SOCIETÀ

Le migrazioni di massa sono necessarie e, comunque, inevitabili

Da inizio 2020, da circa 18 mesi il lockdown per la pandemia sanitaria Covid-19, gli obblighi di muoversi meno e mantenere distanziamento fisico, hanno sostituito l’incremento delle migrazioni e degli spostamenti con un improvviso reset della popolazione mondiale: un rimpatrio di massa senza precedenti ha surrettiziamente riallineato cittadinanza e luogo di vita. Turisti, studenti ed expat (professionisti, lavoratori qualificati, sportivi, artisti espatriati per le loro attività non contingenti) sono rifluiti da ogni angolo del mondo verso i rispettivi paesi di nascita o di residenza. Per la prima volta da che se ne abbia memoria quasi l’intera popolazione del mondo si è ritrovata “a casa”.

Già nel primo anno di pandemia globale oltre duecento mila lavoratori indiani sono stati rispediti in patria da paesi del Golfo come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti; gli studenti asiatici hanno fatto incetta di biglietti di sola andata per tornare a casa dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dall’Australia; molti paesi europei hanno rimpatriato per via aerea i cittadini di origine africana e latino-americana. Ma non durerà, l’interruzione è stata artificiale e temporanea. L’inversione di tendenza è già iniziata e sarà inarrestabile, soprattutto da quando vaccini e cure stanno rendendo più liberi i movimenti, seppur con forti diacronie e diseguaglianze. Si annuncia presto una nuova inevitabile epoca di migrazioni di massa (della Next Great Migration aveva già l’anno scorso parlato un’altra studiosa americana, Sonia Shah).

Motiva ora questa fondamentale opinione con precisi dati e riflessioni il politologo e consulente strategico globale Parag Khanna (Kanpur, 1977), un noto specialista di relazioni internazionali. Nato in India, cresciuto negli Emirati Arabi Uniti (conservando il passaporto indiano), naturalizzato cittadino americano (quando i genitori si sono trasferiti per lavoro), si è laureato a Georgetown e dottorato alla London School of Economics, ha insegnato fra l’altro a Singapore e fondato la società di pianificazione FutureMap, recentemente è stato nominato da Esquire una delle “75 persone più influenti del XXI secolo”.

Non è il primo libro di successo che Khanna pubblica, eppure questo sesto saggio è il più netto nella visione di prospettiva: serve una strategia collettiva di reinsediamento della popolazione mondiale, il movimento da dove ci si trova e la migrazione risultano oggettivamente destino auspicabile per molti di coloro che sono nati, stanno nascendo e nasceranno nei primi decenni di questo terzo millennio. Migrazioni di massa sono inevitabili e, oggi più che mai, sono necessarie: Il movimento del mondo. Le forze che ci stanno sradicando e plasmeranno il destino dell’umanità, Fazi Roma 2021 (orig. 2021, traduzione di Franco Motta), pag. 454 euro 20.

La principale disciplina di riferimento dell’autore è la geografia umana, appaiono quindi pertinenti le implicite distinzioni interne al fenomeno migratorio, diacronico (emigrazioni separate da immigrazioni) e asimettrico (movimenti forzati o liberi con varie gradazioni). Nell’età contemporanea, attorno al 27° parallelo si raggruppano più esseri umani che a ogni altra latitudine. Più in generale, negli ultimi seimila anni ci siamo abituati alla latitudine 24-45 gradi nord come la più fertile e la più ospitale per l’insediamento. I cambiamenti climatici antropici globali ci stanno allontanando da questa fascia climatica ottimale e in futuro probabilmente dovremo disperderci nelle sconfinate distese del Nord, la geografia dei sapiens è destinata a evolvere dalle sue origini equatoriali a un futuro settentrionale.

