SOCIETÀ

Comprendere i sensi, la realtà e i miti delle migrazioni

Considerare una presentazione di ricerche scientifiche come assolutamente nuova e definitiva non depone a favore di chi lo dice o scrive, anche se è solo per opportunismo editoriale. Nel retro di copertina di un bel volume recentissimo sulle migrazioni, opera di un ottimo esperto sociologo olandese, l’offerta di una “prospettiva nuova e definitiva su uno degli argomenti più divisivi del nostro tempo” coglie nel segno sulle divisioni esistenti ma rischia di essere fuorviante sulla capacità di superarle. Nella vita c’è sempre poco di nuovo e definitivo. Per ciascuno di noi è abbastanza definitiva la morte, come sappiamo tuttavia, nemmeno la fine dell’esistenza di un singolo individuo di una specie è forse del tutto definitiva (abbia o meno contribuito a procreare) e addirittura nemmeno l’estinzione di una singola specie è ormai davvero definitiva (per fare un esempio banale, i geni dei neanderthal sono ancora fra noi sapiens). Anche ciò che è davvero nuovo, biologicamente e culturalmente, risulta di difficile definizione e prova. Ancor più rispetto a un fenomeno decisivo per ogni vita, come il migrare; coevoluto con le specie viventi, di ogni sorta; permanente e mutevole per la nostra specie, anche in prospettiva.

Il sottotitolo italiano del volume aggiunge che “la verità” potrà finalmente oltrepassare le ideologie, ancora una volta esagerando un poco. Non ce ne è una di stabile verità scientifica e le ideologie sanno spesso plasmare a (proprio) piacimento dati e fatti parzialmente reali. Resta il fatto che possono essere decisamente consigliati la lettura, lo studio e la propagazione dei contenuti offerti da Hein de Haas, con il suo corposo Migrazioni. La verità oltre le ideologie. Dati alla mano, traduzione di Michele Martino, Einaudi Torino 2024 (orig. estate 2023, How Migrations Really Works), pag. 608. L’autore si occupa di gran parte dei territori e dei paesi del mondo. Illustra accuratamente lo stato delle conoscenze sul fenomeno migratorio negli ultimi centocinquanta anni, circa. Ed è vero quanto scrive di continuo con passione e precisione: strabordano ancor oggi (tristemente) molte confusioni e decine di miti quando si parla dell’umano migrare contemporaneo. Documentarsi meglio sarebbe un’utile accortezza, visto che tutti ci hanno avuto in qualche modo a che fare nella propria vita e tutti dovremo tenerne conto.

Definire la "migrazione"

La definizione precisa su cosa sia una “migrazione” attiene al cambio di residenza abituale oltre un confine amministrativo, spostarsi stabilmente altrove per almeno sei mesi o un anno, a prescindere dal motivo, sia a livello personale che a livello collettivo, dovendosi distinguere bene con circospezione (le regole e il giudizio) un trasferimento internazionale. Tante persone hanno sentimenti complessi e ambivalenti riguardo al fenomeno e ai fatti, ma il dibattito politico, con la sua crescente polarizzazione (semplicisticamente costruita su fazioni pro e contro), non riflette questo oggettivo livello di ambiguità. Dalla fine della Guerra Fredda, i politici occidentali hanno portato avanti una vera e propria Guerra all’Immigrazione, così la chiama correttamente De Haas e ben lo sappiamo: i paesi occidentali hanno speso risorse ingenti per frenare l’afflusso di lavoratori stranieri, con le loro famiglie.

Da decenni, politici di ogni orientamento promettono di correggere il sistema di accoglienza e di riprendere il controllo sull’immigrazione.

Tutti i governi, però, secondo De Haas, hanno costantemente mancato di rispettare le loro promesse. Chi ci governa avrebbe ignorato le evidenze scientifiche sui trend, sulle cause e sull’impatto delle migrazioni, seminando solo paure ingiustificate e roboante disinformazione. Anche gruppi d’interesse come i sindacati e le lobby commerciali avrebbero esagerato i danni (oppure i benefici) delle migrazioni, mentre le agenzie dell’Onu spesso finirebbero per gonfiare o travisare i numeri di migranti e rifugiati, nell’apparente tentativo di farsi pubblicità e ottenere i finanziamenti. Non sarebbe male capire davvero natura e radici del fenomeno, per ogni cittadino che legge libri e per ogni sapiens che opera in comunità, tanto più che la migrazione appartiene letteralmente a ognuno e a ogni tempo, è antica quanto l’umanità. Ho tentato di riassumere in queste poche frasi di prologo la nota per noi lettori e l’introduzione al volume, l’intento dell’autore è giustificato e positivo, anche lo svolgimento sostanzialmente stimolante e condivisibile.

