Niklas Elmehed © Nobel Prize Outreach
La notizia arriva mentre lei è in carcere. Arrestata 13 volte, condannata a un totale di 31 anni di reclusione e a 154 frustate, Narges Mohammadi è premio Nobel per la pace 2023. Cinquantadue anni, nativa di Zanjan, in Iran, Mohammadi è stata premiata dal Comitato norvegese che tradizionalmente assegna il Nobel per la pace “Per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e la sua lotta in difesa dei diritti umani e della libertà per tutte e tutti”.
Detenuta nella prigione di Shahr-e Rey (detta anche Gharchak), a Varamin, nella provincia di Teheran, Mohammadi, da quanto leggiamo sul sito di Amnesty International che da anni segue il suo caso, è sottoposta a tortura e maltrattamento. Contestualmente, denuncia l’organizzazione, “le stanno deliberatamente negando assistenza sanitaria adeguata come rappresaglia per le sue campagne pubbliche, come quella contro l’uso dell’isolamento nelle carceri e per aver cercato la responsabilità per le centinaia di omicidi illegali avvenuti durante le proteste del novembre 2019”.
Le cure le sono state negate anche dopo essere stata ospedalizzata nel 2022, a seguito di una serie di attacchi cardiaci. Successivamente è stata trasferita in ospedale, ma rilasciata anzi tempo, contro il parere dei medici, è stata riportata in carcere e trasferita alla prigione di Gharchak, dove attualmente si trova, in un regime di detenzione molto stretto e disumano.
"Non smetterò mai di lottare"
Narges Mohammadi, una laurea in fisica, è anche uno dei punti di riferimento nella protesta delle donne che da oltre un anno in Iran lottano e protestano per il riconoscimento dei propri diritti e contro una dittatura che limita le loro libertà. È vice presidente del Centro per la difesa dei Diritti Umani, fondato dall'avvocata pacifista Shirin ʿEbādi, premio Nobel per la pace nel 2003. È dunque evidente l'attenzione che il comitato norvegese ha voluto mantenere sugli sforzi, il lavoro continuo, l'impegno delle donne iraniane per la propria libertà, iniziato ben prima di quest'ultimo anno ma che nei mesi scorsi ha visto il coinvolgimento di centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi iraniani nelle piazze, scuole, università di tutto il paese.
E infatti lo slogan pronunciato nelle piazze di tutto il paese, “Donna, vita, libertà” è stato quello con cui oggi da Berit Reiss-Andersen, presidente del comitato norvegese, ha aperto il suo discorso sulle motivazioni del premio. Reiss-Andersen ha anche sottolineato che i premi Nobel per la Pace degli ultimi anni dimostrano che la “democrazia è in declino” nel mondo e che quello di quest’anno è appunto un segnale che il comitato ha voluto inviare al governo iraniano perché ascolti il proprio popolo. Un Nobel alla persona ma anche un riconoscimento, ha aggiunto Reiss-Andersen, a tutto il movimento di protesta, sperando così di sostenerlo nel suo lavoro futuro.
E infatti, leggiamo sul New York Times, che subito dopo aver appreso la notizia del premio, Mohammadi avrebbe dichiarato che “Non smetterò mai di lottare per la realizzazione della democrazia, della libertà e uguaglianza. Sicuramente, il premo Nobel mi renderà più resiliente, determinata, speranzosa ed entusiasta, accelerando il mio ritmo".
Il simbolo e il punto di partenza di quest’ultimo anno di proteste, durante le quali sono state uccise oltre 500 persone e più di 20mila fermate e arrestate, in larga parte studenti, è stato l’arresto e il pestaggio di Masha Amini, studentessa curda, perché non indossava correttamente l’hijab. In seguito ai maltrattamenti, Masha Amini è morta.
A un anno da quella morte, il 16 settembre 2022, Narges Mohammadi è riuscita a far arrivare al New York Times un articolo in cui ricordava il momento in cui lei, assieme ai compagni di prigionia, aveva appreso della morte della ragazza e raccontava anche come le proteste venivano vissute dall'interno del carcere, riferendosi alla propria esperienza ma anche al morale e alla forte convinzione delle persone che continuano a entrare in carcere proprio perché non demordono nel manifestare. E proprio nei giorni scorsi un’altra studentessa sedicenne, Armita Garavand, è stata ricoverata in coma dopo essere stata fermata dalla polizia morale iraniana mentre era in metropolitana con alcune compagne di studi, sempre per non aver indossato il velo. Il premio arriva dunque in un momento ancora molto critico per il movimento delle donne iraniane e dà un segno importante di supporto alla loro lotta.
Un'iraniana durante l'ultima International Book Fair di Theran. Foto: Reuters
Una storia che seguiamo con attenzione
Il Bo Live si è messo dall’inizio al fianco delle persone, ragazze e ragazzi, che manifestano per la propria libertà in Iran. Negli ultimi tre anni, e soprattutto nell’ultimo, in diversi momenti, abbiamo raccolto la voce delle studentesse e studenti iraniani che studiano a Padova e in altre città italiane, e abbiamo raccontato, anche attraverso la lente delle politica e del cinema e delle arti, quello che sta avvenendo in un paese dove la demografia è dalla parte dei giovani ma la dittatura non cede e mantiene stretta la sua morsa e il suo controllo, anche grazie al dispiegamento di immensi mezzi tecnologici di sorveglianza.
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