SOCIETÀ

Bilancio delle minacce olimpiche: non abbassiamo l’attenzione

Le Olimpiadi sono terminate da qualche giorno, ancora viva le Olimpiadi! Le Olimpiadi stanno per ricominciare, viva la XVI° edizione dei Giochi paralimpici estivi dal prossimo 24 agosto al 5 settembre! La competizione sportiva è sana e salutare, come noto, per il corpo e per la mente. Rispetto alla forma fisica fate voi. Rispetto alla salute mentale ci farebbe proprio bene (ed è connaturato a ogni disciplina praticata) imparare a imporsi senza arroganza e con stile da una parte, a soccombere senza arrendevolezza e con dignità dall’altra. Il fatto è che bilanci e comparazioni si fanno lungo tutta una carriera e rispetto al proprio specifico contesto, non solo dal 24 luglio al 5 settembre 2021 (o, prossimamente, nelle rispettive settimane a Parigi tra tre anni). Ogni atleta è arrivato alla gara attraverso le peripezie del proprio contesto individuale e nazionale, tutti attraverso la drammatica globale pandemia che in vario modo ha diacronicamente segnato ogni esistenza umana da diciotto mesi. Molte diseguaglianze e disparità dei risultati sono spiegabili, alcune altre tuttavia dipendono dalla geopolitica e più facilmente vengono dimenticate, per opportunismo o impotenza.

Anche a Tokyo alcuni atleti hanno subito minacce provenienti dallo stesso paese di cui sono cittadini, sia legate al proprio comportamento sportivo (una pressione esercitata non sempre a fin di bene), sia legate alla propria identità sociale, religiosa razziale politica sessuale (e non è mai a fin di bene). Drammatica è stata la vicenda della 24enne velocista bielorussa Kryscina Sjarhiejeŭna Cimanoŭskaja (Kristina Timanovskaja, Klimavičy, 19 novembre 1996). Timanovskaja è una velocista, una centometrista di preferenza. Campionessa nazionale nel 2016, dopo aver gareggiato agli Europei 2018 e ai Mondiali 2019, era arrivata alla sua prima Olimpiade, dove avrebbe dovuto gareggiare nei 200 metri. Tuttavia, a Tokyo i funzionari del Comitato olimpico bielorusso, senza coinvolgerla, improvvisamente la iscrivono alla staffetta 4x400, dopo che alcune sue connazionali erano risultate non idonee a competere. due atlete in particolare non avevano completato un numero sufficiente di test antidoping. L’atleta mostra allora disappunto per una scelta non concordata che rischia di impedirle di fare al meglio proprio la gara per la quale si era allenata meticolosamente. Quegli stessi funzionari connazionali a quel punto la ritirano dalle gare e il primo agosto la scortano in aeroporto per imbarcarla su un volo diretto a Minsk via Istanbul. Timanovskaja è sconvolta, cerca aiuto e, dopo una concitata vicenda, trova rifugio all'ambasciata polacca a Tokyo, da dove mercoledì 4 agosto vola a Vienna e poi a Varsavia. Secondo il regime di Lukashenko, la velocista soffre di "disturbi mentali". Adesso, insieme al marito Arsenyi Zdanevich, scappato a Kiev dopo essersi reso conto di quanto accadeva alla moglie distante, sono sotto la protezione di un visto umanitario in Polonia, confine già chiuso da Lukashenko.

Contestualizziamo sul piano geopolitico

La Bielorussa da 27 anni ha lo stesso Presidente. Un anno fa, il 9 agosto 2020 la Bielorussia si era recata alle urne e, per la prima volta dopo molto tempo, nonostante le violente repressioni, sembrava esserci un’opposizione (caratterizzata dall’attivismo di tante donne) in grado di mettere in difficoltà il dittatore Alexander Lukashenko (1954), al potere dal 1994, con un paese disilluso raccoltosi dietro la figura di Svetlana Tikhanovskaya (che probabilmente ottenne più voti). Le manifestazioni contro frodi e brogli elettorali ebbero grande successo e fecero il giro del mondo. Furono represse con migliaia di arresti e incarcerazioni. Lukashenko è rimasto al suo posto, gli oppositori politici sono in prigione o in esilio all’estero (come la stessa Tikhanovskaya). Per mesi l’attenzione internazionale è stata alta, grazie alle frequenti mobilitazioni di massa per le strade di Minsk, poi gradualmente i riflettori si sono spostati altrove. Un certo clamore suscitò solo l’incredibile illegale ordine di dirottare (e far atterrare a Minsk scortato da un caccia MiG-29) il 23 maggio 2021 l’aereo Raynair Atene-Vilnius che aveva a bordo il blogger e attivista dell'opposizione Roman Protasevich. La pandemia è stata gestita particolarmente male, la crisi economica si è accentuata, Lukašėnko ha accentuato comportamenti maschilisti e antisemiti, la repressione è continuata.