Il sociologo e geografo olandese Hein de Haas (1969) ha vissuto e lavorato nei Paesi Bassi, in Marocco e nel Regno Unito, è stato a lungo direttore dell'International Migration Institute dell'Università di Oxford, ha promosso e coordinato seri modelli interpretativi e insegna attualmente (dal 2015) la materia ad Amsterdam. Il suo nuovo volume ci offre un ottimo utile fertile scandaglio sulla cruciale questione del migrare contemporaneo, documentato e riflettuto, "esperito" nel senso che raccoglie trent'anni di ricerche sul campo in vari continenti e una notevole letteratura scientifica, grafici e tabelle (talora originali), frequentazioni interdisciplinari, con argomentazioni solide e abbastanza aperte. Il testo è strutturato in tre parti e ventidue capitoli, in ognuno De Haas demolisce un mito sul migrare: riassume il mito nel titolo e nelle prime due pagine in cui cita sia "politici" che documenti che urlano quel mito con le loro convinte parole, per quanto errate; poi spiega (dettagliatamente) in successivi paragrafi come funzionano davvero le cose (How Migrations Really Works, il titolo inglese originale).

Politiche migratorie e flussi

L’autore fa spesso riferimento a un progetto pluriennale di raccolta dati, statistico e sociologico, da lui stesso promosso. Nel 2010 un finanziamento del Consiglio europeo della ricerca (Erc) gli ha permesso di creare un team presso l’International Migration Institute (Imi) dell’Università di Oxford per analizzare l’evoluzione delle politiche migratorie nell’ultimo secolo e misurarne l’efficacia nell’incidere sui flussi migratori. Il progetto Demig (Determinants of International Migration) è andato avanti dal 2010 al 2015. Per due anni sono stati letti pile di rapporti, leggi e regolamenti per documentare i principali cambiamenti occorsi nelle politiche migratorie, giungendo alla creazione di un database (Demig Policy) che ha registrato 6.500 variazioni nelle discipline su immigrazione ed emigrazione in quarantacinque paesi tra il 1900 e il 2014. I numeri erano stati raccolti in origine per misurare l’evoluzione e l’efficacia delle politiche migratorie e potevamo anche utilizzarli per valutare se i governi di destra avessero davvero una linea più dura sull’immigrazione rispetto a quelli di sinistra (pare non sia così).

Sono state aggiunte poi altre variabili al database Demig e De Haas ha via via aggiornato i dati e ampliato le valutazioni, per esempio in merito all’effetto delle politiche migratorie restrittive sui flussi in entrata e in uscita; a come hanno concretamente reagito i flussi alla eliminazione delle frontiere tra gli Stati europei sia quelli migratori interni europei, sia quelli verso e dall’Unione Europea; alla quantità di visti di cui hanno bisogno i cittadini di ciascun Paese del mondo per viaggiare in altri Paesi. In vari capitoli i grafici e le tabelle illustrano i dati che contribuiscono a smontare miti e luoghi comuni, un ricco preciso supporto statistico che, utilizzando molte altre fonti ufficiali, serve a corroborare analisi e verifiche in ogni parte del testo.

Gli strali polemici del volume sono prevalentemente indirizzati ai "politici" (genericamente, talora confondendo politica e governo, cita comunque capi di governo, ministri e dirigenti, anche italiani) e frequentemente agli economisti puri (antica contrapposizione fra le due scienze, per una discutibile egemonia); la sua letteratura scientifica è prevalentemente sociologica, ma mostra di avere una certa attitudine interdisciplinare, curiosità intellettuale, opinioni riflettute e condivise con altri, verifiche non pregiudiziali. Quel che più manca è una maggiore consapevolezza evoluzionistica delle scienze sociali. Le migrazioni non iniziano quando la sociologia inizia a considerarle statisticamente ben oltre metà ottocento, tantomeno dopo la Rivoluzione Industriale o la Rivoluzione Francese, tanto meno con i viaggi oltre Atlantico di metà secondo millennio, tanto meno qualche millennio prima quando i confini di un territorio diventano costrutto umano (dopo la prevalenza della stanzialità con la cosiddetta rivoluzione neolitica), tanto meno quando i primi sapiens sono usciti dall’Africa. E, soprattutto, la definizione (pur antropocentrica) può essere facilmente estesa alle specie umane precedenti la nostra, alle specie animali, addirittura alle specie vegetali: il cambio di residenza abituale fuori del proprio areale precedente, individuale o collettivo, una tantum o ciclico, verso ecosistemi abbastanza simili o molto diversi rispetto alla biodiversità dei punti di partenza, dei transiti, dei punti di arrivo.

