SOCIETÀ

Ricerca e innovazione: la partecipazione deve venire dal basso

L'università è la fabbrica di conoscenza per eccellenza e gli atenei e gli enti di ricerca oggi rivestono un ruolo chiave nello sviluppo della società della conoscenza. È per questo che la cosiddetta terza missione dell'università (essendo le altre due didattica e ricerca) ha un valore strategico e fondamentale per la società tutta: la sfida alla quale l’università è chiamata a rispondere è far sì che la produzione di conoscenza e innovazione diventi un processo inclusivo e condiviso con la comunità.

Il rapporto tra scienza e società è tuttavia un intreccio complesso: si articola ad esempio nel trasferimento tecnologico, nella comunicazione dei risultati e delle ricerche scientifiche a un pubblico di non esperti e ancora nel coinvolgimento di diversi attori sociali nelle decisioni e nelle pratiche scientifiche e di ricerca.

Dal 14 al 16 giugno è stata ospitata a Padova la conferenza internazionale Technoscience from below, la tecnoscienza dal basso, organizzata dal Prof. Federico Neresini, docente di sociologia della scienza, che in un'intervista ha discusso le articolazioni di questa partecipazione dal basso.

“Nel nostro ambito di ricerca si usa molto l'espressione deficit model, cioè l'idea che le persone, poiché non sono scienziati o tecnici e non sanno le cose, devono essere educate, bisogna trasferire della conoscenza a chi non ce l'ha. E questo in parte è vero, ma il coinvolgimento effettivo, quello che dà risultati, si ha quando gli effetti si vedono non solo sul pubblico che impara, conosce e viene mobilitato, ma anche sugli scienziati, sui ricercatori, che attraverso questa interazione riflettono sul loro lavoro, si chiedono se può avere o non avere delle problematiche etiche, se in un'immediatezza oppure in un orizzonte più lontano può risultare di pubblica utilità”.

Intervista a Federico Neresini, sociologo della scienza. Riprese e montaggio di Tommaso Rocchi.

I modelli di comunicazione della scienza negli ultimi decenni infatti sono cambiati molto, proprio in virtù del fatto che il deficit model o public understanding of science non ha dato i risultati sperati. Un'assunzione alla sua base in particolare si è rivelata fallimentare, ovvero quella secondo cui il pubblico ricevente sia una tabula rasa e che il trasferimento di contenuti logico-razionali nella mente dell'individuo, ignorante in materia di scienza, lo conduca automaticamente a comportarsi in maniera informata e socialmente responsabile.

Di fatto questo modello si è caratterizzato per un eccessivo autoritarismo e l'esperto, invece di ispirare fiducia e coinvolgimento, è stato spesso recepito come una figura distante o come qualcuno con degli interessi alle spalle: “What we got here is failure to communicate”, avrebbe detto il capitano Storther Martin al Paul Newman di Cool Hand Luke.

Con diversi livelli di competenza e di interesse, tutte le figure e gli attori sociali sono coinvolti nello sviluppo della conoscenza scientifica Federico Neresini

La parola d'ordine negli ultimi anni quindi è diventata public engagement, coinvolgimento del pubblico. Oggi la comunità scientifica sta discutendo della necessità di riconoscere il fatto che la scienza e l'innovazione tecnologica non vivono in un mondo separato dalla società. “Innovazione tecnologica e conoscenza scientifica non devono avere un impatto sulla società come fossero prodotti su Marte per poi cadere sulla Terra, sono frutto di un lento (o talvolta veloce) processo che fa comunque parte dell'intero contesto sociale. E quindi, con diversi livelli di competenza e di interesse, tutte le figure e gli attori sociali sono coinvolti nello sviluppo della conoscenza scientifica, nel suo sostegno, nel suo utilizzo”.

Il senso dell'espressione “tecnoscienza dal basso” vuole coprire una molteplicità eterogenea di modi di partecipazione ai processi di sviluppo della conoscenza scientifica. “Quindi dal basso nel senso di riconoscere che i cittadini, le persone, le organizzazioni, gli stakeholders, di fatto hanno voce in capitolo, si tratta di riconoscerla e valorizzarla, anziché di averne paura. Un esempio è quello delle organizzazioni di pazienti nel caso della ricerca biomedica, un altro è la richiesta di appropriazione degli strumenti di Information Technology. Sono forme di automobilitazione. Ci sono però anche molte iniziative che possono essere promosse dagli enti o dai gruppi di ricerca che possono chiedere alle persone di partecipare non solo nell'utilizzo finale del prodotto ma anche lungo il processo (come la citizen science, ndr) per capire se la direzione che si sta prendendo risponde a bisogni sociali, se si sta lavorando per una ricerca scientifica e un'innovazione tecnologica che si sviluppano in uno scenario condiviso socialmente. Quindi può esserci anche un coinvolgimento che parte dall'alto ma che poi è capace di mettersi a un livello di interazione alla pari con le persone”.

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