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Contestualizziamo sul piano geosportivo

Nell’anno di preparazione delle Olimpiadi Lukašėnko ha impedito a oltre cento atleti di allenarsi e di gareggiare per aver firmato una lettera aperta contro la violenta repressione nei confronti dei movimenti di protesta giovanili da parte della polizia. Per questa ragione il Cio ha sospeso il Comitato olimpico bielorusso, che comunque qualche mese fa ha rinnovato la propria presidenza, presidente uscente Alexander Lukashenko, alla guida del Comitato olimpico bielorusso già da 24 anni. A febbraio 2021 si presentarono due candidati: lo stesso Alexander Lukashėnko e il figlio Viktor Lukashėnko, capo della sua sicurezza personale e di quella nazionale Al termine della riunione, Lukashėnko padre ha chiesto ai delegati di eleggere per acclamazione Lukashėnko figlio. E, all’assemblea che “voleva” offrire al dittatore la presidenza onoraria, lo stesso dittatore ha domandato tempo per decidere se accettarla o meno. 

Il caso recente di Kristina Timanovskaja è, dunque, solo la conferma che fare sport non è giuridicamente eguale in ogni Stato del pianeta. Timanovskaja si era allenata, non aveva protestato contro il regime, non aveva subito intimidazioni, ha continuato a prepararsi come in una bolla di sapone, come tanti colleghi di ogni disciplina ovunque, non solo per la pandemia. Questo le ha fatto rabbia, si è sentita defraudata di un’occasione sportiva: sforzo quotidiano, dedizione e risposta a mille altre difficoltà, come infortuni, malattie, relazioni con allenatore e famiglia. Voleva solo correre i 200 metri meglio che poteva. Il fatto è che non poteva stare a Tokyo a dispetto della volontà dell’autoritario capo del proprio paese, come le ha rimproverato lo stesso allenatore. La Bielorussia a Tokyo ha conquistato 7 medaglie, un oro, tre argenti e tre bronzi. Nonostante o grazie al regime? Sono domande complesse sul piano sportivo. Sul piano istituzionale resta la necessità di solidarizzare con il popolo bielorusso e di boicottare il suo Presidente dittatore.

L’etica sportiva è un fatto politico, una scelta individuale e un dovere istituzionale

La storia delle Olimpiadi è continuamente intrecciata con questioni connesse al rispetto dei diritti umani e all’etica sportiva. I conflitti internazionali e le repressioni interne influiscono su atleti e pratiche, tanto quanto la cura e l’educazione per una cultura sportiva di massa da una parte e la globalizzazione dei connessi interessi economici. Innumerevoli sarebbero gli esempi, non solo ai tempi delle guerre mondiali e anche prima dei boicottaggi reciproci del 1980 (a Mosca senza gli Usa) e del 1984 (a Los Angeles senza l’Urss). Alle Olimpiadi del 1956 arrivarono a Melbourne 83 atleti ungheresi, solamente 38 tornarono a casa. Pochi giorni prima dell’apertura dei Giochi, i carri armati dell’Unione Sovietica erano entrati a Budapest per porre fine alla Rivoluzione ungherese. La maggior parte degli atleti e degli allenatori scelse gli Stati Uniti, qualcuno l’Australia, dove già si trovavano. In mezzo, una partita di pallanuoto tra ungheresi e sovietici virata presto in pugilato e rimasta storica, con la piscina che si colorava di rosso per via del sangue.

L’etica sportiva è un fatto politico, una scelta individuale e un dovere istituzionale, fuori da ogni tifo nazionale e ideologia morale. Se c’è una Convenzione ufficiale in vigore che legittima il diritto d’asilo per chi viene perseguitato in patria, le Olimpiadi sono una opportuna cassa di risonanza, un ottimo momento per parlare dell’insieme della propria identità. È accaduto anche a Tokyo, pensiamo ai diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Vi hanno partecipato almeno 200 dichiaratamente appartenenti alla comunità Lgbt, il triplo rispetto a Rio 2016, diverse atlete e atleti hanno colto l’occasione per ringraziare le proprie fidanzate o fidanzati, fortunatamente non è più una notizia (nemmeno per le tante italiane e italiani coinvolti) e nulla c’entra con lo svolgimento delle competizioni. Il Cio non ha potuto che autorizzare la capitana della nazionale tedesca di hockey Nike Lorenz a indossare alle Olimpiadi la fascia arcobaleno simbolo del movimento Lgbt, così come aveva fatto il capitano della nazionale tedesca Manuel Neuer ai recenti Europei di calcio o il pilota Vettel (sul casco) nel Gran Premio d’Ungheria proprio di domenica primo agosto.

