SOCIETÀ
Migrare o non migrare, sconfinare o non sconfinare: questi sono i problemi
Sembra che pochissimi intendano davvero esaminare il fenomeno migratorio. Si tratta di un complesso evolutivo di azioni, più o meno coordinate, più o meno solo individuali, che compiono gli esseri viventi certamente da centinaia di milioni di anni (e forse da miliardi se verrà approfondita la questione in relazione alle specie vegetali). Si tratta del cambio di luogo (ecosistema biologico). Si modifica lo spazio di vita, ci si trasferisce o si viene collocati altrove e si devono trovare cibo, capacità, risorse, adattamenti per sopravvivere e riprodursi nella nuova nicchia dello stesso ecosistema o nel nuovo ecosistema. Potrebbe estensivamente talora addirittura riferirsi a una permanenza nello stesso ecosistema se si modificano nel tempo le condizioni fisiche, chimiche e climatiche esterne all’essere vivente preesistente. Al fior fiore di antropologi e filosofi (fra gli altri scienziati) capita frequentemente di riflettere sul fenomeno migratorio delle specie umane e dei sapiens prescindendo dal contesto evolutivo e dagli studi interdisciplinari.
Le migrazioni animali non sono solo movimento, più o meno stimolato: richiedono una qualche attività pre-cognitiva e cognitiva. Migrare comporta un’interazione tra meccanismi mentali e attività corporee connessa al cambio del contesto di sopravvivenza e riproduzione. Bisognerebbe mappare, almeno per i mammiferi (comprese poi le grandi scimmie e gli umani), le nicchie, i rifugi, le grotte e le caverne; tracciare una paleogeografia intrisa di speleologia degli ecosistemi, una storia delle “residenze biologiche” prima di quelle recentemente artificiali, spesso adottate da specie diverse in tempi diversi (per gli antichi umani con particolare attenzione alle aree di alta collina e montagna). Ogni individuo e ogni specie hanno un proprio habitat, o almeno una nicchia, mentre una qualche residenzialità collettiva e sociale, dinamica e sofisticata, va riferita forse solo ai sapiens. Dell’agentività psicologica e dell’interazione ecologica scrive con acume e competenza Michael Tomasello nel recente Dalle lucertole all’uomo. Storia naturale dell’azione, traduzione di Silvio Ferraresi, Raffaello Cortina Milano 2023 (orig. 2022 The Evolution of Agency. Behavioral Organization from Lizards to Humans), pag. 215 euro 20.
Tomasello parla di azioni animali da circa tre miliardi di anni in avanti, giustamente come un processo non lineare. Gli esseri viventi si distinguono dai non viventi non tanto per una sostanza, o un’entità, animante, quanto per un tipo speciale di organizzazione chimica che li rende almeno in parte individualmente agentivi, con qualche grado di libertà per un’organizzazione di azioni (tra le quali movimenti autoprodotti) che favoriscono sopravvivenza e riproduzione. I comportamenti di quasi tutti gli organismi vitali sono attuati simultaneamente su molteplici livelli psicologici gerarchici, solo alcuni sotto il controllo del singolo individuo. Tale flessibilità comportamentale (basata su un qualche giudizio e una qualche presa di decisioni) non implica necessariamente l’apprendimento. L’agentività non è semplicemente un’altra abilità comportamentale o cognitiva specializzata, quanto piuttosto il quadro organizzativo generale entro cui gli individui viventi formulano e producono le proprie azioni presenti.
Considerato ormai acquisito all’interno di varie discipline scientifiche che anche il comportamento sociale umano ha una base evolutiva (il che non implica alcun determinismo), l’evoluzione ha “creato” (Tomasello si riferisce anche alla Naturacome insieme biologico che “programma” l’evoluzione) sia meccanismi utili in senso generale sia specifiche soluzioni funzionali a pressioni e sfide ecologiche altrettanto specifiche. Per altri versi, come noto, la psicologia animale e umana è composta da molteplici meccanismi computazionali specializzati, dominio-specifici, ciascuno dei quali si è diacronicamente evoluto per risolvere uno specifico problema adattativo. Appare, pertanto, indispensabile comparare gli esseri umani con le altre specie animali e ricostruire il percorso evolutivo verso la sapiente agentività psicologica umana, la nostra.
Il grande psicologo evoluzionista statunitense Michael Tomasello (Bartow, Florida, 1950) è co-direttore al Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia e ha avviato un interessante progetto di ricerca di cui l’ottimo chiaro testo appena uscito costituisce fondamento scientifico teorico e programma di lavoro sperimentale (qui riferimenti ad alcuni suoi scritti e contributi scientifici). Nel volume, Tomasello esamina quattro tipi principali di agentività psicologica(architetture organizzative riguardanti la presa di decisioni e il controllo comportamentale) in quattro taxa rappresentativi di importanti antenati animali dell’essere umano (comprese specie estinte) in ordine di comparsa evolutiva (l’ipotesi è che siano intervenute in risposta ad altrettanti tipi di incertezza e interazione sociale). Appare comunque agentività diretta a uno scopo quella negli antichi vertebrati; almeno intenzionale quella negli antichi mammiferi; ormai razionale nelle antiche grandi scimmie; infine socialmente normativa già negli antichi umani.
