CULTURA

Io nel pensier mi fingo

Leopardi non finisce mai di stupirci ed emozionarci. L’Infinito è un’immensa breve narrazione poetica e musicale di 200 anni fa, quest’anno la si celebra ovunque in vario modo. E il natio borgo recanatese si dota di nuovi beni culturali leopardiani. Nei giorni scorsi ha aperto il permanente Museo Leopardi (nel seminterrato dell’ex-frantoio, fra le cantine e l’ingresso del palazzo nobiliare); il 15 aprile aprirà al pubblico la sala multimediale (dall’8 marzo già visitabile per giornalisti, studiosi, addetti). Se una passeggiata fra le stanze della Biblioteca è esperienza vitale obbligatoria, milioni di persone lo hanno fatto almeno una volta e molte di loro la ripetono poi periodicamente, oggi il turismo culturale a Recanati si arricchisce di nuovi interessanti spazi. La cittadina è stata un set a cielo aperto per il film di Martone, e lo resta.

Il percorso espositivo del Museo Leopardi si articola in dieci sezioni storico-tematiche che consentono di passeggiare insieme a Giacomo nel suo contesto, con la storia della famiglia e le cose più o meno vitali che gli erano intorno dalla nascita alla morte (Recanati, 1798 – Napoli, 1837). Accompagnati da brevi sintetici commenti, vediamo un corposo patrimonio di oggetti documenti scritti cimeli: la culla e l’abito di battesimo di Giacomo, soldatini e tombole per i giochi, le capriole e gli studi dell’infanzia, gli autografi puerili, l’abito da cerimonia del padre Monaldo gonfaloniere, il preziosissimo orologino da cintura con châtelaine della madre Adelaide Antici, il calamaio in ceramica col quale fu scritto proprio L’infinito. Vengono per la prima volta esposti frammenti dell’abito e del legno della cassa recuperati dalla tomba nella chiesa di San Vitale in Fuorigrotta a Napoli. L’itinerario s’avvale di supporti tecnologici appositamente progettati per facilitare l’esperienza del pubblico e renderlo partecipe. 

Attraverso il pregresso familiare del Conte Monaldo e della Marchesa Adelaide; esplorando l’intrico di affetti e interessi infantili, gli spettatori potranno immergersi nel mondo di svaghi e fantasie del bambino. Una cavalcata poetico letteraria compone il mosaico di letture, studi ed erudizione che furono alla base della sua personalità letteraria. Dalla prima giocosa creatività al desiderio di gloria, dalle trattazioni erudite alla stampa delle prime canzoni, passando per l’amicizia e la stima di alcune fra le più eminenti personalità letterarie dell’Ottocento, il nuovo museo permanente racconta anche la temperie di sentimenti ed emozioni: il primo innamoramento e il tentativo di fuga, la composizione de L’infinito e i viaggi verso Roma, Bologna, Milano, Firenze, Pisa. Il percorso delle varie scritture viene contestualizzato nelle tappe fondamentali dei Canti, la raccolta di liriche che rinnova la poesia italiana, delle Operette Morali, l’opera satirica e amorale che trasforma la prosa nazionale, fino allo Zibaldone che evidenzia, attraverso un modernissimo sistema di indicizzazione, l’evolvere del pensiero leopardiano. Il nuovo allestimento comprende anche un’indagine sui più importanti temi affrontati dal fuggente filosofo Leopardi: l’amore; l’amicizia; il conflitto fra la ragione e la natura; la felicità e l’infelicità.

La maggiore innovazione è senz’altro l’installazione multimediale, ottimamente voluta e realizzata dall’appassionata famiglia (soprattutto il conte Vanni e la figlia Olimpia), su idea e progetto dello spinoff dell’ateneo maceratese Play Marche. Il contenuto presentato ha richiesto due anni di intensi meticolosi agitati lavori: la materia va maneggiata con cura, su Leopardi ogni singolo sostantivo e aggettivo ha una bibliografia internazionale sterminata alle spalle, il lavoro filologico è complesso e multidisciplinare, alcune immagini (come la Luna) hanno avuto bisogno di un lungo vaglio storico e tecnico. La narrazione scenografica e testuale si è avvalsa della direzione scientifica di due note riconosciute autorità: Giancarlo Muselli e Fabiana Cacciapuoti. L’architetto Muselli ha collaborato con vari registi e nel 2013 ha vinto il David di Donatello proprio per “Il giovane favoloso”. La docente Cacciapuoti è conservatrice alla Biblioteca nazionale di Napoli e ha curato le più recenti edizioni dello “Zibaldone”.