Lo stesso fatto che ci sia voluto (fra Varsavia e Tokyo) un intero giorno di pressioni da parte dei media polacchi e da parte dell’opposizione perché il presidente Duda si congratulasse con le atlete vincitrici dell’argento nel canottaggio, l’equipaggio del 4 di coppia femminile, tra le quali c’era la 26enne Katarzyna Zillmann (che aveva subito ringraziato l’attuale fidanzata) è un segnale positivo: se ci si confronta in un ampio contesto internazionale alla fine ci si piega ai valori universali. Ciò non toglie (anzi conferma) che faccia bene l’Unione Europea a contestare misure e posizioni del governo polacco contro la comunità Lgbt e a proseguire l’avviata procedura di infrazione sulla natura e sull’impatto delle cosiddette “zone libere dall’ideologia Lgbt” istituite da diverse regioni e comuni polacchi. Potremmo dire che in questo caso le Olimpiadi fanno scuola.

Un atteggiamento simile risulta fertile per ogni questione attinente a discriminazioni politiche, non a caso a Tokyo c’era il Refugee Olympic Team, 29 atleti olimpici “rifugiati”, in rappresentanza dei circa trenta milioni di cittadini sapiens oggi in fuga internazionale. Lo sanno gli atleti (l’ultimo anno è sanamente cresciuto l’inginocchiarsi del BlackLiveMatter e a Tokyo ha colpito l’abbraccio fra le atlete israeliana e saudita nel judo), lo dovrebbero sapere i tifosi (quando vince o perde una squadra nazionale con l’incarnato dei componenti di vario colore, merito o colpa non dipendono dai colori). Del resto, c’è un mercato degli atleti fra le varie nazioni, per “nazionalizzare” quelli promettenti (anche nati altrove) o per ricollocare quelli non primatisti (se gestiscono più passaporti). Tutto ciò nasconde anche brutte storie e scandali, tuttavia è così diffuso e globale che è inutile avversarlo in toto o prescinderne nei fatti. Serva piuttosto ad apprezzare le qualità che ne emergono, a relativizzare il tifo, a capire una volta per tutte che siamo tutti meticci, atleti e tifosi, ovunque e comunque, da migliaia di anni. Poi, visto che il pianeta è organizzato per Stati (oltre che per gerarchie sociali), vediamo come tradurre in norme l’apertura, la mescolanza e lo scambio, la competizione nel rispetto dell’etica sportiva. E ogni “medagliere” abbisogna di molte comparazioni.

Alle Olimpiadi di Rio nel 2016 erano stati 19 gli atleti che hanno gareggiato per la bandiera italiana pur essendo nati entro altri confini, non pochi poi medagliati, le loro famiglie costrette anni prima a scappare dalla miseria o da dittature, oppure alla ricerca di lavoro, o altri ancora figli d'arte attirati dalle strutture e dalla programmazione garantite dal CONI. A Tokio il numero record è divenuto di ben 55 atleti nati all’estero sul totale di 384 della spedizione iscritta a gare olimpiche, da 19 a 55, nel 2021 oltre il 21 per cento. Uno “ius soli sportivo” esiste già, di fatto e di diritto, poi nulla di male se il Presidente del Coni chiede che per gli atleti promettenti si comincino le procedure prima possibile. quando compiono 16 anni. in modo che a 18 anni e un giorno già possano gareggiare per l’Italia (come non era accaduto a qualcuno dei medagliati di Tokyo), nel rispetto di una legge vecchia e superata. Forse il Presidente di Confindustria e di Confagricoltura dovrebbero chiedere uno “ius soli occupazionale”, il Presidente della Conferenza dei Rettori uno “ius soli universitario”, i Presidenti di Regioni uno “ius soli sanitario”, e via dicendo. La lezione olimpica è che vanno riattivati canali di accesso regolare alla convivenza civile nel nostro paese, al cui interno troveremo più atleti capaci, più lavoratori capaci, più competenze capaci, più italiani e più futuri nati in Italia.

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