La novità rispetto ai primi organismi sul pianeta Terra, che erano attori biologici ma non agenti psicologici, va probabilmente fatta risalire a dopo l’esplosione del Cambriano, circa cinquecento milioni di anni fa, agli organismi con “corpi adattativi complessi”, bisognosi (per difendersi o fuggire) di modi più efficaci per controllare flessibilmente le proprie azioni. A quel punto, forse, è comparsa la decisiva organizzazione di controllo a feedback: i primi vertebrati di acqua (i pesci) e di terra (gli anfibi e quindi i rettili) cominciano ad aggiungere una nicchia esperienziale propria alla nicchia ecologica esterna. Così, dopo i primi due capitoli introduttivi, seguono i quattro capitoli dedicati alle lucertole (da cui il titolo italiano e il sottotitolo americano) e ai rettili, ai primi mammiferi, alle grandi scimmie, infine agli umani collaborativi (da qualche milione di anni) e alla formazione coi sapiens anche di un’agentività collettiva (in gruppi culturali distinti). Esula dalla trattazione di Tomasello, ovviamente, la delicata questione della speciazione. Nel testo, la comunicazione dei concetti è curata ed efficace (con alcune illustrazioni); costanti sono i riferimenti a teorie, modelli ed esperimenti; le sei affermazioni conclusive risultano fertili e stimolanti; ottimi anche gli apparati.
Il noto psicologo parla del regno animale e comprensibilmente non affronta in modo organico la questione delle “migrazioni” e del “migrare”. Il fenomeno migratorio compare implicitamente già all’inizio dell’organizzazione della prima tipologia di vertebrati e di agentività diretta a uno scopo, quando lo scopo è la fuga. La capacità di movimento è altra cosa, indispensabile a muoversi, non a fuggire e poi a sopravvivere altrove. Tomasello sottolinea che il primo antenato degli umani che impiegava il sistema nervoso era l’urbilaterio (risalente a circa 500 milioni di anni fa) e ipotizza che il suo comportamento fosse simile a quello di una creatura ancora esistente e di cui sappiamo molte cose, ossia C. elegans, essere vermiforme impiegato come modello nella biologia del comportamento. Se il suo movimento in avanti sfocia in un cattivo esito (quale una sostanza nociva) può eseguire un’azione, tra due possibili, sia per allontanarsi (fuga) che per localizzare il cibo in nuovi ambienti dopo diverse esperienze (cambiare luogo). Pur essendo improbabile la comparazione con una forma di obiettivo interno che crea la direzione e, dunque, attraverso una locomozione perlopiù casuale o guidata dallo stimolo, le creature vermiformi hanno semplicemente imparato la posizione verso cui dirigere i propri movimenti innati.
La migrazione ha necessariamente a che fare con il senso della posizione e la capacità del cambio di posizione. Solo dopo le prime creature animali compare, infatti, l’organizzazione di controllo a feedback e il comportamento di foraggiamento straordinariamente flessibile, con variabilità stagionali, strategie di fuga (evoluta) o di siedi-e-aspetta (imboscata) o di inseguimento attivo, oltre all’insieme delle dinamiche dei ruoli connessi alla predazione, sia da preda che predatore, e delle dinamiche connesse all’interazione specifica non più solo con propria “bolla” (nicchia ecologica) bensì pure con alcune delle altre specie dell’ecosistema (intreccio delle nicchie esperenziali). L’organismo e l’ambiente iniziano a condeterminarsi a vicenda, a coevolvere, pur in modo diverso (biodiverso). La variabilità individuale avviene a priori ed è indipendente dal processo di selezione, poi la selezione naturale “elimina gli individui incapaci” e “plasma le capacità di coloro che sopravvivono” (Tomasello).
Si potrebbe forse aggiungere che con i primi vertebrati terrestri (nel nostro caso le lucertole) si dovrebbe allora iniziare a esaminare anche il fenomeno migratorio, una delle risposte alle sfide ecologiche e alle pressioni selettive, che diventa esso stesso sfida e pressione negli ecosistemi (e guardare soprattutto alle dinamiche migratorie di pesci e uccelli che precedono o sono coeve rispetto a quelle dei grandi mammiferi). Occorre tener presente che i tentativi di fuga perlopiù non hanno successo; tendiamo spesso a sottovalutare che scappare da eventi esterni pericolosi o da altre specie predatorie non è garantito prima che si tenti, anzi una parte degli organismi in fuga si mostrano incapaci di fronte all’emergenza e la loro morte è più che probabile. Per altri la morte piò arrivare dopo, nel secondo momento in cui bisogna sopravvivere in un contesto sconosciuto oppure imprevisto (il che vale anche per chi cambia ecosistema con qualche motivazione diversa dalla fuga).
