Un’affermata bravissima scrittrice di gialli pubblica un ottimo documentato saggio sui cambiamenti climatici antropici e sugli inquinamenti diffusi. Speriamo altri seguano la sua scia, editoriale o comportamentale che sia. La francese Fred Vargas è molto nota ai lettori italiani per romanzi colti e ironici, policier o polar o noir che dir si voglia (o mystery o kriminal o gialli). Hanno avuto forte meritato successo fin dal primo che fu tradotto esattamente venti anni fa (2000, l’originale del 1997). A dir la verità, l’edizione francese che inaugurò la serie del mitico silvestre Jean-Baptiste Adamsberg risale a prima, quasi a trenta anni fa: L'Homme aux cercles bleus uscì nel 1991, saggiamente recuperato in Italia da Einaudi nel 2007 (traduzione di Yasmina Melaouah), dopo che appunto avevano suscitato interesse e un certo entusiasmo altri romanzi dell’autrice, tre (successivi in Francia) della stessa serie e due della trilogia degli Evangelisti (risalenti agli anni novanta). Ormai, grazie alla casa editrice torinese, Vargas è praticamente tutta godibile anche in italiano, ogni romanzo subito tradotto e presto in classifica. L’ultimo, nono della serie Adamsberg (ma ci sono anche tre bei racconti lunghi), è del 2018 (Quand sort la recluse, orig. 2018). Il nuovo testo della scrittrice è totalmente diverso, importante e bello, vale la pena discuterne ma è utile ripercorrere inizialmente parte della sua bibliografia.
Appuntiamo nei romanzi di fiction la prima descrizione del principale protagonista, che aveva allora 45 anni ed era stato appena nominato commissario a Parigi, nel V° arrondissement, provenendo dalla montagna pietrosa dei Bassi Pirenei (madre affettuosa e padre calzolaio del Béarn, un fratello e quattro sorelle), portandosi dietro la fama di pessimo studente a scuola, di tiratore scelto e di risolvere tutti i casi professionali: Adamsberg è piccolo (72 chili), scuro (pelle olivastra) e spettinato (occhi e capelli bruni), ha una faccia eteroclita con due profili diversi (sinistro duro, destro dolce), bocca e sorriso storti, grosso naso aquilino, zigomi prominenti, mento debole, sguardo evanescente, voce morbida e incantatrice, mente destrutturata; non porta orologio (poi ne metterà due, fermi) e veste spesso di nero; rileva l’importanza di avere il diabete; si mostra indolente intuitivo disordinato nebbioso lento trasandato iponervoso ostinato prolisso visionario, apatico ma non annoiato, indifferente ai problemi minuti, placidamente mancante di desideri; agisce con gesti lenti e indiretti, continui sorrisi e distrazioni; appare molto raramente irato, non bello ma con grazia da vendere e la testa sempre fra le nuvole. Innumerevoli risultano le descrizioni ulteriori e le fantasiose metafore utilizzate per lui dai colleghi personaggi e dai colleghi recensori!
Adamsberg parla lentamente e vagamente, legge ad alta voce in piedi e male; fuma, scarabocchia foglie in continuazione, non riflette mai a fondo, pensa esposto a tutti i venti, entra e esce, sparisce e torna, trova il modo di non darsi mai pace; non resta mai arrabbiato a lungo, prende sonno all’istante; ripone da tempo poche speranze e aspettative nell’amore, va docilmente a letto con le ragazze che ne hanno voglia, restando (perennemente) fidanzato con la lontana Camille, conosciuta quando lui aveva già 36 anni (e con la quale avrà comunque un figlio, riconosciuto a tarda età). Come tutti è leggermente evoluto negli anni. Poco tempo fa aveva cambiato sede di lavoro (nel XIII°) ma era divenuto solo ultracinquantenne, un poco dimagrito e sempre magnetico con l’algoso sguardo svagato, maschio ormai senza più libido ma ancora cafone montanaro, ficcanaso e refrattario alle regole, permanentemente quasi bipolare anche nelle dinamiche con gli opposti vice e i biodiversi subalterni.