Avere consapevolezza evoluzionistica eviterebbe alcune imprecisioni di linguaggio e inesattezze sui contesti della biodiversità del pianeta. L’autore fa un solo riferimento (credo) alla vita prima della Rivoluzione Industriale, abbastanza corretto: la “Rivoluzione agricola (o neolitica) ha consentito agli esseri umani di insediarsi stabilmente in comunità rurali e di abbandonare a poco a poco uno stile di vita itinerante, nomadico o pastorale. Dall’inizio del XIX secolo, la Rivoluzione industriale ha portato a una migrazione su larga scala dalle aree rurali…”. Tuttavia noi esistevamo da prima e migravamo da sempre, comunque da prima di essere stanziali, sicché la maggiore residenzialità agricola ha comportato anche l’utilità di distinguere le emigrazioni dalle immigrazioni e di dover tenere abbastanza separata l’analisi del migrare nel luogo di partenza da quella negli ecosistemi di transito e di arrivo. Il fenomeno migratorio è totale (De Haas cita bene Sayad), ma pure asimmetrico e diacronico, nel testo in esame ne tiene abbastanza conto, pur non sottolineando la rilevanza di aspetti non sociologici della libertà di migrare e del diritto di restare (per esempio, stando alla contemporaneità, citando spesso il vincolo generico dei diritti umani fondamentali, ma non citando mai in specifico l’articolo 13 della Dichiarazione Universale e non citando nemmeno i due recenti Global Compact dell’Onu, forse per un fastidio, comprendibile ma discutibile, pure verso i formalismi giuridici).

La consapevolezza evoluzionistica avrebbe, inoltre, motivato meglio alcune argomentazioni di De Haas, anche per comprendere come i miti e il senso comune (che perlopiù giustamente contesta) siano divenuti così “radicati” nelle nostre società e culture istituzionali statuali. Il suo volume è, comunque, fertile. Entrando nel merito specialistico, dei sette capitoli della prima parte, quattro sono quasi del tutto condivisibili, tre sostanzialmente condivisibili; degli otto capitoli della seconda parte 3 e 3, ma ce ne sono anche 2 che andrebbero forse parzialmente meglio approfonditi. Nella terza parte 2+3+1 abbastanza bene, uno che invece andrebbe meditato e criticato sotto molti differenti aspetti: riguarda i cambiamenti climatici ed ecologici antropici globali. De Haas non è un negazionista climatico, al contrario, e discute questioni effettivamente controverse nell’ultimo capitolo (prima delle conclusioni), si affida molto a colleghi competenti e ai geografi (anche quelli purtroppo prevalentemente “non” evoluzionistici), cita solo la sintesi dell'ultimo rapporto dell'IPCC (per ragioni opportune) ma mostra di non conoscere i precedenti e, soprattutto, il nesso evoluzionistico fra clima e migrazioni.

Come la maggior parte dei sociologi delle migrazioni sembra sottovalutare una base culturale evoluzionistica, biologica e antropologica. In secondo luogo, è troppo mosso da una (pur sana) vis polemica: segnala che gli rimproverano di essere parte del polo favorevole alle migrazioni, mentre ritiene (giustamente) di essere solo uno studioso accurato, fra l’altro molto attento alle differenze e ai contrasti di classe. Fatto sta che da decenni, proletari e sottoproletari sono in maggioranza nel polo contrario alle migrazioni. Se ne può prendere atto, ormai ogni campo della politica e della cultura è polarizzato. L’autore ne è frustrato, ricorda quando nel 2015 torna nei suoi Paesi Bassi dopo dieci anni a Oxford e viene invitato a un dibattito sui profughi siriani, il moderatore lo cataloga (dopo l’intervento) come “a favore dell’immigrazione” e lui lo interrompe per criticare proprio quell’impostazione: “La costante rappresentazione dei dibattiti sulla migrazione in binari li rende indegni della parola dibattito”.

De Haas deve confrontarsi con interlocutori potenti istituzionalmente e culturalmente presuntuosi, e da trent'anni vede prevalere atteggiamenti sbagliati sulla cosa che più studia, ama, conosce e divulga, vorrebbe che la sua analisi possa essere accolta come sopra “ogni” parte, visto che critica insieme destra e sinistra (in modo comunque competente e motivato), razzisti e umanitaristi (talvolta con rigida equidistanza). Occorre, dunque, analizzare meticolosamente ognuno dei ventidue miti, dedicando loro uno specifico compiuto approfondimento. In questa sede non mettiamo in discussione l’uso del termine “mito” che ha certo pure altre definizioni e connessioni, rimanda talora solo a ideologie diffuse (quanto possa essere capace di “polarizzare” le aspirazioni di una comunità o di un'epoca, elevandosi a simbolo privilegiato e trascendente), talora proprio ad atti e fatti “idealizzati” e non solo a pensieri teorici (in corrispondenza di una carica di eccezionale e diffusa partecipazione fantastica o religiosa), talora a caratteri storici e letterari o metaforici. Rende l’idea, è vero. In Italia, fra l’altro, i miti si associano spesso a un “cattivo” senso comune, cattivo perché non buono (secondo il buon Manzoni) e perché asseconda pulsioni aggressive verso deboli rispetto noi, qui e ora (prevalentemente). Vediamoli presto uno per uno, allora, questi “miti sulla migrazione”.

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