Khanna intende analizzare il dove e il come della distribuzione della nostra specie in 150 milioni di chilometri quadrati di terra distribuita in sei continenti e prende di petto temi scottanti come: la demografia (la composizione delle popolazioni per età e per sesso), le migrazioni (il reinsediamento delle persone), la composizione etnografica, il nostro adattamento genetico a un ambiente che cambia ciclicamente e di continuo. Oggi la nostra specie sta vivendo una fase assai difficile e non possiamo più ritenere garantita alcuna relazione stabile fra i livelli degli ecosistemi (ossia dove si trovano le risorse alimentari, idriche, energetiche e minerali), della politica (ossia dove si trovano i confini territoriali che demarcano gli Stati) e dell’economia (dove si trovano infrastrutture, industrie e servizi).

Khanna non nega ovviamente che siamo tutti in qualche modo inestricabilmente legati all’ambiente in cui ci troviamo: il luogo e le risorse della società e dell’ecosistema in cui nasciamo determinano il nostro destino; i fattori più importanti sono le dimensioni della popolazione e la struttura anagrafica di una comunità (anche statuale). Non sempre, tuttavia, siamo stati direttamente noi con i nostri conflitti interni o con curiosità individuali a mettere in crisi il legame con il territorio di nascita, più spesso il legame si è rotto per clima o disastri o competizioni esterne; nei millenni la possibilità di movimento sempre più rapido su scala globale (di persone, idee, tecnologie, beni, servizi, capitali) ha permesso di sopravvivere ai gruppi della nostra specie e anche la migrazione è divenuta destino comune della specie meticcia, un destino via via più scelto con qualche grado di libertà, molti in cerca della migliore combinazione di latitudine e mentalità.

In un paragrafo significativamente intitolato “migrare è umano” l’autore ricostruisce i primi passi bipedi dei nostri antenati protoumani e poi dei primi gruppi di Homo sapiens, sottolineando la novità del linguaggio simbolico, dovuta anche alle crescenti interazioni di quanti avevano bisogno di comunicare mentre coprivano centinaia di chilometri di territorio di caccia. Le migrazioni di massa non hanno soltanto inciso sul luogo in cui una popolazione risiede, ma anche sul volto con cui essa si presenta. Tanta parte dell’umanità ha la migrazione nel sangue. È il movimento, anziché il tribalismo, a essere il nostro istinto originario, assai più profondamente radicato nella nostra identità di uomini e donne di qualsiasi altra artificiosa appartenenza di tipo razziale o etnico. La mobilità ha costantemente rinnovato e arricchito il nostro patrimonio genetico.

L’excursus è rapido e con qualche semplificazione di troppo, la sostanza è corretta: quasi ovunque si sono determinati melting pot etnici; il nostro mondo è presto diventato ovunque una collezione di ibridazioni regionali; lo stress climatico è e sarà la causa principale dell’ingrossarsi delle file della migrazione (visto anche che la riduzione delle emissioni stenta e gli adattamenti per sopravvivere risultano impellenti); in tempi di instabilità climatica, i nuovi arrivi in un luogo sono sempre favoriti da quelle amministrazioni che sanno attivamente governare la situazione anziché lasciarsene travolgere; è giusto che geografi e antropologi chiedano di superare la “trappola territoriale” che fa corrispondere identità e nazionalità.

Rifugiati climatici e migranti economici, matrimoni misti ed evoluzione umana fanno parte della vicenda storica e della realtà contemporanea della geografia umana. Se torniamo indietro nel tempo il continuo movimento, le grandi migrazioni e le conseguenti mescolanze permeano l’intera storia conosciuta, così come le mitologie più antiche. Muoversi e costruire: ecco l’essenza degli esseri umani, secondo l’autore. Certo, la maggior parte dell’umanità attuale non ha mai attraversato un confine. Tuttavia, i tre quarti delle migrazioni avvengono da secoli all’interno del proprio stesso paese e il fenomeno degli arrivi e delle partenze, siano o meno persone care o conosciute, riguarda comunque in vario modo anche chi resta sempre nella stessa residenza (ricevendo fra l’altro spesso enormi rimesse, in via diretta o indiretta). Senza generazioni giovani che utilizzano case, scuole, ospedali, uffici, ristoranti, hotel, centri commerciali, musei, stadi e tanti altri servizi, parecchi paesi (fra cui l’Italia) rischiano la deflazione permanente, tanto demografica quanto economica. L’autore sottolinea come manchi un quadro globale normativo sulle migrazioni e forse non fare alcun riferimento ai Global Compact è una carenza del testo.