La nuova squadra è composta da 27 agenti dell’Anticrimine di Parigi, oltre la metà è presente fin dal primo immediato Concilio, ognuno descritto con fantastica concreta creatività, fra scartoffie e distrazioni, gerarchie e fobie, tipo 87°. Sotto l’apparentemente sbadata direzione del commissario si forma ogni volta un’aspra contrapposizione di tendenze (opinioni e metodi) fra i positivisti materialisti disturbati dalle divagazioni erratiche e i concilianti per i quali c’è poco di male a spalare nuvole di tanto in tanto; destra e sinistra irrituali, visto anche che il vero centro è un individuo per definizione senza equilibrio e certezze. Si parla di cose orrende come in una fiaba, orripilante e leggiadra al contempo. Le narrazioni sono in emozionante terza persona al passato, quasi sempre sul protagonista, invidiato non solo dall’autrice (che non si perde mai dietro grandi femmine seduttive). Scarsi sanguinamenti, poco sesso, molte paure. La componente più acuta e divertente dei romanzi sono i dialoghi surreali e le curiosità linguistiche, uno stile lieve e illuminoso, doppio e multiplo, silvestre e notturno, assecondato da stranezze ossefiane e multimediali. Se non conoscete Jean-Baptiste provate a frequentarlo, il prima possibile!
Il fatto è che attraverso Fred Vargas s’identifica un diminutivo e uno pseudonimo di una persona vivente. La scrittrice ha altri meriti civili e professionali in patria: si tratta dell’archeozoologa Frédérique Audouin-Rouzeau (Parigi, 1957), esperta di medioevo (e delle pestilenze di allora); esistono varie opere scientifiche al suo attivo, nelle opere letterarie si è dotata di uno nom de plume (scelto dalla gemella pittrice, poi in comproprietà). Mamma chimica e papà scrittore, questa volta ha seguito le orme della prima. Ha scelto la coraggiosa strada di evitare ogni fiction, usando comunque la famosa e saltuaria identità di romanziera. Vargas sapeva che molti avrebbero preferito vederla sfoderare un altro bel poliziesco di pura evasione: “più in là, ve lo prometto” scrive nell’introduzione. E intuiva che questo libro avrebbe venduto meno degli altri, così pare. Dichiara purtuttavia che un’implacabile necessità l’ha incalzata a scrivere freneticamente tutt’altro testo, ben per noi, è ugualmente denso interessante aggiornato. Ed è un buon segnale per altri scrittori e per tutti: nessuno si senta escluso dallo scendere in campo per ripensare un modo di produrre e consumare che sta rendendo insostenibile la sopravvivenza di tante specie e la biodiversità di tanti ecosistemi, con un pericoloso impatto globale che peserà soprattutto sulle future generazioni.
Vargas spiega che l’esigenza urgente di scrivere e di chiamare alla mobilitazione è sorta dalla combinazione dell’indole da ricercatrice archeologa con gli effetti di un suo brevissimo precedente testo sull’ecologia (“Ecco, ci siamo”) che pubblicò il 7 novembre 2008 e che ebbe un forte successo di critica e di pubblico: frasi riprodotte su magliette, riduzione teatrale, citazioni autorevoli in momenti topici del negoziato climatico. Sono trascorsi anni e l’auspicata svolta non è arrivata, anzi sembra allontanarsi, fra inutili conferenze ripetitive e inerzie istituzionali. Così ha deciso di raccogliere quanta più documentazione possibile sia sullo stato (insostenibile) del pianeta che sulle azioni concrete in corso o possibili per evitare o ridurre i gravi pericoli che l’umanità sta correndo con l’attuale modo di produrre e consumare. Ecco, dunque, L’umanità in pericolo. Facciamo qualcosa subito, Einaudi 2020 (orig. Flammarion 2019, L’humanité en péril, trad. Margherita Botto).
