C’è una battuta che gira tra Tel Aviv e Gerusalemme, e che riassume tutte le incertezze a poco meno di un mese (9 aprile) dalle elezioni israeliane: “To Bibi or not to Bibi”? Riuscirà Benjamin Netanyahu, capo del Likud, primo ministro uscente, a farsi riconfermare per la quinta volta (la quarta consecutiva), lui che è il secondo premier più longevo dopo il fondatore di Israele, David Ben Gurion? Il panorama politico è complesso, ma mai come questa volta la vittoria, per Bibi, è tutt’altro che scontata. Lui che è stato costretto a indire elezioni anticipate, seppur di pochi mesi, per le dimissioni sdegnate di Avigdor Lieberman, ex ministro della Difesa, leader del partito di destra Israel Beitenu, all’indomani della tregua raggiunta tra Israele e Hamas nel novembre scorso. Con Liebermann, che pretendeva una linea dura e senza compromessi, se ne sono andati altri 5 deputati, lasciando al governo una maggioranza di 61 seggi sui 120 del Knesset, il parlamento monocamerale israeliano.
Corruzione e frode: tre inchieste per Netanyahu
Ma i problemi per Netanyahu non finiscono qui. Il più ingombrante arriva da tre inchieste giudiziarie aperte nei suoi confronti con l’accusa di frode e corruzione. La più recente (ribattezzata “caso 4.000”) accusa il premier di aver fatto deliberatamente favori a Shaul Elovitch, magnate delle telecomunicazioni e proprietario di un sito d’informazione (Walla) per ottenere in cambio una copertura giornalistica “favorevole” alla sua azione di governo. Nel “caso 2.000” Netanyahu avrebbe invece utilizzato il proprio potere per danneggiare il quotidiano free press Israel Hayom, favorendo al tempo stesso il giornale moderato Yediot Ahronot. Identico l’obiettivo: ottenere una buona immagine giornalistica. La terza inchiesta (“caso 1.000”) imputa al premier e alla sua famiglia di aver ricevuto regali di lusso da parte di imprenditori e uomini d’affari in cambio di favori politici. Si parla di casse di champagne e sigari per un valore di 230mila euro. Ce ne sarebbe anche una quarta d’inchiesta, la più rilevante. Il “caso 3000”: la vendita di sottomarini tedeschi Dolphins a Israele. Ci sarebbero tangenti, un gran flusso di denaro che la polizia, tra mille difficoltà, sta cercando di tracciare. Le indagini vanno avanti, si vedrà. Ma per le prime tre inchieste la polizia ha chiesto formalmente, lo scorso dicembre, l’incriminazione di Netanyahu. Incriminazione confermata, in attesa di udienza, lo scorso 28 febbraio. «Siccome io so la verità - ha detto il premier intervenendo in tv – vi dico che tutto si concluderà con un nulla di fatto. Non è la polizia che decide, ma la magistratura». Anticipare ad aprile la data delle elezioni, che naturalmente si sarebbero dovute svolgere a novembre 2019, eviterà comunque a Netanyahu d’incassare a urne aperte il giudizio del procuratore generale Avichai Mandelblit.
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Sondaggi: Blu-Bianco sorpassa il Likud
E i sondaggi, che sono materia fluida, oggi dicono che Bibi Netanyahu è costretto a rincorrere. Davanti a lui c’è il partito centrista Blu-Bianco di Benny Gantz, ex capo di Stato Maggiore, uomo schivo e di poche parole, e di Yair Lapid, giornalista e scrittore, leader del partito centrista Yesh Atid (C’è un futuro). Gantz e Lapid si sarebbero accordati per una sorta di staffetta alla guida d’Israele in caso di vittoria alle elezioni: per i primi due anni e mezzo il premier sarà Gantz, mentre a Lapid spetterebbe la seconda parte dell’incarico. Un’alternanza che però non ha alcun fondamento giuridico e che dovrebbe comunque passare attraverso uno scioglimento del Parlamento e un successivo incarico a Lapid da Reuven Rivlin, presidente di Israele. Discorsi prematuri: ma il ticket Gantz-Lapid sembra piacere agli israeliani. Secondo una delle ultime rilevazioni, Blu-Bianco otterrebbe 37 dei 120 seggi al Knesset, mentre il Likud calerebbe a 25. Un altro sondaggio pubblicato dal quotidiano Israel ha-Yom il partito di Gantz è stimato a 38 seggi, mentre il Likud si fermerebbe a 29. Il terzo partito in ordine di grandezza risulta essere l’Unione dei partiti di destra, un blocco elettorale che include anche Potere Ebraico: una formazione xenofoba alla quale Netanyahu sta strizzando l’occhio, promettendo future alleanze e perfino 2 seggi al Knesset (mai è accaduto). L’Unione dei partiti di destra, secondo i sondaggi, otterrebbe 9-10 seggi, seguita da La Nuova Destra (8 seggi). Addirittura quinto il partito Laburista di Avi Gabbai, accreditato di appena 7 seggi (attualmente ne ha 19).