Quel che colpisce è proprio una differenza comportamentale primordiale tra il fuggire da pericoli più o meno incombenti e lo spostarsi altrove per (anche meglio) sopravvivere e riprodursi. “Le pressioni selettive che inducono l’agentività comportamentale scaturiscono… quando una popolazione di organismi si sposta in una nicchia ecologica gravida di eventi imprevedibili” (Tomasello), ovvero migra, sia o meno conseguenza di una precedente fuga. Essere capaci di fuggire diventa un’arte animale, che ha bisogno dei mezzi per realizzare gli obiettivi. L’insorgenza del fenomeno migratorio comporta quasi subito lo studio della capacità di migrare che evolve in modo diverso per ogni specie animale (ancora una volta lasciamo qui stare il regno vegetale) sul piano anatomico e psicologico, biologico e sociale. Finché, con la comparsa dei mammiferi, circa duecento milioni di anni fa, avviene un nuovo balzo nell’agentività comportamentale, consentita soprattutto da forme più flessibili di motivazione e da uno spazio significativo per l’agentività individuale. Ciò arricchisce enormemente tempi, luoghi e capacità del fenomeno migratorio, tanto più che compare un ruolo inedito per la curiosità e l’esplorazione. Centinaia di milioni di anni fa i mammiferi antichi erano agenti intenzionali, alcuni capaci di tentare, almeno di tentare quasi sempre, una fuga o di sopravvivere e riprodursi in ecosistemi lontani dal proprio iniziale.
Gli spunti “migratori” sono tanti e continui nel testo di Tomasello e crescono ulteriormente quando la narrazione si sposta sulle grandi scimmie (circa venti milioni di anni fa), con decine di specie di antropomorfe che presto “vagarono” per l’Africa e nel continente euroasiatico, capaci ormai di emulazione, addestramento e imitazione razionale, e infine sugli antichi umani come agenti socialmente normativi, che iniziano milioni di anni fa a collaborare in modo motivato e coordinato (obiettivi congiunti, ruoli diversificati, controllo relazionale collettivo), adattandosi cammin facendo (la locuzione è una traduzione di Tomasello) a situazioni che loro non avevano previsto, con una psicologia radicalmente nuova dal punto di vista sia cognitivo che sociale (compreso il senso di responsabilità connesso all’agentività, qui per taluni aspetti:).
Finché, e siamo a poco più di centomila anni fa (le datazioni non sono decisive rispetto all’evoluzione dell’agentività), comparvero coi sapiens gruppi culturali confinanti ma differenti, la nuova modalità di foraggiamento collettivo da un luogo centrale e gli obiettivi collettivi riguardanti “la destinazione di uno spostamento di gruppo, la collocazione di una casa base, i preparativi per la difesa di gruppo, la divisione delle risorse e la divisione del lavoro nella tutela collettiva dei bambini” (Tomasello). E, infine, conseguenza anche di cambiamenti climatici globali, finché si diffondono progressivamente le stanzialità agricole e l’intricato fenomeno migratorio, asimmetrico e diacronico, che connette emigrazioni e immigrazioni, il diritto di restare e la libertà di migrare (con innumerevoli gradi di libertà e capacità).
Le specie cosiddette aliene, confinamenti e sconfinamenti più o meno autoprodotti, sono, pertanto, parte costitutiva della vita sulla Terra e il fenomeno migratorio è antichissimo ed evolutivo. Per descrivere la contemporaneità noi elucubriamo con concetti, termini e definizioni che hanno bisogno della filosofia della scienza e della biologia evoluzionistica. In modo di capire l’oggi e il domani, non di esaminare o descrivere il passato. È appena uscito un ottimo testo sui “confini” scritto a quattro mani da un antropologo e da un geografo italiani. Occorre approfondire bene, perché la storia del “confine” si confonde spesso per i sapiens con la storia del migrare, ovvero di mantenersi dentro o di spostarsi oltre quel confine, emigrare e immigrare (con connessi diritto di restare e gradi di libertà di migrare). Ma le migrazioni (non solo umane) e alcuni tipi di nicchie e di confini (pure biologici) esistevano anche molto prima della lenta contraddittoria conflittuale svolta stanziale agricola: bisognerà tornare con calma a valutare l’evolutiva persistente continuità e contiguità di migrazioni e confini.