Peaky blinders era il nome dei berretti della working class britannica, ma oggi è anche il titolo di una serie televisiva divenuta un cult per milioni di telespettatori di tutto il mondo. Marco Mondini, docente di storia contemporanea presso l’università di Padova, ne spiega il fascino e in il successo partendo dal punto di vista dello studioso. Spoiler alert: di seguito vengono anticipati alcuni elementi della trama.
“Una serie televisiva può raccontare la storia del Novecento? Lo può fare bene, in maniera intelligente e critica? La risposta è: dipende dalla serie, dagli autori e dalla sceneggiatura”, spiega Mondini. Per Peaky Blinders, trasmessa dalla BBC a partire dal 2013, la risposta è senza dubbio positiva. “Si tratta di un prodotto sui generis, che mescola molto abilmente storia e fiction. (…) Su di essa gli storici hanno già avviato una riflessione, anche in Italia: alcuni anni fa a Trento si tenne un convegno in cui la serie tv, che mette in scena dei veterani ritornati dal primo conflitto mondiale, fu identificata come una narrazione sul post traumatic stress. Essa in realtà offre però contenuti molto più complessi, e soprattutto racconta anche molto della guerra come fucina dell'immaginario, come palingenesi e laboratorio in cui le identità vengono plasmate”.
Riprese e montaggio di Elisa Speronello
Questo ovviamente non significa che la ricostruzione sia del tutto accurata da un punto di vista storico: in molte sequenze la Birmingham in cui è ambientata la narrazione, tra scioperi nelle fabbriche e scontri tra bande rivali, assomiglia più alla Chicago di Al Capone che a una città operaia inglese. E andando avanti nelle stagioni (attualmente si attende la sesta) il protagonista Thomas Shelby, il gangster-eroe di guerra magistralmente interpretato da Cillian Murphy, arriverà addirittura ad incontrare Wiston Churchill, con il quale si alleerà per contrastare l’ascesa del fascismo in Inghilterra. Il punto di incontro tra i due è ancora una volta l’esperienza della grande guerra: “è lei in tutte le sue sfaccettature e non il post traumatic stress il vero fil rouge del racconto” continua Mondini. Che conclude: “Peaky Blinders è un una serie eccezionalmente ben scritta, che può diventare uno strumento utilissimo per stimolare la curiosità verso la storia contemporanea. Davvero un peccato non avere prodotti del genere in Italia”.