Massimo Carlotto alla fine dell'anno appena passato, nella sua ultima presentazione prima di un periodo di pausa dalla scrittura pubblica, raccontava di come si renda necessario per uno scrittore di oggi fare i conti con l’immaginario del lettore, che è oramai popolato ben più dall’oggetto visivo (video, foto di ogni genere) che da quello letterario e della parola, spiegava.
E proprio da una considerazione analoga, o comunque dalla presa dei coscienza – necessaria – che stiamo vivendo vieppiù nell’epoca dell’immagine oltre che della comunicazione veloce, muove il lavoro d’indagine compiuto da Maria Teresa Carbone che decide di raccogliere in un libro (bellissimo, anche dal punto di vista materiale, dell’oggetto) il pensiero di 16, tra scrittori e scrittrici, utilizzatori di Instagram “da fotografi”.
In che senso?
Il social è evidentemente “solo” uno strumento, con i suoi codici evidenti e quelli invece taciuti: sta all’utilizzatore decidere poi che uso farne. Ci sono quindi scrittori che ci mettono le locandine delle presentazioni dei libri, quelli che, come un qualsiasi altro, magari decidono di fotografare le proprie feste di famiglia o il piatto di pasta al ristorante (bugia: tra gli scrittori quest’uso è pressoché inesistente, per fortuna) e altri che invece cercano un senso ulteriore all’accumulo di fotografie come previsto da Instagram. In questo senso lo usano "da fotografi".
Il lavoro di Carbone, che si intitola Che ci faccio qui? Scrittori e scrittrici nell’era della postfotografia ed esce per Italo Svevo, è molto interessante perché non apre squarci solo sul mondo degli intervistati, cioè sul mondo della scrittura, ma indaga l’uso della materia creativa attraverso dei riferimenti consapevoli: chi meglio di coloro che per mestiere pensano – perché un narratore, un poeta, un traduttore questo fanno, prima ancora di scrivere – può riflettere liberamente su di un fenomeno così articolato come la libera espressione su un mezzo aperto a tutti – il social – con l’utilizzo di un secondo mezzo altrettanto disponibile, quale è il cellulare, per fare fotografie?
Non sarebbe stato altrettanto interessante, probabilmente, intervistare dei fotografi professionisti: per loro Instagram è “troppo vicino” alla professione e, se lo usano sperimentalmente, in ogni caso il loro utilizzo è di necessità mediato da riflessioni tecniche e di concetto, anche qualora non lo vogliano. Scrittrici e scrittori, viceversa, si trovano di continuo a confrontarsi con l’immagine (il rapporto parola-visione per chi scrive è un nodo cruciale) ma possono conservare “l’ingenuità” di chi non è chiamato a cimentarsi nel proprio campo. Al contempo però scrittrici e scrittori sono e restano artisti, e nel loro procedere per immagini è impossibile che non facciano, a loro modo, ricerca.
Così le domande possibili diventano moltissime, inseguendo risposte che probabilmente non esistono e hanno a che fare con la definizione della materia artistica in sé: chi è il fotografo? Colui che fotografa? E allora chiunque scriva è uno scrittore? Cosa fa di un insieme di foto un progetto e quanto labile è il confine tra un intento dichiarato che si fa forma artistica e la forma artistica che travalica l’intenzione?
Maria Teresa Carbone ha chiesto a Gherardo Bortolotto, Emmanuela Carbé, Tommaso Di Dio, Giorgio Falco, Carmen Gallo, Helena Janeczek, Guido Mazzoni, Giulio Mozzi, Gianluca Nativo, Davide Orecchio, Francesco Pecoraro, Tommaso Pincio, Laura Pugno, Sabrina Ragucci, Alessandra Sarchi ed Emanuele Trevi di rispondere alle domande che riportiamo qui sotto, per dare inizio a una riflessione che è venuto il tempo di fare.
Cosa ne sia emerso glielo abbiamo chiesto nella videointervista.
1. Quando hai cominciato a fotografare? Com’è cambiato nel tempo il tuo rapporto con la fotografia? Attualmente quanto fotografi? Cosa usi per fotografare? Cosa fai delle foto che scatti? Ti capita di riguardarle a distanza di tempo? Come si inserisce la fotografia nelle tue giornate?
2. Perché sei su Instagram? In che modo la frequenti? Quanto tempo ci dedichi? Ci sono state evoluzioni dal momento in cui ti sei iscritto? Ci sono state evoluzioni dal momento in cui ti sei iscritto? Cosa ti piace e cosa non ti piace di Instagram? Cosa ne pensi come fenomeno sociale?
3. Nelle tue foto ci sono temi o inquadrature ricorrenti? Ci sono cose che hai scelto di non fotografare? In che misura sottoponi le tue foto a un processo di postproduzione? Se li fai, i tuoi selfie hanno qualche dato in comune? Come definiresti nel suo insieme il tuo profilo Instagram?
4. C’è una relazione tra il modo in cui fotografi e il m odo in cui scrivi? In questo caso, potresti descriverla meglio? Ti è capitato di partire da un testo tuo o altrui per scattare una foto? E viceversa, di partire da un’immagine scrivendo? Loa tua pratica con la fotografia ha influenzato la tua scrittura? Se è così, in che modo e in che misura? E in generale, pensi che la pervasività delle immagini abbia cambiato in modo sostanziale il modo di scrivere (e di leggere)? Gli iconotesti sono sempre più frequenti: ne hai già fatti? Pensi di farne? Cosa ne pensi? Pensi che la pratica della scrittura risentirà in modo percepibile della pervasività delle immagini? Se sì, in che modo, in che ambito (narrativa, poesia, saggistica…)?