoli più remoti del pianeta è che ha permesso per la prima volta di eradicare questa malattia che tra l'altro era mille volte più pericolosa del coronavirus. Allo stesso modo l’Oms sta contribuendo a eradicare la poliomelite. E si è eradicata la lebbra. Esperienza positive nel passato ci sono, ma in tutti questi successi quello che è stato importante è stato il coordinamento internazionale, l'esistenza di un piano di azione chiaro, l’esistenza di mezzi tecnologici per poter agire, ma anche la collaborazione di tutti gli Stati a questo progetto.
Dopo tutte le critiche sono state mosse all’Oms vogliamo ricordare anche cosa sta facendo di positivo oggi?
Uno degli aspetti della globalizzazione che sono positivi è che la scienza, che per definizione è uno strumento internazionale o mondiale che sta collaborando a tutti i livelli, ha potuto avere a disposizione dei mezzi di comunicazione per conoscere rapidamente il virus e studiarne l’epidemiologia. Questo è stato in gran parte possibile grazie alle reti che negli anni scorsi l’Oms ha creato: sono dei network specializzati, delle reti sentinella, come vengono chiamate, grazie a cui decine di laboratori in tutto il mondo hanno potuto mettersi in contatto rapidamente e scambiarsi le esperienze per far fronte a questa epidemia. C'è stato un caso di cui pochi parlano se non negativamente, ma che è stato un grande successo dell’Oms, e che è il contenimento nel 2003 dell'epidemia della Sars, un altro coronavirus, forse anche più pericoloso del presente. È stato combattuto facendo ricorso a due strategie fondamentalmente: una antica, che è l'isolamento, le quarantenne, i cordoni sanitari; e l'altra invece modernissima, cioè l'utilizzo di internet per scambiare i dati e la creazione di un network di ricercatori che in pochissimo tempo hanno individuato il virus e hanno potuto indicare quali erano le persone da sorvegliare e da mettere in quarantena. Nel giro di 4 mesi questo ha permesso la fine dell'epidemia. Purtroppo attualmente la situazione non è così semplice, in primo luogo perché il virus anche se meno virulento e meno mortale della Sars si diffonde con più facilità e soprattutto si diffonde anche tra i pazienti asintomatici. Il secondo aspetto è che c'è una globalizzazione ancora più grande per cui i movimenti delle persone sono diventati praticamente incontrollabili e questo crea una tensione politica sociale che è difficile da gestire.
Visto che ha menzionato i pazienti asintomatici secondo lei all'inizio dell' emergenza l’Oms, che ha scritto le sue linee guida basandosi sul modello cinese, ha sottovalutato l'importanza degli asintomatici?
Penso di sì, ma questo non è colpa dell’Oms. Tutti hanno sottovalutato l'importanza di queste di questi aspetti, perché è nuovo, nessuno lo conosce, nessuno sa quali sono le sue modalità di trasmissione con precisione. Adesso ne sappiamo un po' di più, ma all'inizio non si sapeva assolutamente nulla, e in particolare si pensava che fosse come la Sars, cioè che solo i pazienti sintomatici fossero portatori dei germi. Non si è rivelato così ma nessuno lo poteva sapere all’inizio. C’è stata una sottovalutazione generale a cui però fortunatamente si è rimediato abbastanza in fretta.