Foto: Mark Seton/Flickr
Si definiscono sinantropiche le specie animali e vegetali che sopravvivono felicemente in un ambiente antropizzato e a contatto con gli umani: nel novero rientrano cani, gatti e in generale tutti gli animali domestici, così come numerose piante ‘aliene’ adattatesi, ad esempio, ad ambienti urbani. Non tutte le specie sinantropiche, tuttavia, sono compagne gradite: ne sono un chiaro esempio ratti e topi, la cui convivenza con la nostra specie è stata causa di grandi epidemie (Yersinia pestis, il batterio che causa la peste bubbonica, è trasmesso all’uomo mediante le pulci che albergano nella pelliccia dei ratti) e ha generato nel tempo grandi perdite economiche, pasteggiando con le derrate alimentari destinate al consumo umano.
Una così ravvicinata convivenza, tuttavia, merita di essere investigata in maniera approfondita, poiché può gettare luce su diversi aspetti della storia recente della nostra specie. Ricostruire la storia delle relazioni evolutive tra uomini e ratti (ci si riferisce, in questo caso, alla specie Rattus rattus, il ratto comune, diversa dal Rattus norvegicus, comunemente noto come pantegana) è l’obiettivo perseguito da un nutrito gruppo di ricerca internazionale, che ha ripercorso a ritroso la storia dell’introduzione e della diffusione di questa specie in Europa avvalendosi di un vasto archivio di dati genetici relativi a esemplari contemporanei e storici raccolti in diverse località dell’Europa centro-settentrionale, orientale e dell’area mediterranea.
I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Communications, offrono un quadro piuttosto esaustivo della storia popolazionale del ratto nero, e mostrano con chiarezza come le fortune di questa specie siano strettamente legate ai rivolgimenti storici dell’uomo.
Da analisi del DNA mitocondriale emerge innanzitutto come Rattus rattus sia con ogni probabilità originario dell’Asia sud-orientale, regione nella quale è ancora oggi presente la sua unica specie sorella, il ratto domestico asiatico (Rattus tanezumi). Prima dell’instaurazione di una relazione commensalistica con la specie umana, infatti, sembra che il ratto nero eurasiatico fosse diffuso soltanto nell’Asia meridionale. Stando alle informazioni ricavate dai dati genetici e dai reperti archeologici, sembra che un’espansione verso occidente risalga circa al secondo millennio a.C., e che questa specie abbia raggiunto il versante occidentale del bacino mediterraneo verso la fine dello stesso millennio, come sembrano in particolare indicare reperti fossili rinvenuti in Corsica, in Italia, nelle isole Baleari e sulle coste marocchine.
L’espansione verso nord, invece, sarebbe direttamente legata alla progressiva estensione in Europa continentale dei confini dell’Impero romano, avvenuta tra il I secolo a.C. e il II d.C. A facilitare la diffusione del ratto comune fu – si pensa – la complessa e ben oliata macchina di spostamenti e commercio che i Romani avevano capillarmente costruito in tutto il territorio imperiale: il trasporto di grandi quantità di derrate alimentari via terra e lungo vie acquatiche, così come la presenza diffusa di centri abitati, hanno rappresentato per i nostri sgraditi commensali un ottimo viatico alla prosperità.
Grazie al DNA mitocondriale, i ricercatori sono riusciti a creare un albero filogenetico piuttosto completo che ripercorre la storia dell’espansione del ratto comune in Europa. Seguendo le diversificazioni genetiche, sembra di ripercorrere la storia dell’apertura delle prime antiche rotte commerciali tra oriente e occidente. Le evidenze più antiche di ratti adattati a vivere con gli umani ci portano, infatti, nella valle dell’Indo e in Mesopotamia tra il terzo e il secondo millennio a. C., proprio quando iniziano a sorgere le prime città e si stabiliscono, tra queste regioni, i primi rapporti commerciali. Da lì, il ratto potrebbe essere arrivato in Europa via terra, disperdendosi verso il Mediterraneo e poi l’Europa orientale da un lato, e verso l’Egitto dall’altro (quest’ultima ipotesi, se verificata, confermerebbe l’importanza commerciale dell’Egitto in epoca romana, a partire dalla sua annessione nel 30 a. C.).
L’analisi del DNA nucleare, d’altro canto, restituisce una mappa di interazioni decisamente complesse tra le diverse popolazioni di R. rattus, suggerendo un parallelismo con la varietà ed estensione degli scambi commerciali e dell’interconnessione tra i diversi luoghi della vasta area considerata.
A partire dal VI secolo d.C., tuttavia, le comunità europee di R. rattus subiscono un rapido declino, come è dimostrato dalla scarsissima presenza di resti nei siti archeologici europei di questo periodo. Tale contrazione della popolazione continentale potrebbe essere, nuovamente, un fenomeno legato alle vicende storiche umane. Tre, infatti, sono le ipotesi esplicative ritenute oggi più plausibili: la riduzione dei rapporti commerciali, degli scambi e dei trasporti conseguente alla dissoluzione dell’Impero romano d’Occidente, evento storico che avrebbe determinato il venir meno delle condizioni di cui i ratti si avvalevano per muoversi e per sopravvivere; l’intervento di un fattore climatico di ampia portata come la “Piccola era glaciale dell’antichità”, che causò una decisa riduzione delle temperature; la ‘peste giustinianea’, epidemia scoppiata nel 541 e protrattasi per due secoli, che potrebbe aver influito anche sulla salute delle popolazioni di ratto, decimandole.
Tale tendenza discendente mostra i primi segni di un’inversione a partire circa dal IX secolo. Tuttavia, le indagini genetiche hanno mostrato una peculiarità: le popolazioni di epoca romana e le ‘nuove’ popolazioni diffuse in età medievale (soprattutto quelle ‘bizantine’ e quelle delle aree dell’Europa meridionale e orientale) sembrano appartenere a due cladi diversi, come se non fossero discendenti delle popolazioni antiche, ma figlie di una nuova importazione dall’oriente; le popolazioni settentrionali e occidentali, invece, sembrano discendenti pressoché dirette dei ratti romani. Dal punto di vista storico, in effetti, tra queste diverse regioni i contatti commerciali e culturali si erano affievoliti durante l’Alto Medioevo. Le due popolazioni – quella antica e quella di recente (re)introduzione – si ibridano poi, nei secoli successivi, durante la nuova ondata di ‘migrazione passiva’ verso il Nord e l’Ovest, arrivando a formare un’unica popolazione comune.
Una nuova fase di declino per Rattus rattus inizia a partire dalla fine del XVII secolo, ed è stata probabilmente acuita dalla competizione instauratasi con Rattus norvegicus (alias, la pantegana), importato dall’Asia agli albori del XVIII secolo. Il fatto che ancora oggi, nonostante l’evidente contrazione delle popolazioni di ratto comune in Europa, questa specie persista in diversi ambienti (soprattutto urbani) indica che potrebbe essersi verificata una ripartizione di nicchie ecologiche tra R. rattus e R. norvegicus.
La storia evolutiva del ratto, una specie quasi parassitaria e certamente poco amata dagli umani, riesce a gettare luce sulle complesse interconnessioni tra popoli che hanno segnato, nel corso dei secoli, la storia del nostro continente, mettendo in luce le strette interdipendenze che esistono tra le vicende umane e il destino delle numerose specie non umane che da esse sono inevitabilmente condizionate.