Vargas tratta tutti gli argomenti per descrivere i battiti contemporanei del pianeta, senza capitoli o paragrafi. Sceglie uno stile colloquiale e un espediente letterario. Dichiara di aver connesso al computer un piccolo dispositivo dittatoriale programmabile dall’utente, il cosiddetto Censore di Scrittura Integrato (Csi). Ah, quanto servirebbe a molti e anche a noi (pur diminuendo il numero di lavoratori editor)! L’unica parolina che ogni tanto interrompe il flusso di dati e spiegazioni è un Bip, ovvero l’aggeggio che con pochi acidi termini segnala le uscite dal seminato, l’abuso di tecnicismi, le notazioni autobiografiche, più o meno inopportune facezie e battute. Il Bip è forse servito all’autrice, sicuramente consente al lettore di prendere un attimo fiato rispetto alla mole di allarmi e proposte. La lunga escursione fra i siti di scienziati, governi, organismi multilaterali, imprese, associazioni, movimenti ha lasciato traccia in venti minute pagine di note bibliografiche finali. I riferimenti a dati ed eventi francesi non sono certo la maggioranza, la scrittrice scienziata è stata ben attenta a descrivere altri continenti e paesi, ad approfondire e comparare.
Non sempre ho condiviso le incursioni di Vargas sull’attualità politica. Per esempio, credo abbia sbagliato nel merito e nel metodo sul caso del terrorista italiano dei Proletari Armati Cesare Battisti, sposando un pregiudizio frequente in Francia (pur se la “dottrina” Mitterrand ha anche meriti) e facendosi di fatto copertura intellettuale di umani crimini (non diritti). Una cosa è chiedere verità e giustizia o sottolineare il rispetto ovunque delle persone (dei condannati come delle vittime), altra sposare inconsistenti argomentazioni innocentiste: in Italia il terrorismo è stato una tragica colpevole realtà che non si può trattare con superficialità (si veda qui). Questa volta, invece, appare del tutto apprezzabile e argomentata l’invettiva contro il Business as usual. Lo stile è volutamente concitato, vuole trasmetterci un quadro reale drammatico, accanto a un “che fare” motivato e concreto. Ci dà del “noi” perché solo insieme potremo attenuare lo sconvolgimento, già avviato, che si apprestano a subire la nostra Terra e il suo mondo vivente. Noi, la Gente, opposti a “Loro”, informanti governanti, dipendenti da un modello di società produttivistica e consumistica che non vogliono o non possono modificare. Non mancano gustosi garbati cenni autobiografici a sé stessa, Frédérique Audouin-Rouzeau, alla vita in campagna nella Francia occidentale, alle competenze del figlio, al voluto mancato possesso di condizionatori d’aria, di smartphone e di account sui social.
Giustamente Vargas non se la prende con i pochissimi reali negazionisti (tali, intuitivamente, per interesse o malattia mentale), piuttosto con coloro i quali accettano incarichi di vertice e poi non prendono atto del pericolo e non attuano interventi di riduzione effettiva delle emissioni e degli inquinamenti. Non vuole scaricare la responsabilità di quanto è accaduto nei decenni scorsi, osserva soltanto che dobbiamo prenderci tutti noi (pure votando) la responsabilità di imporre e praticare una svolta ecologica nei comportamenti. Credo che Adamsberg sarebbe d’accordo, comunque è ineccepibile! E pieno di continui “ma”: Vargas segnala chi e in che modo manifesta un dato scientifico o una proposta operativa e subito sottolinea certificati dubbi, contraddizioni, contraltari. Per arrivare comunque a scelte di campo, opzioni, preferenze. Nel mangiare come nel vestire, nel sopravvivere come nel muoversi, nel consumare fattori abiotici come biotici. Conclude riassumendo l’elenco di scelte che devono subito compiere coloro che hanno chiesto e ottenuto di governare e la lista delle nostre più urgenti iniziative civili globali (come mangiare meno carne e boicottare chi produce male).