Muoversi significa essere (più) liberi, spiega Khanna. Meglio saperlo e adattarsi, piuttosto che subirlo e fossilizzarsi. Nel mondo contemporaneo circa cinque miliardi e mezzo di persone vivono in continenti con ragionevoli prospettive di movimento, mentre gli altri due e mezzo non hanno intenzione, o l’opportunità, di andarsene. L’autore descrive subito quattro plausibili scenari geopolitici sulla base delle forze in campo (demografia, autorità politiche, economia, tecnologia, clima), disposti lungo gli assi del movimento migratorio e della sostenibilità: “il Nuovo Medioevo” (il peggiore), “i barbari alle porte”, “Fortezze regionali”, “Luci dal Settentrione” (il migliore, con un impegno strategico per un reinsediamento umano su larga scala e programmi di rigenerazione ambientale). Sono scenari che non si escludono a vicenda e che in parte si mescoleranno. Tanto vale allora valutare bene il posto che ciascuno vuole cercare di avere nella prossima mappa dell’umanità. Proprio domenica 26 settembre la Chiesa ha saggiamente celebrato la 107° Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, da oltre un secolo vi è piena consapevolezza politica e religiosa del fenomeno unitario che mescola migrazioni volontarie e migrazioni forzate.

Con informazioni, dati e ottime originali figure (a colori, concentrate in un inserto al centro del volume), riferiti a tutte le aree del mondo, Khanna motiva quanto sarà importante per i giovani la libertà di migrare (che, come noto, non esclude il diritto di restare), senza continuare a fare troppo affidamento sull’idea di “nazione”. L’autore ci consegna arguti competenti capitoli illuminanti di un utilitarismo cosmopolita: la guerra per i talenti; la migrazione generazionale (ora più identitaria della nazionalità); Usa e Canada; il Commonwealth europeo; Caucaso, Russia e Asia centrale; l’estremo Nord del pianeta compreso l’Artico; il Sud ovvero Africa, Sudamerica, Australia; la geopolitica delle diaspore asiatiche; Cina, India e Giappone; le centinaia di milioni di cittadini Expatistan che già esistono; le popolazioni quantiche (da ius sanguinis e ius soli a ius doni e alla cittadinanza globale); le reti e le città inevitabilmente sempre più sostenibili; la civiltà 3.0. Chiaro e convincente. In fondo, note e bibliografia, non l’indice di nomi e argomenti.

L’autore fa esempi puntuali di casi e dinamiche relativi a quasi tutti i paesi del mondo. Frequenti risultano i riferimenti anche all’Italia, alcuni dei quali rimarchevoli. Fra i comportamenti “sfortunatamente” sbagliati di vari Stati, Khanna specifica: “L’Italia e altri paesi europei hanno finanziato milizie libiche incaricate di impedire ai migranti di attraversare il Mediterraneo” (pagina 38). Sottolineando come il vero problema della migrazione sia l’emigrazione, Khanna apprezza una frase del leader della Lega Salvini (“un paese che non fa figli è destinato a morire”) e poi ne critica le politiche istituzionali concretamente adottate, tutte rivolte a frenare un’immigrazione che sarebbe invece molto utile al nostro paese (82). Fra le azioni positive dei “Global Citizen”, Khanna cita gli asili Montessori (114). All’interno del capitolo sull’Europa, Khanna ricorda il suo soggiorno lavorativo a Bologna e dedica il capitolo “Benvenuti in Padania” a una critica delle leggi italiane (severe e chiuse) sulla cittadinanza, sottolineando l’apporto positivo degli immigrati verso l’economia italiana, la socialità urbana e il nostro futuro demografico (213-217).

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012