Siamo nello stesso edificio dei servizi per la biglietteria e delle stanze della famiglia di Teresa-Silvia, l’immobile di servizio fatto costruire da Monaldo nel 1797 (anno del settembrino matrimonio con Adelaide, più o meno quando fu concepito Giacomo) con le stalle sotto il granaio e spazi per maniscalchi, vetturini e tuttofare a servizio. Entriamo. Bisogna scostare una grande tenda nera, eccoci subito in un locale ampio di circa ottanta metri quadrati, oscurato e isolato acusticamente. Vi sono una ventina di puff per sedersi e si può restare in piedi (forse è anche meglio) per immergersi nelle suggestioni leopardiane. Davanti e sui due lati, una quinta teatrale di tre pareti piene, cominciano a scorrere immagini coordinate. Ci troviamo nelle camere da letto e nelle stanze arredate del palazzo (anche in alcune di quelle non visitabili) e dalle finestre usciamo in giardino, nella piazzetta, verso i tetti, verso il cielo di luna e stelle, verso i rintocchi della Torre. Una voce narrante ci accompagna nei primi 24 anni recanatesi del poeta, l’arrivo dei francesi nelle Marche, la culla del primogenito e presto i libri, il tavolino accanto ai più piccoli fratello Carlo e sorella Paolina con il padre docente, i libri della meravigliosa biblioteca per lo studio matto e disperato e l’insaziabile curiosità, la fattiva colta passione per l’astronomia, immagini e pensieri dei primi innamoramenti e delle prime illusioni a cadere, qualche aggancio col cruciale biennio recanatese 1828-29, i suoni del contesto naturale e manifatturiero, della scrittura e dei lavori.

Un flusso animato di quattro coppie di blocchi tematici con lo sguardo inquieto di Giacomo, interiore ed esteriore, concepiti unitariamente senza alcuna forma di intervallo o separazione, un loop, un continuum di emozioni visive con leggero garbato intermittente sottofondo musicale, nel quale ci si può inserire in qualsiasi momento: il pubblico entrerà non solo nelle mezze ore, senza orari vincolanti per singoli spettacoli dall’inizio alla fine, con un massimo di circa trenta compresenze nella sala. Le frasi pronunciate appartengono tutte a testi scritti dal poeta e dai vari personaggi che entrano in gioco. Le voci dei giovani fratelli appartengono agli attuali discendenti. Risalta comunque il crescendo legato alla liricità dell’idillio L’infinito (il capitolo che sarebbe “finale” dei ventidue minuti): il foglio originale che via via si riempie della minuta grafia del poeta, qualche dubbio su sostantivi e aggettivi con cancellazioni e aggiunte; mentre ascoltiamo, nel bicentenario della composizione, la recita dei versi, non più solo della voce narrante ma anche di alcuni dei grandi interpreti, da Gassman a Germano: emozionante!

I quindici brevi endecasillabi sciolti de L’infinito costituiscono una pietra miliare della letteratura terrestre, una delle poesie forse più declamate in Italia e in molti altri luoghi, nelle situazioni relazionali più diverse, sempre a proposito, fra innamorati matematici letterati docenti studenti scienziati storici geografi, più o meno superficiali o presuntuosi. L’immersione multimediale aiuta a comprendere che c’è un prima e un dopo, un’intensa biografia del fisico gracile che li pensò e scrisse, una precisa collocazione nello spazio e nel tempo, uno storicamente determinato rapporto tra realtà e finzione. Eppure, proprio quelle parole toccano corde profonde in quasi ogni essere umano, non cessiamo di domandarci perché. Trasmettono proprio quella strutturale imperfetta doppiezza del linguaggio articolato simbolico della specie umana da qualche decina di migliaia di anni a questa parte: assegniamo sempre un nome alle cose ma abbiamo pure sempre bisogno di immaginare altre cose e di assegnare altri significati alle stesse cose. Beati illusi, per quanti studi abbiamo fatto, per quanto crediamo di sapere, noi nel pensier ci fingiamo: grazie per non farcelo scordare mai! Il nome alle cose è un tratto identitario di ciascuno che identifica ognuno solo in quanto altri sono accanto a noi, diversi; solo in quanto facciamo gruppo culturale con le stesse forme di parole, per quanto analfabeti siamo e ci siano. L’alfabeto culturale riguarda la nostra specie meticcia: naufraghiamo tutti in questo mare, meno o più silenziosi.

L’installazione ha vari pregi e qualche difetto (forse). Certo il viaggio virtuale è fruibile da un pubblico molto vasto senza rinunciare alla profondità e verità storica dei puri dati esistenziali. Suggerisce di godere e approfondire lasciando a casa gli stereotipi. Si rispetta pienamente la classicità nell’approccio a uno dei più grandi universali poeti dell’era contemporanea. Si incontra la sostanza del mondo leopardiano volutamente senza pretese di esaustività (impossibile, anche solo biograficamente), concentrandosi sulla residenza e sull’ecosistema recanatesi. Si impara qualcosa (sempre nuovo e moderno Leopardi) senza verbosità e accademia, con un linguaggio chiaro ed efficace, talora ben metaforico. L’incantevole multimediale immersione nei versi de L’infinito indica che un qualche maggior coraggio nell’uso delle nuove tecnologie e delle modernissime tecniche di video mapping avrebbe probabilmente eccitato ancor di più e lasciato maggiori tracce emotive di lungo periodo nello spettatore, sia quello esperto che quello digiuno di poesia semplicemente scritta e letta. Così come è auspicabile una sinergia maggiore fra le città, le case e le cose di Leopardi, fra gli strumenti e gli strumentisti della sua fruizione. Un tempo fu proposto un parco culturale che superasse rigidità da centro studi e coinvolgesse l’insieme delle istituzioni pubbliche, resistenze e gelosie lo hanno bloccato.

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