L’accordo di Bibi con i suprematisti
Si delinea dunque una partita a due (Gantz-Netanyahu) con un inevitabile gioco d’alleanze con partiti medio-piccoli. Ma è una partita che si gioca comunque a destra, soltanto a destra. Il conflitto con la Palestina è il solito, irrisolto macigno che condiziona la vita, non soltanto politica, di Israele. Pochi dubbi sul programma di Gantz, che ha diffuso un breve video per lanciare la sua campagna elettorale: "Per me Israele viene prima di tutto. Unisciti a me e insieme percorreremo nuove strade. Abbiamo bisogno di qualcosa di diverso e insieme faremo qualcosa di differente". Per poi ricordare, numeri alla mano, attentati e terroristi uccisi in Palestina nei raid israeliani. Insomma, sarà linea dura, di poche parole e molte azioni: separazione fra israeliani e palestinesi, sì a negoziati con Abu Mazen. Ma nessuna indicazione sulla creazione di uno Stato palestinese indipendente. Come dire: cambiamo gli attori (o meglio, cambiamo il premier), ma non la strategia politica.
Dal canto suo Netanyahu sta cercando ancor più a destra una sponda per superare con successo l’ultima tornata elettorale. Prima l’accordo con L’Unione dei partiti di destra e soprattutto con i suprematisti di Potere Ebraico, che ha scatenato polemiche feroci in patria. Benny Lau, uno dei più influenti rabbini ortodossi, ha equiparato il voto a Potere Ebraico come «voto al nazismo». Il New York Times l’ha definito «Il patto con il Diavolo», mentre quotidiani conservatori la definiscono «l'ultima spiaggia per Netanyahu», alla ricerca disperata di una maggioranza. Poi è arrivata la dichiarazione, postata sui social, nei quali il leader del Likud tenta di blandire gli israeliani, e sono molti, che diffidano dei cittadini arabi: "Israele non è uno Stato di tutti i suoi cittadini" - ha scritto il premier uscente. "In base alla legge sullo Stato-Nazione che abbiamo approvato, Israele è lo Stato-Nazione del popolo ebraico, e di nessun altro". Frasi che hanno scatenato ulteriori reazioni e polemiche, non ultima quelle con l’attrice Gal Gadot (ha recitato in Fast and Furious e in Wonder Woman) e la modella Rotem Sela. Il quotidiano Haaretz, in un editoriale, ha così commentato: "Netanyahu ha ora ammesso che la legge dello Stato-nazione sancisce la supremazia ebraica e dichiara che lo Stato appartiene più a un ebreo americano o belga rispetto a un cittadino arabo nato in questo paese". Una polemica talmente aspra da costringere perfino il capo dello Stato: "Non esistono cittadini di serie A e di serie B", ha dichiarato Rivlin.
Insomma, per la prima volta dopo molti anni Netanyahu non ha la vittoria in tasca. Dovrà sudarsela. E anche nel gioco delle alleanze, che saranno determinanti nella formazione del futuro governo (il presidente Rivlin attribuirà l’incarico considerando non soltanto quale partito avrà ricevuto il maggior numero di voti, ma anche quale coalizione avrà maggiori possibilità di arrivare alla maggioranza dei seggi in Parlamento), più di qualcuno ha già dichiarato di volersi sottrarre all’abbraccio di Bibi. Come Moshe Yaalon, ex ministro della Difesa e oggi esponente di spicco di Blu-Bianco: "Se dovessimo vincere le elezioni – ha dichiarato – cercheremo di formare una coalizione con il Likud, ma senza Netanyahu. Altrimenti ci rivolgeremo ai laburisti".